tre domande, tre poesie
In “Portraits”, settimo libro di poesie di Pieragnolo, una sequenza di immagini appartenenti alla sua poliedrica esperienza ci restituisce un universo di persone ritratte nell’istante decisivo di una illuminazione, di una presa di coscienza che di fatto cambierà la loro vita. Nell’atmosfera sospesa e rarefatta di una città (Padova) degli anni Settanta e del luogo eletto dei suoi viaggi fin dai primi anni Novanta (Costa Rica), le poesie di “Portraits” fanno pensare agli scatti di alcuni maestri della fotografia umanista (Doisneau, Cartier-Bresson, Bidermanas, Ronis); il realismo poetico dell’attimo catturato nei testi anima l’immagine nella sua naturale e misterica mobilità tra corpo e spirito, cercando così di rivelare l’inconosciuto, l’interiorità sensibile dei soggetti che lascia una traccia di sé nella natura e nel mondo, rinnovando i valori universali di umanità. Conclude il libro il poemetto “Gli amanti di un solo giorno”, onirico omaggio all’amore e al veloce passaggio del tempo. (dalla Quarta di copertina di “Portraits” – Passigli, ottobre 2022 – di Tomaso Pieragnolo)
Quale è stata la scintilla che ha portato al tuo “Portraits”, pubblicato da Passigli Poesia, o meglio: in che modo la vita diventa linguaggio?
Il libro “Portraits”, pubblicato in ottobre del 2022, è nato nel periodo della pandemia. Non sono mai stato propenso a scrivere poesie che riguardassero l’infanzia, l’adolescenza o la famiglia. Infatti nelle raccolte precedenti, da “Lettere lungo la strada” del 2002, passando per “L’oceano e altri giorni” del 2005, “nuovomondo” del 2010, fino a “Viaggio incolume” del 2017, la mia attenzione si era concentrata sull’esperienza del Costa Rica, che dal 1992 mi aveva portato a vivere nel paese centroamericano e per lunghi periodi a contatto con la natura vergine nella quasi totale assenza di esseri umani, se non quella dei nativi indigeni e dei loro discendenti, facendomi scoprire una terra che diventò per molti anni la mia patria e che, con la sua purezza e la successiva e aggressiva trasformazione, mi fece riflettere sulla necessità urgente di proporre nei miei testi un rapporto etico tra uomo e ambiente. Così, dalla fine degli anni novanta, iniziai a scrivere libri che ora definirebbero di ecopoesia, con la peculiarità dell’esperienza reale dei luoghi descritti, precorrendo i tempi nell’affrontare un argomento che molti anni dopo sarebbe diventato centrale per la vita delle generazioni future e per la sopravvivenza del nostro pianeta.
Poi venne “Portraits”. Nel 2020, con i vari divieti causati dalla pandemia, mi trovai costretto per la prima volta dopo quasi trent’anni a interrompere gli spostamenti da un continente all’altro e, come tutti, a vivere un’esperienza inusuale di chiusura e incertezza. Nei lunghi mesi di confino, riallacciai un filo lungamente interrotto con il mio passato più remoto, riguardando alcune vecchie fotografie risalenti agli anni settanta e ottanta, ritratti di persone che fecero parte della mia infanzia e dell’adolescenza; familiari, amici e compagni, che mi guardavano dalle foto con aria trasognata e gli occhi vivi della gioventù, riportando alla mia mente le storie, i racconti, le speranze e le delusioni di cui ero stato testimone o che avevo sentito narrare, i progetti, i successi e i fallimenti di diverse generazioni che ormai sembravano lontanissime. Ritrovai le atmosfere sospese e rarefatte della mia città, Padova, in quegli anni, quando il turismo non esisteva e le notti erano spopolate, i mesi di agosto deserti, i portici silenziosi e le piazze affollate solo nel giorno del mercato settimanale. In questo clima dilatato ed etereo si muovono le vite dei protagonisti delle poesie, per la maggior parte colte nell’attimo della giovinezza, ragazzi trepidanti colmi di sogni che attraversano la città avverando l’esistenza con la bellezza della loro passione. Guardando quelle immagini, mi resi conto come non mai che le persone immortalate, solitamente relegate nei ruoli abituali che il nostro egoismo assegna ai ricordi, erano state prima di tutto esseri umani con una peculiare storia alle spalle. Iniziai così a scrivere questi ritratti ispirati alle loro vicende, mentre una moltitudine di sensazioni e di emozioni mi condusse a ritroso attraverso i decenni per ritrovare il senso di alcuni accadimenti, di alcune scelte e di certi destini; un omaggio postumo alle vite che hanno intrecciato la mia e che hanno contribuito a formare il mio carattere e la mia identità. Nel libro sono presenti anche alcune poesie nate dalle prime foto scattate in Costa Rica all’inizio degli anni novanta, quando cominciò assieme a mia moglie, la poetessa e naturalista Rosa Gallitelli, la sorprendente esperienza costaricana.
