Abitare lo spazio della poesia, credere soltanto nelle parole

rubrica, parola d’autore

«T’ho barattato, amore, con parole»: ripenso all’imperdonabile Cristina Campo ogni volta che faccio indigestione di vita e avverto l’esigenza di tradurre immagini, profumi, suoni e ricordi sulla pagina scritta. Non ho il dono del verso e rinuncio ad andare a capo, eppure le mie giornate traboccano di poesia: la leggo, la studio, la regalo, la cerco nel mondo; questa sorta di pathos della distanza mi consente di guardare le cose con meraviglia e, al tempo stesso, con spirito critico.

L’indipendenza ha caratterizzato la mia ricerca sin dall’andirivieni universitario tra il Dipartimento di Antichistica e quello di Lingue e Tradizioni Culturali Europee: l’antico non mi è mai bastato, ma ho sempre saputo che il moderno, per definire se stesso, ha bisogno di richiamarsi ai modelli classici, rinvigorendoli o prendendone le distanze. L’avventura è cominciata così, con le vele purpuree della galea di Cleopatra che dal testo in prosa di Plutarco hanno preso il largo verso la poesia shakespeariana. La comparatistica è la disciplina magica in cui mi riconosco, perché al rigore dell’indagine scientifica mi permette di affiancare la libertà dello slancio d’interpretazione.

Un piccolo – per me preziosissimo – frutto di questa passione che mi anima è il mio Mito classico e poeti del ’900 (Stilo Editrice, 2016), un saggio con antologia poetica che rilegge i personaggi del mito antico alla luce della loro persistenza nella poesia novecentesca. Quelle pagine hanno il colore dei miei viaggi, della mia vita irlandese e dei miei giorni romani, ma rivelano anche l’attaccamento tenace alle mie radici pugliesi; dicono delle sconfitte e dei frustranti fallimenti, ma custodiscono anche la generosità di chi ha permesso che quei pensieri, nati in forma virtuale come rubrica sul sito di Parco Poesia, assumessero la forma di un libro, attraverso Building Apulia, concorso per giovani autori emergenti. Ora quei versi rinascono addirittura in uno spettacolo teatrale, linguaggio universale che fa danzare la musica del mito, e altri risuonano nella mia voce in un ciclo di incontri che curo nella Libreria Zaum di Bari e che mi permette di porre l’accento sulla centralità della parola poetica nelle nostre vite, persino quando non ce ne accorgiamo.

A volte mi sembra di poter vivere di questo: abitare lo spazio della poesia, credere soltanto nelle parole, prendere per mano i ragazzi e sfogliare con loro libri di ieri e di oggi che siano in grado di suscitare domande, più che offrire risposte. La poesia sa dare un nome persino a ciò che sfugge; io non sono all’altezza di questo compito, ma non per questo smetto di cercarla.

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