Come potrebbe spiegarsi una cosa tanto grande. L’amore per la scrittura nasce inconsapevolmente, per inclinazione ma non casualità, e, come accade in ogni innamoramento, l’innamorato si riconosce conquistato solo quando è ormai legato indissolubilmente all’oggetto dell’amore, non può più farne a meno pena una mancanza, una amputazione, un restringimento del proprio sé. Scrivere è una forma d’amore che ci ricongiunge al creato donandoci pienezza, allargando confini, superando barriere. Cosa ci si aspetta dalla scrittura, per qual motivo la si pratica? E, nello specifico, perché la scrittura poetica? Mi si chiede ma è una sintesi impossibile. Ed inoltre, con un sorriso, metterei le mani avanti: Non io poeta (Prova d’Autore, 2011) direi, e dovrei parlare piuttosto di silenzi. In realtà non ci si aspetta nulla, si è persino restii a darle nome; tuttavia esercitandola si apprezzano i suoi doni, si scoprono mondi, si traducono messaggi, si afferrano chiarimenti. Ma perché la vita non basta! confessiamocelo, ben lo sapeva Pessoa. E di sempre nuovi doni abbiamo bisogno. Doni che ignoriamo si rivelano indagandoli, sempre cangianti in continuo svelamento quali sono, sempre necessitando differente consapevolezza e non ultimo più importante l’altro fuori noi, l’interpretazione del lettore nell’interazione e reciproco riconoscimento. Doni che aggiungono vita alla vita, doni che si delineano per lampi fuggenti fortunosamente carpiti o si conquistano lentamente e a fatica per una indispensabile paziente, disperata sollecitudine (Ungaretti); in ultimo si traducono prodigiosamente nello spazio del linguaggio quali alchimie, esercizi di magia, incanti. Tra le forme della scrittura io credo la poesia sia la più libera, offra ed eserciti la più grande libertà; se pur costretta in endecasillabi o altra metrica, l’essenzialità d’un haiku o la forzatura di una rima baciata, la poesia è la forma del linguaggio che più d’ogni altra, di passo con la musica, permette interpretazioni e continui intendimenti, comprende e armonizza in unità contraddizioni ed apparenze, allarga immaginazione istruendoci sull’infinita polifonia del vero, sulla nostra variegata moltitudine in margini di silenzio già immagine e parola. Parola che non basta, i vocabolari sono sempre insufficienti a definire amore-libertà. È compito dei poeti re-inventare la parola, scardinare i limiti e le catene che imprigionano il linguaggio, giocare con sillabe e fonemi, giocare, come bambini, con la significanza delle cose, l’ambiguità della voce, ambiguità che mai disorienta la visione poetica, al contrario la esalta ed alimenta – dall’uno all’universale in una rifrazione infinita di specchi. Rendere alleata la parola, tramite al sentire, strada e ponte verso l’assoluto, l’altro e il centro esatto di noi stessi. Denunciare e costruire speranza. Scrivere è il tentativo, seppur talvolta maldestro, di ricongiungerci al cuore delle cose, di non sfuggire alla nostra stessa solitudine, che in ultima analisi è la nostra miglior fonte di libertà, nasconde il nostro migliore essere capace di sentimento: noi stessi nel mondo, col mondo. Nell’incontro con la parola la più legata all’assenza e al silenzio, il vuoto diviene l’enormemente pieno, l’angoscia diviene speranza, la solitudine incontro, amore condiviso. Una irrinunciabile magia. Ma tali spiegazioni non sono per nulla esaurienti.
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