rubrica, parola d’autore

La Olivetti verde di mio padre aveva i tasti alti, uno schiaffo ogni lettera, colpi di metronomo che incidevano la pagina e si facevano sacca per l’inchiostro, mentre dal lato sbagliato del foglio erano rilievi su cui far correre il dito.
Erano sistole e diastole di tempo, era camminare ai bordi slabbrati tra un a capo e l’altro in cui vedevi solo il passo immediato, nessuno spazio per il ripensamento. Perché le parole erano già lì, piene.
E quando è arrivata la radio, con tutte quelle voci che dal pozzo della pancia si facevano vento e fiato, e portavano suoni da qualche punto lontano, sintonizzarsi sulla frequenza dei folli è stata l’unico gesto possibile. Altrove era solo centrare la riga e sentire gracchiare. Perché i folli sono mantici pieni d’aria che a ogni respiro fanno girare le pagine.
Sono partita con questo vento in testa quando ho iniziato ad ascoltare le voci di chi le voci le sentiva, ma non aveva fiato per dirle. Ho imbastito parole perse o nascoste, sono stata narrazione senza diagnosi, storie senza cartella clinica, tempo senza margini, fogli senza firme. Ho tessuto, scucito e rattoppato le pagine e il senso. Poi ho ripreso la vecchia Olivetti verde e ho creato montagne e voragini per farci stare tutto dentro.

*

Una notte per sbaglio mi sono persa.
Come quando perdi un bottone e non te ne accorgi, e ti resta il filo che pende monco.
E allora gliene attacchi un altro. Così mi sono attaccata un’altra me.

Quello che parlava se n’è andato. Non lo so dove.
Aveva detto tutto, o forse gli era rimasta qualche sillaba impigliata. Io presidio il suo posto su questa poltrona che cambia forma ogni giorno, e mi lucido
le mani sulle gambe, perché a furia di strofinarle riuscirò a limarle.
Quello che parlava al posto mio se n’è andato.

Io non so che altro chiedere a questi contorni sfigurati dalla nebbia, a questo tempo inceppato
al silenzio. Non so che farmene di scoli di pensieri dai finestrini del treno.
Ricompongo i pezzi del lessico sbriciolato dai giorni, accordo le dissonanze, consegno pacchi
alla dogana del tempo. Faccio la conta dei dolori illegittimi.

Io non ho peso specifico. Sono disabitato.
Mi dispiace, dottore, non ho storie da raccontarti. Non ho passato da rimestare. Non sono mai
accaduto.

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