Io e Alberto siamo sempre stati particolarmente legati, da un amore fraterno così profondo e così particolare in tutte le sue sfumature che quasi appare impossibile descrivere. L’unione ha radici lontanissime, io sono più piccola di otto anni e sin dalla mia nascita in Alberto si è generato un grande affetto protettivo nei miei confronti che nel tempo ha maturato caratteristiche di reciprocità, ci proteggevamo a vicenda, dalla vita, dalle paure, dal dolore, quello che poi ci ha colpiti duramente soltanto circa sei anni fa con la morte di nostra madre, madre amatissima.
Ci telefonavamo più volte al giorno, a volte anche soltanto per cogliere nella voce dell’altro sfumature impercettibili e per rassicurarsi da lontano, o preoccuparsi se per caso si avvertiva nei toni un cambiamento. Eravamo capaci di dirci “a domani” più volte, in sequenze di telefonate che non finivano mai. Commentavamo ogni accaduto del giorno, aspetti frivoli o di contenuto, ridevamo spesso e spesso negli ultimi tempi parlavamo del nostro futuro, chissà cosa il cuore anticipava in segreto, cosa sentivamo che non avevamo il coraggio di dire.
Sono cresciuta insieme con lui in un ambiente intellettuale molto forte, sin da ragazza mi sono trovata a frequentare salotti letterari e grandi poeti, ricordo di Amelia Rosselli, un pomeriggio a casa nostra, nel nostro soggiorno a conversare con noi in famiglia in un clima di grande naturalezza.
Oppure le telefonate in tarda serata di Sandro Penna agli esordi della carriera letteraria di Alberto, negli anni ‘76 ’77, che chiedeva a mia madre se era possibile parlare con il poeta Alberto Toni.
I Festival della poesia, Giovanna Sicari, Beppe Salvia, e tanti altri nomi cari e oggi noti; i primissimi anni 80 quando Alberto usciva da un lungo periodo buio a causa di una grave malattia e tutti gli amici di quell’estate dell’83 l’anno della sua guarigione, che venivano assiduamente a trovarlo, alcuni fermandosi addirittura e spesso a dormire da noi. Tantissimi ricordi, una vita, la nostra, passata insieme. Ricordo la mia mamma che spesso diceva la cosa più bella per me è pensare all’affetto che vi lega, alla vostra unione. Eccomi, la vita mi ha tolto gli amori più grandi, ma la loro voce risuona nel mio cuore, e so che non mi abbandonerà mai.
*
Sette poesie dalla raccolta “Non c’è corpo perfetto”, pubblicata da “Algra” di Alfio Grasso, nella collana “Ginestra dell’Etna” diretta da Maurizio Cucchi e Antonio Di Mauro.
Didascalia minima e accensione.
Viaggio solo, il peso è mio, la torbiera,
il drappo, la visiera, il cappotto. Mi ricordo,
lo comprai quando il vento ancora soffiava
forte, mi preparavo.
—
oh la mia fronte, non più di ieri paradisiaca,
eppure già prende l’incanto di una mimica
più lieve, sente il tempo, segna il cerchio,
riprende a tratti un vecchio motivetto.
È in quell’andare che mi riconosco,
dal basso all’alto, dal frammento
che si ricuce a fatica.
—
a non esistere che come madre.
J. Lacan
Ho visto dunque l’anima salire,
così, semplicemente, l’acquaviva che a me restituiva
l’arco dei decenni, tramutava, tramuta in una sola volta
e l’infinito in fauci,
sembra niente, un parto e spazio, mi spinge per un po’
in tutte le direzioni.
Dopo, che a mano a mano consideriamo il tempo,
e concluso, qui ancora foglie dentro il mio giardino
e sono sparse ovunque. Poi sento che cammina,
il tramestio solito alle otto del mattino, si prepara
per andare a lavorare. esce di casa, tornerà per pranzo,
in cucina, poi ancora là seduta nella stanza. Breve nell’ansia sarà stato
un cenno di stanchezza, ma mai tardi, mai così manifesto da distruggere la vita.
—
Destino
La storia dell’essere inizia con la dimenticanza dell’essere.
M. Heidegger
Quando non ce la fai più. Il destino ha chiamato,
proprio al principio si ritorna, anch’io ritorno
e dura la difesa si riflette in un tratto di luce.
È stata, nel consumarsi, nel sottrarsi, viva la fede
orante che tra noi riuniva e parlava tutti i nostri
nomi.
era stata, ma misurarlo il tempo, ancor prima di me
nel suo nascondimento vivo e terrestre così
attenta a ogni cosa, a ogni intendimento.
Perché l’altro sapesse, fuori da ogni male,
purezza e rinuncia della vanità.
Dovrà essere, dovrà sopportare, perché una madre
sopporta e vede, tra noi, ero seduto e solo, mi diceva,
vai figlio, edifica l’edificabile delle parole prime,
le mie che porterai con te, segno di appartenenza,
a memoria, inchiostro, tuo indelebile bistro e destro.
—
Aria
Sentivo era una verità nell’aria,
a te lo dicevo, mi pare, d’estate o primo autunno,
un’aria che dà ritmo, senza peso. Spianava
di me prossimo al ricordo una punta d’orgoglio
per il bene d’amore. Sì, quando poesia sorprende
tutta una vita e incanta la carta ferma sul tavolo.
Soltanto un celeste
chiarore che perduto tra biro e lapis canta di me,
di te, agli altri ricuce un vago profilo d’ombra.
—
A te, nel giorno un luogo ritrovato,
uno stato della mente, un albero, il suo rimando
e l’ombra quieta che mi accompagna. raro sapere
e più raro l’incanto che di porta in porta sfugge
nel suo farsi radice e sentimento certo. Solo di me
nel passo e sempre in alto, quello che è me chiuso,
insidiato. Volevo quando ho chiesto e il chiesto
è andato.
—
Ma ciò che più m’insidia e tormenta,
lo vedi, eravamo liberi e felici nei campi
della giovinezza rapita. E scavi tra le zolle
il fortunale che trasporta l’acqua, la pietà
se al mio occhio giunge il tuo ramo ancora fresco.
Tutte le anime del mio giardino e le tue;
tutto un farsi e disfarsi d’azzurro e grigio
e poi ancora d’azzurro; e ancora l’ombra
che seguo, la mia, la tua, andare e tornare,
che già vuol dire la forza e del fatto
che avrò voglia, coraggio e armonia
di perdermi nel tuo cielo puro.
ph in copertina è di Dino Ignani