Alessandro Finocchiaro, “traduce” e su tela riluce la poesia di Bufalino.

«Nel guscio dei tuoi occhi / sverna una stella dura, una gemma eterna. // Ma la tua voce è un mare che si calma / a una foce di antiche conchiglie, / dove s’infiorano mani, e la palma / nel cielo si meraviglia. // Sei anche tu un’erba, un’arancia, una nuvola… / T’amo come un paese.». