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Chi?
I protagonisti dell’antologia 25 poesie per il 25 aprile, come lo stesso titolo dice, sono i poeti, che in poesia hanno fatto del 25 aprile una data fondamentale. In realtà le poesie sono 26 perché il testo di Montale fa da antiporta, alludendo al passaggio di Hitler a Firenze, che in qualche modo annuncia il male che ne conseguirà. Quel male a cui la Resistenza ha opposto i suoi anticorpi consentendo di festeggiare con il 25 aprile una data canonica di un paese non tuttavia del tutto e immediatamente pacificato (letterariamente ne dà testimonianza La ragazza di Bube di Cassola). Una data che in ogni caso segna l’accesso alla tanto cercata libertà dalla dittatura. Resta dunque da dire che molta poesia accompagna non solo quella data ma anche alcuni dei passaggi che a quella data portano e di cui tocca qui alla poesia evocare nei modi suoi i momenti cruciali.
Cosa?
Detto il contenuto ci sarebbe da sottolineare come i poeti che sono stati scelti (entro il bacino del nostro Novecento, da Govoni a Erri De Luca) abbiano dettato poesie di diverso assetto, ponendosi di fronte al tema in maniera a volte più diretta e immediata e altre volte più obliqua e allusiva, come alla poesia parrebbe più proprio, ma come mai siano precipitati nell’enfasi e nella retorica. Certo la data comporta un atteggiamento a volte celebrativo, ma più spesso di compianto, e la passione civile induce a qualche soprassalto di più, ma in genere i testi che ho scelto – salvo qualche sporadica eccezione – appartengono a voci di controllata adesione.
Come? (il luogo di dove)
E saremmo giustappunto con questo al come. Testi come quello di Quasimodo, che attraversata la temperie ermetica converte la sua poesia al drammatico acquisto di una realtà che lo smuove e costringe ad appendere ai salici la cetra per cantare con ben più realistica commozione – nello specifico caso che ho voluto documentare – la morte dei partigiani di piazzale Loreto. E, ad esempio, un testo come quello di Caproni, che solo una sua precisa indicazione consente di legare le sue parole alla morte di alcuni partigiani distesi sul pavimento di una casa di montagna, vegliati da alcune donne che non cessano di cucire le “bandierine” della cercata libertà: “L’occasione del Lamento V (Gli anni tedeschi), mi fu offerta da una veglia presso le salme di alcuni partigiani, mentre mi trovavo in una sconquassata casa di montagna accanto a quei morti sul nudo ammattonato e ad alcune donne che, con ostinazione maggiore dello sgomento, continuavano mute a cucire le bandierine dei distaccamenti”. La poesia, insomma, ha mezzi diversi per dire ciò che deve. Ad esempio Primo Levi chiama a raccolta (si direbbe che suoni la diana) i “partigia” che si sono assopiti, che rosicchiano la loro pensione o che vivono la loro vita rinunciataria e li invita – nonostante gli acciacchi e i malanni – a resistere ancora, perché – secondo il detto memorabile del greco di Salonicco, Mordo Nahum nella Tregua – “guerra è sempre”.
Quando?
Quest’anno è l’ottantesimo anniversario della Liberazione e dunque un anniversario che assume una più marcata funzione commemorativa, cui l’accompagnamento poetico non poteva mancare. L’idea prima è venuta a Roberto Cicala, cui ho fatto seguire una serrata ricerca dei testi migliori, recuperandone ben venticinque per amore di numerologia, da Ungaretti a Erba, da Luzi a Zanzotto, da Fortini a Carlo Levi, da Turoldo a Pasolini, da Roberto Rebora a Maria Luisa Spaziani, da Pavese a Bertolucci, da Gatto a Raboni, da Arpino a Silvio Ramat.
Perché?
Al perché credo di avere già – almeno un po’ – risposto, ma posso tornarci. Perché io credo che la densità e la frequente brevità del dettato poetico (più tuttavia estesi i testi di Luzi, Zanzotto, De Luca) salvaguardino o proteggano dal rischio dell’eloquenza, anche se poi – come da più parti è stato osservato – in certi casi un po’ di retorica non solo non è disdicevole ma può garantire una più forte percezione emotiva, riuscendo a risvegliare coscienze, a sottolineare l’importanza del tema e la possibilità di avvertirne l’urgenza.
scelti per voi
Cesare Pavese, Tu non sai le colline
Tu non sai le colline
dove si è sparso il sangue.
Tutti quanti fuggimmo
tutti quanti gettammo
l’arma e il nome. Una donna
ci guardava fuggire.
Uno solo di noi
si fermò a pugno chiuso,
vide il cielo vuoto,
chinò il capo e morì
sotto il muto, tacendo.
