#1Libroin5W.: Luana Rondinelli, “Fimmine”, Dario Flaccovio Editore.

Chi?
Le protagoniste del libro sono donne che rinascono nonostante le avversità. Sono Franca, Rosa e Maria (in Taddrarite) tre sorelle che durante la veglia del marito morto della sorella più piccola svelano le verità mai dette, sempre sapute o ben nascoste, tre donne che nonostante le violenze subite riescono a trovare la forza di ricominciare a vivere. Sono Giacomina e Mariannina (in Giacominazza) che lottano per la propria libertà, per sconfiggere il chiacchiericcio maligno della gente che spesso ci mortifica e ci schiaccia. È Penelope che riscopre la propria dignità di donna e intraprende, lei, il suo viaggio (in Penelope l’odissea è fimmina) ed è Vincenzo che lotta per affermare la sua identità e diventare finalmente Innocenza (In Gerico Innocenza Rosa) raccontando come la figura della nonna lo ha aiutato e sostenuto.

Cosa?
I temi affrontati sono la violenza domestica, la violenza di genere, la libertà sentimentale, l’identità intesa come forza dirompente, perché solo essendo se stessi fino in fondo ci si realizza e si ha il coraggio di affrontare qualsiasi pregiudizio. Sono temi che non ho cercato ma che in qualche modo per un’esigenza particolare sono arrivati in modo naturale. Il filo conduttore dei miei testi è l’ironia che alleggerisce queste tematiche così forti e dolorose, questo è stato il motivo con cui senza troppe velleità ma con grande sincerità e chiarezza abbiamo trasmesso in scena (insieme ai miei attori) forti emozioni. Ed io nel corso degli anni mi sono fatta voce sul palco, attraverso la mia scrittura, di chi spesso “non ha voce”.

Quando e dove?
Un aneddoto è che Taddrarite (il mio primo testo) è nato sì durante un corso di scrittura a Roma nel 2011, ma è nato ufficialmente dentro una pasticceria, dove lavoravo per mantenermi. E così ogni idea, pensiero o parola che arrivava, veniva annotata nei fazzolettini di carta che troviamo nei bar e la sera a casa quando tornavo come un puzzle rimettevo insieme i pezzi e riscrivevo su un quaderno tutti gli appunti. Da lì è iniziata la mia avventura nella scrittura. Un periodo faticoso, pieno di entusiasmo ma anche di tanta irrequietezza e solitudine, di forza nel credere nel teatro e di sogni che piano piano prendevano forma.

Perché?
Il libro invece è nato per racchiudere il mio teatro dentro uno scrigno dove chiunque può ritrovare se stesso. Perché dal teatro alla carta in qualche modo è un segno distintivo che la mia parola esiste e viene letta, non solo ascoltata e vista. Grazie alla casa Editrice Flaccovio che ha creduto in me e grazie alle quattro personalità che hanno scritto le recensioni a corona di ogni testo: Donatella Finocchiaro per Taddrarite, Valeria Solarino per Gerico Innocenza Rosa, Gaetano Savatteri per Penelope l’odissea è fimmina e Giuseppina Torregrossa per Giacominazza.

scelti per voi 

 

Penelope l’odissea è fimmina

EURICLEA: Chi ran casino tinto… Ma quanto ancora ava a’ durare, ma tutti ’sti masculi ancora ca s’annu ha stare? Chi, piccarità! tuttu ’stu ormone di masculo taurino mi crea un certo sconquasso e accaldamento, ma comu si fa a staricci d’appresso… pisciano, mangiano roimmino, si scannano: ma pozzu stari tutti li iorna a puliziare? E chi camurria! Chi poi voglio dire ancora piacente sono… potrei fare ben altro… L’amore? Ma quale amore, ma ancora si criri a ’sta minchiata dill’amore. L’amore è un’invenzione pi farini schiavi, la vita è bella e una s’ava addivettire finché può… “Giovanotto… la vuole vedere una cosa bella”…
PENELOPE: Euriclea?
EURICLEA: Penelope, coippo di sangu, accussì si more…
PENELOPE: Notizie di Telemaco?
EURICLEA: No.
PENELOPE: Notizie di Ulisse nemmeno a pensarle…
EURICLEA: Ehm, no.
PENELOPE: Euriclea?
EURICLEA: Chi fu?
PENELOPE: Hai mai aspettato una cosa così tanto che credevi fosse tua e alla fine invece non lo è? Saper aspettare è un dono; riuscire a far scorrere la propria vita con la consapevolezza dell’attesa, di qualcuno o di qualcosa è un inganno; e quanta fiducia c’è in questo attendere, ma quando questa fiducia finisce l’atteso è sempre più lontano.
EURICLEA: Ci voli ’a pacenza da fimmina pi fari crisciri lu masculo, la fimmina si sa è chiù matura, l’omo pi discendenza avi sempi la smania di superarisi, di superari a se stesso. La vita è chissa: si aspettano i momenti boni, si aspettano chi passano i momenti tinti, si aspetta… Aspetta, tornerà, assicuterà a tutti ’sti masculi drocu fora chi parino arraggiati e tutto continuerà comu a prima… tutto qua…
PENELOPE: Aspettare significa stare fermi, se stai ferma la vita ti passa veloce e non resta che un ricordo di ciò che non è mai stato. Lo capisci?
EURICLEA: Eh certo cu capiscio.
PENELOPE: Volevo solo essere felice.
EURICLEA: La felicità sta nell’altra riva e non arriva mai.
PENELOPE: E se prendessi una barca e provassi a raggiungerla quella riva?
EURICLEA: Senti, tu chi ti sonni, cristiani, fimmini e maghi intorno a Ulisse, ’u sae soccu mi sogno io, sempre, ricorrente cà na me testa, ’u sae?
PENELOPE: No.
EURICLEA: Di anniare, di morire affogata, di sprofondare giù, di essere risucchiata da questo mare che tu vedi come una fuga. Si tinni voi ire vattini, c’è nella vita chi si accontenta e ghieo sugnu cà e cà vogghiu stare. Lu mari non è uguali pi tutti, cu ci viri la vita e cu ci viri la morti.
PENELOPE: Dovremmo imparare ad essere come le onde in continuo movimento (si avvicina amorevole alla donna) e a sfidarlo questo mare, perché solo lasciando andare la zavorra e il peso che ti lega al passato si possono issare le vele.
EURICLEA: Figghia tu la luna vuoi… e a niatri fimmini mancu li stiddri n’attoccano… veni cà ca ti cuntu la nuvena di ’stu munnu di cu è chi nata e di cu è chi va a funnu.
Niatri fimmine petri semo, picchì quannu ni etti a mari culamu a picco? No.
Picchì pisamo? No. Picchi un semo nenti, petri senza valuri? No.
Picchì ni pisano i pinzeri, picchi pesanti su i responsabbilità chi n’attoccano, nascemo accussì, petri pronte pi esseri costruzione, pi esseri chiantate n’terra a edificari famigghie, e l’omini su coccia r’acqua supra ’sti petri roventi, ’un ti fari astutare, pigghia ’sti petri e pisali, ’un ti fari anniare na ’stu mari di pinseri. Rapiti l’occhi cogghini ’u senso.
PENELOPE: Grazie. (L’abbraccia ed esce)

Gerico Innocenza Rosa

– Il giorno dopo se ne andarono tutti alla raccolta delle olive e dopo aver controllato a piedi scalzi se ci fosse qualcuno a casa, sono corso in camera sua a mettere le scarpe quelle col tacco che si metteva la domenica per andare a messa, mi diceva sempre che al cospetto di Dio bisogna sempre andare puliti e ben vestiti che la lurdìa che c’è all’interno dell’animo umano quella è difficile da levare, ma almeno eri profumato e presentabile.
Non trovavo le scarpe e cerca che ti cerca, mi abbasso per guardare sotto il letto, miii erano lì che mi dicevano indossaci Vicè, indossaci che con i tacchi ti fai più bello, allungo la mano per afferrarle e con lo sguardo vedo la valigia, quella famosa valigia… no no no che se esce un altro topo stavolta mi prende un colpo. Mi rialzo, accendo la radio di sottofondo e incomincio a ballare forte fortissimo che mi si sbota un piede e casco a terra, e ancora lì la valigia che mi guarda… la sposto un po’ con la mano, la sposto più forte e la faccio uscire da sotto il letto, mi siedo con le ginocchia al petto e la schiena contro l’armadio, la guardo, trattengo l’aria e apro una delle cinghie che la chiudono, mi rimetto in posizione e sputo l’aria… la guardo e rifaccio la stessa operazione, inspiro apro e espiro… la guardo… allungo una gamba e con un urlo per esorcizzare il momento la apro con la punta del piede, mi giro e chiudo gli occhi, sono pronto, apro un occhio e sbircio, minchia non vedo niente, mi devo avvicinare… mi chino sulla valigia e… (Musica) mi viene da piangere! I vestiti a fiori, dischi, una bottiglia di Marsala che penso dopo tutto questo tempo se solo ne bevessi un po’ sarebbe un coccio ri foco supra lu stommaco, dei bicchierini da liquore, scarpe con tacco ancora più alto, dei trucchi ormai completamente rovinati e una sua foto, era bella davanti allo specchio di quella camera in un sorriso luminoso di un tempo passato, di un tempo diverso, di un’altra vita… era giovanissima proprio come me in quell’istante appena maggiorenne lei, quasi maggiorenne io… la musica continua e io prendo un vestito mi viene un po’ stretto ma lo indosso, lo indosso lo stesso, mi metto le scarpe con un tacco più alto, faccio un giro per trovare l’equilibrio eeee vaiiiii continuo a ballare a ballare, prendo il rossetto cercando di recuperare un po’ di colore e le mie labbra allo specchio diventano rosse, divento rossa anche io, alzo lo sguardo e mi guardo dritto negli occhi – Buongiorno signorina Innocenza ma come siete bella oggi – – Signorina Innocenza mi sono innamorato di lei al primo sguardo – – Signorina Innocenza lei è la femminilità fatta persona! –
(Si sdraia sulla pedana, la musica sfuma)
Ma un giorno stanco dal caldo mi ero addormentato sul letto di nonna, una scarpa col tacco che mi ciondolava dal piede, il vestito steso a fianco a me sul letto e la musica ancora di sottofondo, e fu così che all’entrata dei piatti dell’orchestra arriva mia madre. Prende la scarpa penzolante e mi l’appoggia così forte sul petto all’altezza della bocca dello stomaco che mi fa così male che non riesco respirare.
“Mi fai male mà”
“Male?? Come tutto il male che mi stai facendo con questo gioco stupido del travestimento?? Male?? Come tutti quegli sguardi che la gente mi fa mentre cammino con te?? Che cosa gli devo dire ah? Che cosa gli devo dire? Me figghiu si sente fimmina?? E dunni a sbattì sta panza quannu ero incinta per farti cambiare così i connotati, dove??? Dove è questo male nel tuo cervello che te lo scippo con le mie stesse mani, dov’è???? Che ti faccio scordare sta cosa di essere femmina.”
E continuava a colpirmi in testa con il tacco della scarpa.
“Piangi?? Avissi a chianciri iooo, ioooo, ma non lo faccio perché queste lacrime non te le verso, chi m’abbastaro chiddri quannu ti parturì e l’avia a capiri dru iorno, non te le meriti, non te le meritiii, non ti riconoscerò mai, non la riconoscerò mai!” e colpiva, colpiva, colpiva…
Nonna: Lassalo stare! Che per quanto è vero che sono tua madre così come ti
ho fatto nascere così ti ammazzo! Non lo toccare mai più! Mai più!

– Mia madre si lasciò cadere la scarpa dalle mani e solo dopo si accorse del buco che mi fece in testa, ma non sentivo dolore, no, almeno non lì, ma su tutto il corpo sì. Come si m’avissiro mangiato li cani, come se quel corpo finalmente si ribellava, quella carcassa che ricopriva come un vestito la vera me iniziasse un processo inverso.

Nonna: Il dolore serve per farti capire molte cose. Tipo ti fa capire chi lu spirito… abbruciaaaa (e soffia sulla ferita) ma tu hai la testa dura e le cose le capisci da solo, non ci sono mai strade facili, si vivrebbe nella rassegnazione e noi? E noi? Eh bravo, e noi non ce lo possiamo permettere. Amunì andiamo ad accendere la vecchia A112 du nonno chi ni facemo ‘u beddru giro, e ‘un mi taliare accussì, lo so che non ho la patente, ma in mezzo alle campagne cu ti ferma? Moviti! Ammutta Vicè che per far ripartire le cose vecchie ci voli un beddru ammuttune” . Tu non ci sei mai salito su un aereo, ma quando un aereo parte, prima si fa tutta la pista piano piano, apri i finestrini copilota, gira le curve piano piano, apri pure quelli di dietro copilota, poi solo dopo si ferma e si mette in posizione e quando è pronto inizia ad aumentare la velocità su quella pista dritta dritta e aumenta di velocità e aumenta di velocità e aumenta di velocità, forza copilota allarga il braccio fuori dal finestrino e facemo l’ali di l’aereo, aumenta sempreee di più e volaaaaaaa, volaaa Vicè pigghia l’aereo e volaaaaa… ‘un ti scantare, che il cielo è grande e ci stanno tutti.
Vincenzo: Oh nò attenta a dra pecura!
Nonna: Nuvola era, una nuvola Vicè!
Vincenzo: Attenta a dru gregge di nuvole. (Sorride)
Nonna: Lassali stari ci passiamo attraverso alle nuvole non ci ferma nessuno… vola Vicèèè, vola!

