Fu allora
(quando non lo dico) che
scendendo dalla collina
verso l’orto dei cementi
vidi il pianto degli ulivi,
salici stillanti mai spremuti
e di lontano
scenari fisici, mútrie
nella pianura della morte
con l’incrostatura tramortita.
Lungo la falsità del sentiero
il verde andava declinando
lamentosi grigi, pause spettrali,
la parte dell’essere addestrata
dai limiti di pensiero
nella fisica dei liquami.
Andavo sempre più
verso l’artificiale geografia
scena oscena senza
retorica dell’immaginario.
La comparsa di
quel proprio niente
dove ogni collina
prende le distanze,
faceva prillare
la magrezza agli ulivi.
Nonostante il vento.
—
Brindo alla stanchezza
zana della mia disperazione;
ferite dissipate sgraziate simmetrie
quando, curvato il vento,
la materia del mio nido
si dissolve.
Così cifro il rimosso
quando ritorna l’ansia antica
sollevando il sentiero
dove ammorba la mia peste.
Brindo alla stanchezza.
—
Sia il turgore
che la notte decide,
sia l’aura, / ombra marina
risacchi onde piane,
gravide sirti
nelle spiagge piatte,
adultere nel seme
pentastelle rosse.
È la morte degli uccisi
nell’età del piombo.
Ma se puoi,
sii peggior assassino,
del tuo nucleo cuore.
Amo
la prossima morte
purché tu viva
della mia scomparsa.