Dopo aver saldato in un canzoniere unico le sue prime tre raccolte (Tenere insieme, Samuele Editore, 2021), Del Sarto con Sonetti bianchi ci introduce a una nuova e significativa tappa del suo cammino poetico. La sua poesia “liminare”, fatta di soglie relazionali, si sposta sempre più verso una volontà, o meglio, un’urgenza di rinascita avvertibile anche su un piano storico-generazionale. Se è vero che, come in molte zone della sua opera emerge, Del Sarto parte sempre da dati concretamente biografici, è allo stesso tempo evidente quanto questa stessa biografia si concentri in maniera nevralgica sui dati salienti della storia da essa attraversata. A tal proposito, si noterà facilmente il filo che lega Il grande innocente (ultima raccolta prima di Sonetti bianchi), a partire dalla figura quasi archetipica del nonno del poeta, a questa raccolta e al suo protagonista, Giona, il più piccolo dei figli di Del Sarto. Il sentiero “familiare” inaugura una vera e propria “vita nuova” (cui viene da pensare anche leggendo le introduzioni in prosa alle tre sezioni del testo), portatrice di un messaggio cosmico che solo l’accoglienza immediata di chi “appare” può sperare di realizzare.
Gianluca D’Andrea
Nella notte è successo un fatto ancora,
lo chiamiamo amore adesso, col fiato
che si fa caldo, che rinnova il salto
della fede, la speranza di un senso
che giungerà qui, presto. Penso questo
nei minuti fra una contrazione
e l’altra, una spinta, l’istinto senza
riserve, dare tutto, esserci, dare.
Gabriel Del Sarto. Ha pubblicato le raccolte I viali (2003, Atelier), Sul vuoto (2011, Transeuropa) e Il grande innocente, (2017, Nino Aragno) rivisitate nel recente Tenere insieme (2021, Samuele Editore). Ha pubblicato un saggio monografico sulla poesia di Turoldo (Raccontare la verità, 2019, Lamantica) ed è autore di saggi a carattere pedagogico come Raccontare storie (con F. Batini, 2007, Carocci) e In un inizio di mattina (2012, Transeuropa).
cinque sonetti scelti per voi
Il fiume è molto grande e nessuno
può conoscerlo. Ognuno accoglie
il lembo di terra e di delta, l’ansa,
che può afferrare. Solo le madri
hanno un limite sconosciuto, mani
porose per farsi attraversare
dai figli, dalle correnti enormi
dei cieli, venti cosmici come acque,
occhi fissati nei destini, voci
infine queste voci argentine,
che possiamo soltanto riverire.
Le madri e il fiume. E poi un orizzonte
che non vedremo, oltre le paludi
che ci animano, come oche selvatiche.
—
La fine dell’inverno non riguarda
chi è amato, raggiunto fino alla punta
delle dita: gli occhi scorrono sugli
altopiani polari, sul mantello
che chiude questa sera nella voce
teologica del tuo sangue nudo.
Sono come esami in tempo di guerra.
Il salmo purissimo che ora tiene
la mia mente viva, nuvola o cerchio,
è un raggio del genoma che scende
un monito sopra le strade, l’alito
di una fiamma intera. Chiamo l’ombra
affinché ti guardi come un demone
che s’inchina, che raggiunge il suo scopo.
—
Le preghiere esistono per mutarti
o rapirti. Accadono raramente
accordandosi al pianeta, muovendo
grammi di vuoto, i battiti d’un nulla,
le porzioni di un’eclisse. Vivono
usurando le solite parole.
Nella notte è successo un fatto ancora,
lo chiamiamo amore adesso, col fiato
che si fa caldo, che rinnova il salto
della fede, la speranza di un senso
che giungerà qui, presto. Penso questo
nei minuti fra una contrazione
e l’altra, una spinta, l’istinto senza
riserve, dare tutto, esserci, dare
—
Dobbiamo essere freddi con gli altri
se vogliamo tenere il canto fermo
e continuo. Prima di dire addio
ho anche altri consigli, altre memorie
e futuri, qualche storia sensata
da raccontare, piccoli erbari
da mostrarti per salvare l’amore
di tutto. Un tempo condensato in niente,
goccia dopo goccia, lente molecole
di un Dio smemorato e folle, che cadono
nelle case come nei boschi, pari
alle nubi trascorrenti e alle stelle
sconosciute. Pari a te, questa notte,
che dormi trasparente nel mio abbraccio.
—
Gli angeli sono anche carezze
di un padre sconosciuto, sono lunghi
riti stellari in cui osservare
la fioritura lenta e fiammeggiante
della tua danza. Sei tu il luogo dove
gli angeli non muoiono e la materia
che ci individua è solo lo spillo
del Big Bang, le molecole di un requiem
infinito e felice. Dentro il soffio
sospeso della tua voce, se tarda
a farsi viva e presente, amare
un figlio è non finire questo sogno
per cui morire d’un mondo esatto.
Coloro che ardono, sempre precedono.