In genere quando mi accingo a leggere un libro di poesie di un autore contemporaneo, senza un apparato critico precedente, senza il paracadute di una storia di studi… mi aggiro intorno al libro, leggo e rileggo, lascio sedimentare … cerco riferimenti, citazioni implicite, collegamenti con altri scrittori… soprattutto, come uno stratega militare che deve prendere una città fortificata o un ladro che deve sforzare una cassaforte, cerco la chiave d’accesso, il codice cifrato, le parole chiave, la porta invisibile, per entrare dentro e rubare il segreto.
In questo libro l’autrice fornisce nell’introduzione alcune chiavi di accesso.
In sostanza, in un discorso puntellato da diverse letture e citazioni, afferma che siamo animali sociali e ci salveremo dall’estinzione solo se riusciremo ad essere cooperativi ed empatici, attraverso quella che da qualche tempo gli studiosi di scienze umane chiamano intelligenza emotiva.
Questa impostazione teorica è ribadita in una poesia programmatica che inizia con il verso “Il cervello si è evoluto” (p.25), nella quale, inoltre, si aggiunge: “Ecco a cosa serve il pensiero: / a garantirci la sopravvivenza / a salvarci dall’estinzione / mettendo insieme / offrendo in comune / le nostre storie …”
Quando all’antropologa Margaret Mead chiesero com’era cominciata la civiltà rispose che era cominciata con un femore rotto e conciato, segno che la comunità si era fatta carico di una persona in difficoltà senza abbandonarla al suo destino. Non solo il contrasto, la lotta o la competizione economica ci fa evolvere, ma anche la cooperazione ed il prendersi cura dell’altro.
In sostanza è l’amore che ci salva.
In questo libro l’autrice sceglie il confronto con la scienza per provare a impostare un discorso sull’amore contemporaneo. Prova ad abbozzare una moderna arte di amare demonstrata con spirito “geometrico”. Utilizza l’approccio scientifico per spiegare in modo non impressionistico l’amore. Dalla scienza inoltre prende l’armamentario metaforico e lessicale per descrivere il sentimento amoroso come fenomeno umano. In sostanza prova ad usare criteri razionali per far quadrare i conti dell’amore.
La poesia di “Scienza d’amore” non muove quasi mai dalla riproposizione dei topoi classici della letteratura d’amore e nemmeno da un’intenzione apertamente lirica (se non in alcune poesie più “emotive”). La sua impostazione appare, fin dall’inizio, riflessiva e puramente intellettuale.
L’amore, tuttavia, si rivela irriducibile alla camicia di forza della scienza. Evita tutti i tentativi di classificarlo. La contingenza dell’amore sfugge alla necessità della scienza.
“ … amando originiamo / nuove forme di caos / che non conosciamo / che non governiamo / e che non possiamo / dimostrare / né sappiamo spiegare …” p.101
In una canzone non famosissima “Caldo e scuro”, De Gregori dice “ … ed ho imparato che l’amore insegna, ma non si fa imparare …”
La raccolta inizia, non a caso, con la poesia “Oggi ci sono diciassette gradi” (una delle più belle e compiute perché la “poetazza”, come ama definirsi l’autrice, qui riesce a rendere il concetto, proponendo una correlazione oggettiva, senza doverlo esporre …) in cui è espressa una certa speranza e si conclude con la poesia “La comprensione” che si chiude amaramente con questi versi: “Ci portiamo addosso / dentro il pensiero / nei segni delle parole / milioni di anni / di evoluzione / senza riuscire / ancora ad amare.
Sparsi qua e là nel testo ci sono tanti altri esempi del disincanto e dell’incertezza e dell’indeterminatezza esistenziale. Ad esempio a p.22 “… eppure, ancora / non sappiamo / come ci accade / e non sappiamo / cosa occorra / per farlo accadere …”
Poesia colta, non istintiva, e consapevole dei propri mezzi espressivi è quella di Marilina Giaquinta, che emerge dalla riflessione ostinata sul vissuto, ma anche dalla sedimentazione ragionata di letture di una certa densità e serietà. Una poesia verticale, a tratti torrenziale, ma non caotica e banalmente sentimentale, che dribbla i facili parametri della spicciola sensibilità.
La lingua è precisa, pur nella sovrabbondanza non è mai sciatta e trascurata, anche se contigua a un periodare a tratti prosastico.
“Scienza d’amore” raggiunge, comunque, il suo vertice poetico quando si sfronda di un certo schematismo teorico e scopre, in modo autentico e con rappresentazioni nitide, certe sfumature, certi particolari della vita amorosa, del funzionamento della memoria, dei paradossi del tempo “ … il tempo esiste / quando tu non ci sei …”, delle emozioni che non possono essere espresse dalle parole “… le parole si fanno mute / di fronte alle emozioni …”
Certi versi, o brevi strofe, anche presi a sé, fuori dal contesto, illuminano la pagina e la fanno brillare. Ad esempio questo: “implicita vocazione all’eterno”, p.27. Oppure: “e allora sappi / che se unisci due cuori / non sarà mai una somma … p.73. O infine: “amarti … / è senso / che mi divide / e che mi aggiunge. P.97. E potrei fare tanti altri esempi di mio gradimento personale. Piccole epifanie come “Le rose si coltivano vicino alle viti” a p.60 o “ Mi mandi un bacio?” a p. 92.
Nell’ultima parte, anche se il volume non contiene sezioni diversificate, si avverte un maggiore pathos esistenziale. Le poesie si fanno più intime, c’è un cambio di passo emotivo, il tono si fa più caldo e, se è possibile, più puro e più accorato. Si fa riferimento al virus, mai chiamato per nome, ma che incombe come una minaccia indistinta e oscura. Si mostrano con più sincerità le ferite d’amore, il desiderio, il dolore.
E si pone in evidenza l’urgenza di comunicare, di mettersi in contatto con l’altro (il compagno, il lettore, il prossimo?) attraverso la scrittura: “… chiedimi di scrivere ancora / così che dovrai ancora ascoltarmi / che io mi attardi ancora a scrivere / e ancora continuare ad amarti.”