Ora è un cencio di sangue
e il suo nome. Una donna
ci aspetta alle colline.
—
Primo Levi, Partigia
Dove siete, partigia di tutte le valli,
Tarzan, Riccio, Sparviero, Saetta, Ulisse?
Molti dormono in tombe decorose,
Quelli che restano hanno i capelli bianchi
E raccontano ai figli dei figli
Come, al tempo remoto delle certezze,
Hanno rotto l’assedio dei tedeschi
Là dove adesso sale la seggiovia.
Alcuni comprano e vendono terreni,
Altri rosicchiano la pensione dell’Inps
O si raggrinzano negli enti locali.
In piedi, vecchi: per noi non c’è congedo.
Ritroviamoci. Ritorniamo in montagna,
Lenti, ansanti, con le ginocchia legate,
Con molti inverni nel filo della schiena.
Il pendio del sentiero ci sarà duro,
Ci sarà duro il giaciglio, duro il pane.
Ci guarderemo senza riconoscerci,
Diffidenti l’uno dell’altro, queruli, ombrosi.
Come allora, saremo di sentinella
Perché nell’alba non ci sorprenda il nemico.
Quale nemico? Ognuno è nemico di ognuno,
Spaccato ognuno dalla sua propria frontiera,
La mano destra nemica della sinistra.
In piedi, vecchi, nemici di voi stessi:
La nostra guerra non è mai finita.
—
Giorgio Caproni, Lamento V (Gli anni tedeschi)
Quali lacrime calde nelle stanze?
Sui pavimenti di pietra una piaga
Solenne è la memoria. E quale vaga
tromba – quale dolcezza erra di tante
stragi segrete, e nel petto propaga
l’armonioso sfacelo?… No, speranze
più certe son troncate sulle stanche
bocche dei morti. E non cada, non cada
con la polvere e gli aghi nelle bocche
dei morti una parola. La ferita
inferta, non risalderà la notte
sulle stanze squassate: è dura vita
che non vive nell’urlo in cui altra notte
geme – in cui vive intatta un’altra vita.
—
Giovanni Tesio (1946), già ordinario di Letteratura italiana presso l’Università del Piemonte Orientale A. Avogadro, ha pubblicato alcuni volumi di saggi (l’ultimo, La luce delle parole, per Interlinea, nel 2020), una biografia di Augusto Monti che ha avuto un seguito nel volume di saggi Augusto Monti. Letteratura e coscienza democratica (Araba Fenice, 2023), una monografia su Piero Chiara, molte antologie. Ha curato per Einaudi la scelta dall’epistolario editoriale di Italo Calvino, I libri degli altri (1991), riedito da Mondadori negli Oscar trent’anni dopo la prima edizione. Molto ha lavorato intorno a Primo Levi di cui ha pubblicato per Einaudi la conversazione Io che vi parlo (2016) e due volumi su vita e opere presso Interlinea: Primo Levi. Ancora qualcosa da dire (2018), Primo Levi. Il laboratorio della coscienza (2022). Sempre presso Interlinea ha pubblicato un pamphlet in difesa della lettura, della letteratura e della poesia, I più amati. Perché leggerli? Come leggerli? (2012), un “sillabario” intitolato Parole essenziali (2014) e due antologie dedicate alla poesia e alla prosa della Shoah, Nell’abisso del lager (2019) e Nel buco nero di Auschwitz (2021), e ancora, sempre per Interlinea, un’antologia dedicata a Pavese, Donne appassionate. Poesie d’amore e di morte (2022) e un’antologia dedicata alle poesie sulle piante, Anche gli alberi cantano (2024); infine una nuova riflessione sulla poesia, La poesia in gioco (2023) e una sulla lettura, Nel bosco dei libri (2024), ambedue per Lindau. La sua attività poetica, dopo esordi lontani, è sfociata nella pubblicazione di un canzoniere in piemontese di 369 sonetti, intitolato Vita dacant e da canté (Centro Studi Piemontesi, Torino 2017), poi seguito da tre titoli editi da Interlinea, Piture parolà (2018) tradotto in francese (14 seconde. L’art réfléchi dans un sonnet) da Perle Abbrugiati, Nosgnor (2020) e Paròla, amisa mia (2024). Nel 2018, presso Lindau, è uscito il suo primo libro di narrativa, Gli zoccoli nell’erba pesante, cui è seguito il Diario di un camminante (2024), che raccoglie l’esperienza compiuta del cammino di Santiago. È tra i membri della collana di poesia “Lyra” e dirige la collana “Diramazioni” presso l’editore Carabba di Lanciano. È stato per trentacinque anni collaboratore di “La Stampa”, cui ha ripreso a collaborare, ed è condirettore della rivista “Letteratura e dialetti”.