La poesia è un destino?
Non spetta a me definire se io sia poeta. Ma se devo pensare a come iniziò fin da bambino l’interesse per la poesia, posso dire che fu una predisposizione caratteriale verso la visione differente del mondo che mi circondava. La commovente emozione che creava in me il contatto con la natura, la ricerca di pace, silenzio e trascendenza per comprendere l’esistenza e sconfiggere lo scorrere del tempo e il destino di finitudine di ogni cosa, l’immaginazione ingenita che mi faceva vedere con sguardo immagato l’albero appeso alle ali dell’uccello, la selva generata dai passi dell’animale, il profumo per ogni stagione diverso partorito dal fermento segreto della terra, la scintilla della vita protetta nel ventre delle madri di ogni specie, l’atlante del mondo rotondo con segnati i luoghi che avrei desiderato un giorno conoscere, molti e totali pensieri difficili da contenere in un corpo d’infanzia. Tutto questo immaginario personale non è andato mai perduto e crescendo si è confrontato con la quotidianità, la contingenza, il tentativo di costruire, nell’imprevedibilità della vita, un percorso che non tradisse i sogni e i desideri iniziali. Ho cercato con passione tutto quello che ho incontrato, magari non sempre è stato esattamente come avevo immaginato, ma l’ho inseguito senza sosta con la fede e la coerenza che mi sono state possibili. Lo stesso è accaduto con la poesia, cresciuta con me fin dalle prime letture a nove anni: Prevert, Neruda, Ungaretti, Lorca, Montale, Keats, Saba, libri che trovavo nella piccola biblioteca di mia madre e che sembravano dare una vaga risposta alle mie precoci inquietudini.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).
la ragazza illuminata
dalla lampada del primo bacio
sotto un androne di Via Eremitani
sembra un’allegoria del mondo prima di noi
sembra quasi evaporare dal suo corpo minuto
ora che la genesi di due esistenze è cominciata
invano cerca un modo
per riparare dal suo onirismo
o dalla pioggia diffusa di marzo
che nulla risparmia nella sua euforia
– vetrate panchine ferrose bambini sospesi
nella prora dell’acquazzone – e
nella volta di pietra il nuovo amore
confonde abitudini e perplessità
in questa primavera che giunge improvvisa
come la veglia dopo un lungo inganno
così nella foto si abbandona
sorpresa da se stessa alla sua spalla
appena più alta di lei
alla stagione sconcertata dalla disarmonia dei suoni
che cadono dalle finestre schiuse
del conservatorio incustodito
al suo ritratto di ragazza magra
che il tempo fino a qui ha conosciuto e la vita con lui
nell’attesa di questa illusione ancora imperfetta
o confine confine inalienabile dei corpi
troverà nel giorno inedito il coraggio
per chiedergli in questo androne azzurro
solo il pegno dell’immortalità
***
lascia tutto così
non cambiare mai nulla
in questa foto alla fine d’inverno
la tazza che fuma
il tabacco che odora
la nebbia incipiente e i loro sorrisi
che cadono come monete
sul selciato di Piazza dei Signori
e c’è un colombo che mendica briciole
sul tavolino rotondo del bar
c’è un bambino che lo segna stupito
e una madre che lo trattiene per il bavero
c’è un cameriere che accorre accigliato
ed un vecchio cliente
che non si accorge della vita
sprofondato nelle pagine
del Mattino stropicciato
ci sono loro
con la giovinezza intatta dell’amore
lui con un cuore
di sfoglia leggera
lei con un foulard
di ragazza in primavera e forse
sono stati felici quel giorno forse
hanno camminato con fumo
tra le case umide del ghetto
dimenticando per un’ora l’avvenire
e lui le ha comprato
un ventaglio di seta orientale
per la prossima estate comunque sia
e lei gli ha comprato
una pipa di radica miele
per l’inverno passato dovunque sia
e qualcuno li ha visti svanire
alla fine di un giorno desueto
eterei dentro la bruma
della loro folle ingenuità
lascia tutto così
non cambiare mai nulla
in questa foto alla fine d’inverno
che rende ogni posa mortale
accordandosi al tempo
***
Scelgo quest’ultima poesia “in un giorno in cui nessuno viaggia” per ringraziare te, Grazia, per l’ospitalità, e i lettori che leggeranno questa intervista. Scelgo questo testo, perché il senso del libro “Portraits” è soprattutto quello di cercare un motivo, un indizio per cui le vite dei protagonisti delle foto che descrivo siano andate come sono andate, nella speranza che le parole a loro dedicate possano in qualche modo redimere il passato di ognuno e regalare a ciascuno un nuovo futuro. In questa poesia c’è una donna che attraversa una città per ricongiungersi al suo amato, percorrendo i luoghi che hanno avuto un senso nella loro storia; ad ogni passo le si fanno incontro suoni e profumi che non ha mai scordato, luci ed ombre di una esistenza che si confondono con quelle di portici e piazze in una corrispondenza di affetti e sensazioni, riflessioni sullo scorrere del tempo e sui sogni mai avverati e ciò nonostante ancora intatti, sul valore di ogni singolo istante che non ci è dato di rivivere; cammina sospesa nell’illusione che il passato possa tornare, restituendole la possibilità di rifare la vita. Ma, nella realtà, non può esistere un giorno in cui nessuno viaggia ed ogni cosa accade per sempre.
