Nelle ragioni del divenire personale il principio di individuazione ci chiama alla responsabilità dell’integrazione di ogni parte lasciata all’indifferenziato e alle sue oscurità. Obbligati a percorrere la via che conduce allo sviluppo psichico, così da offrirci – a noi stessi, all’altro – nella pienezza e totalità delle possibilità individuali, ci rapportiamo con il mondo secondo la nostra specificità che affonda nel misterioso e profondo rapporto con l’animo che ha molteplici volti per mostrarsi, e spesso ci viene incontro attraverso la declinazione del “paesaggio”: della natura, degli uomini, della professione.
Con una (Giuliano Ladolfi Editore, 2012) Maddalena Bertolini accompagna il lettore dentro questo percorso che – appena lasciata la superficie privata e pubblica, quasi sempre immersa in una luce gravida d’affettivo nell’incontro con le persone, gli elementi della natura, la temporalità, il lavoro – è già dichiarato nel titolo, un termine bisillabo, carico di forte impatto nella sua asserzione, che tuttavia resta problematico in quanto inclina il lettore alla riflessione: si tratta di articolo indeterminativo che insinua una nebulosità cui aderire per fare chiaro muovendosi in ogni direzione, ma secondo una direttrice prefigurata, al fine d’individuare più tardi che cosa invece è in luce e scintilla protetto dalla indeterminazione o si tratta di nome misterico che comprende in sé una sorta di anonimato qualunquista provocatorio e irridente, poiché sotto e dentro il nome si custodisce un potere significativo, antico, più esattamente arcaico in quanto sapienziale?
Da qui – da entrambi i volti del termine – si parte per l’esplorazione del mondo poetico della poetessa di Pergine Valsugana, che spalanca come una casa aperta in estate i territori dei contenuti fortemente metafisici implicati nell’uso della parola, la quale, all’apparenza di impiego comune, risuona per interna forza d’immagine connotando un verso potente e di grazia e diligenza come una mano levata in benedizione, mentre si sta dentro il mondo senza remissione:
vado sotto la coperta della pioggia l’acqua mi cerca. Gocciolo come un albero o un lampione come quel cane curioso. Sono un segugio d’acqua sembro perduto: lei chiama il rabdomante e l’uomo trema con il ramo tra le braccia trema ogni fibra ogni mia consistenza, tremo sorgiva freddissima e allegra, giro su me stessa come un’auto che sbanda ti prego non frenare, lasciami scivolare a capofitto sotto il parapetto nel buio di un abbraccioQuesta prima poesia, che dichiara che si accoglie ogni cosa, si diventa ogni cosa, se si è disposti ad assumere in sé fiducia e coraggio, portando dentro il sentire e il fare ogni pulsione in quanto indispensabile al viaggio verso l’incontro con il sé completo – privilegio dunque anche per l’ontologia della parola poetica – introduce al crescendo di una che si sviluppa per sezioni numeriche fino all’ultima sono, che non a caso si afferma nel termine verbale di tempo presente e di prima persona, nonché singolare.
In mezzo, nelle sezioni numeriche, si svolge il percorso del creare la propria specificità in rapporto costante con ciò che costituisce e chi condivide il tempo della poetessa, le sue variabili dipendenti e indipendenti, il suo ferirsi di mondo senza soccombere a dolore o miseria umana:
ho messo nella vita tanti figli tanti urti quelle notti sbattute le porte premute sulle assenze e sempre le chiamate: arrivo! l’avamposto della voce arrivo, ancora non lo vedo ma quel verbo mi appende come un chiodo***
fuori sede tu parti e piove: usciamo presto con l’alba alle caviglie in questo odore di cuore calpestato. Io guido e tu hai addosso la barba e la tenerezza del sonno la luce finge di non vederlo e ti seduce. È facile per lei amarti solo perché al buio non esiste. Tu parti, il treno si allontana e il temporale si avvicina la pensilina è una pista d’aereo la stazione è già volata via come un piccione a cui ho dato un panino e un bacio Nella sezione sei incontriamo: pietra dobbiamo parlare io e te adesso sono i miei figli a salire a cercarti a arrampicarsi e godere delle tue gole dei fianchi i diedri delle tue pareti bastarde e redente. Devi accettare il mio patto – risparmia i miei uomini – e lo so che tanto non mi senti e non ti muovono le mie carezze e nemmeno le loro. Lo sai vero che ti amo, che tu sei fatta per me mi fai venir voglia di tutto così conficcata nel petto così bella (chissà com’è bello tuo padre)Nel dialogo con la natura – dialogo che non interrompe quello con l’affettivo familiare e anzi vi porta una connotazione amorevole e di ammirata partecipazione – vi si sente una caratteristica che congiunge modi di altri poeti dell’area tridentina: il domestico va sempre all’incontro – in una sorta di sacra devozione e sacro tremore – con le “…punte/ di tutte le montagne//… e io ritorno intera”. Qui, nella centralità della via dell’individuazione, Maddalena Bertolini testimonia quello che Arthur Schopenhauer ascrive al concetto di principium individuationis, e cioè il principio di ragione il quale conferisce alla “Volontà di vivere, che finisce per auto-limitarsi nella concatenazione di spazio, tempo e causalità” la caratteristica di essere – fin dal principio – infinita e libera.
Nella sezione sono si compie il percorso alchemico di questa raccolta in cui la tensione poetica non ha cadute e anzi esprime, in costante “levare” musicale, la presenza di una guida finalistica che attraversa come un viatico i vissuti connotati, raggiungendo la splendida meta dell’integrazione nella completezza del sé:
ultima
… Quando mi togli dagli occhi questo sguardo corto (lo detesto) mi fai vedere con tutto ridere di tutto ho il dito puntato sull’allegria del ritorno
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