*

Luana Rondinelli (in copertina nella foto di Salvatore Sinatra) è attrice, drammaturga e regista. Nata nel 1979 a Roma, ma cresciuta a Marsala, si diploma alla scuola di teatro del comune di Marsala diretta dal maestro Michele Perriera. Continua la formazione presso Ribalte, scuola romana di recitazione guidata da Enzo Garinei, e partecipa a molteplici laboratori. Nel 2011 fonda la compagnia Accura Teatro ed è autrice e regista di TADDRARITE: pièce contro la violenza sulle donne, con cui conquisterà il premio della critica al contest internazionale Etica in Atto 2013, oltre a quello del Roma Fringe Festival 2014 come miglior spettacolo e drammaturgia. Vittoria, quest’ultima, che consentirà l’approdo della rappresentazione negli USA al San Diego International Fringe Festival 2016, anticipato dalla chiamata all’In Scena! Italian Theater Festival 2015 di New York. Altri riconoscimenti le giungono per GIACOMINAZZA, testo da lei creato e recitato, insignito quale miglior scrittura originale al festival nazionale Teatri Riflessi di Catania, e in seguito premiata come miglior caratterista e miglior drammaturgia al Premio Città di Leonforte; e per A TESTA SUTTA che scrive per l’interpretazione di Giovanni Carta, ottenendo il Premio Fersen alla drammaturgia in un anno che, peraltro, la vede in giuria al prestigioso Premio Mario Fratti di New York. Successi che anticipano il lungo lavoro svolto sulla stesura e creazione di PENELOPE – L’ODISSEA È FIMMINA, coronato alfine dalla vittoria del Premio Anima Mundi 2018 alla drammaturgia femminile, assegnatole al Piccolo Teatro Grassi di Milano, prima del debutto estivo sulla scena delle Dionisiache del Calatafimi Segesta Festival. Nell’estate del 2019 il Teatro Stabile di Catania le commissiona un testo per i 350 anni dalla più grande eruzione dell’Etna, nasce così “ETerNA a’ vucca l’amma” per la regia di Nicola Alberto Orofino. A gennaio del 2020 dirige tre attrici di fama nazionale Donatella Finocchiaro, Claudia Potenza e Antonia Truppo, nella nuova versione di Taddrarite grazie al quale le verrà riconosciuto una menzione speciale per il teatro al Premio Afrodite. Durante il periodo di chiusura dovuto al lockdown scrive due corti teatrali che saranno inseriti in due progetti video “La bella impastata cu sonno” andato in streaming per la manifestazione “Notte di zucchero” di Palermo, girato presso le Catacombe e interpretato da Giuseppe Provinzano e Cristiano Pasca e il corto “Màttula un batuffolo di polvere a teatro” all’interno del progetto video “Avanti veloce” prodotto dallo stabile di Catania. Partecipa anche come autrice al progetto “Gli abiti del male” sette video sui sette peccati capitali, il peccato assegnatole “La gola” è interpretato da Laura Giordani, che per lei ha scritto una nuova versione di Medea sullo body shaming. L’11 agosto ha debuttato lo spettacolo “Sciara prima c’agghiorna” testo da lei scritto ispirato al libro di Franco Blandi (Francesca Serio La madre) con I Musicanti per la regia di Giovanni Carta, prodotto da Gregorio Caimi. Nel 2021 scrive e dirige “Gerico Innocenza Rosa” monologo sull’identità di genere interpretato da Valeria Solarino. Ha scritto insieme allo sceneggiatore Francesco Teresi la sceneggiatura di “A testa sutta” tratto dall’omonimo spettacolo teatrale e “Assunta” tratto dal libro di Alessandro Savona “Ci sono io”. 

Potrebbero interessarti