in un giorno in cui nessuno viaggia
verrò da te senza passare dal tuo sguardo
senza travaglio perché libera da indulti
ti toccherò nel punto esatto in cui ricordo
cadde la sete appena dopo l’abbondanza
un giorno comune con odore di pane
dentro i vicoli del ghetto e forse alcuni
passanti che faranno
il loro antico mestiere di passare e forse alcuni
ragazzi che faranno
il loro presente mestiere di vivere
verrò con ninnoli e fagotti dal mercato
pigiati di frutte e vegetali gocciolanti
scansando i ciottoli sconnessi sul selciato
scansando l’arbitrio passato tra di noi
e i ricordi mannari dentro i quali io non c’ero
vedrai le cose torneranno al loro posto
le bici rubate i baci non dati
i beceri volti degli adulti che additavano
e tutto sarà perfetto nella sua confusione
tutto confuso nella sua perfezione
e come scordare il tuo stridere sotto
le volte risonanti dei risuoni
delle nostre risa vedrai
la sorte tornerà al proprio posto
io che ti amavo al primo giorno della sete
tu che mi amavi
senza dare un nome al nostro errare
in questa città con alibi e nebbie
quanto inutile rumore ci ha scontato
bastava solo
abbandonarsi a questa foto
—
Tomaso Pieragnolo è nato a Padova nel 1965 e da più di 30 anni vive tra Italia e Costa Rica. Ha pubblicato “Portraits” (Passigli, 2022), “Viaggio incolume” (Passigli, 2017), “nuovomondo” (Passigli, 2010), “Lettere lungo la strada” (Edizioni del Leone, 2002), “L’oceano e altri giorni” (Edizioni del Leone, 2005), libri risultati finalisti e vincitori di alcuni premi nazionali (Palmi, Metauro, Minturnae, Marazza, Saturo d’Argento – Città di Leporano, Città di Marineo, Guido Gozzano di Belgirate, Libero de Libero, Ultima Frontiera). Una sua selezione di poesie scelte è stata pubblicata in spagnolo dalla Editorial de la Universidad de Costa Rica e dalla Fundación Casa de Poesía (“Poesía escogida”, 2009). Come traduttore di poesia latinoamericana, dal 2007 ha proposto nella rivista Sagarana principalmente autori del Costa Rica e del Centro America non ancora tradotti nel nostro paese, e curato le prime antologie italiane di Eunice Odio (“Questo è il bosco e altre poesie”, Via del Vento 2009, e “Come le rose disordinando l’aria”, Passigli 2015, in collaborazione con Rosa Gallitelli), di Laureano Albán, (“Gli infimi crepuscoli”, Via del Vento 2010 e “Poesie imperdonabili”, Passigli 2011); nel 2019 ha curato per Arcipelago Itaca “Non importa ormai vivere bensì la vita” del poeta spagnolo Juan Carlos Mestre. Anche questi libri sono risultati finalisti in alcuni premi per la traduzione (Camaiore, Città di Morlupo, Città di Trento, Marazza). A dicembre 2023 è uscita per le Edizioni dell’Orso la prima antologia italiana della nota autrice costaricana Carmen Naranjo dal titolo “Lettera all’indirizzo degli uccelli”, in collaborazione con Rosa Gallitelli. Ha partecipato a Festival di poesia nazionali (Pordenonelegge, Poetry Vicenza, Fiera delle Parole di Padova, Quota Poesia di Trento, Cartacarbone di Treviso, Parole Spalancate di Genova, Festival del Viaggio di Viareggio, Poesia al Museo e Sorsi Di Versi di Este) e internazionali (Festival di Poesia di Granada in Nicaragua e Festival Internazionale di Poesia Costa Rica).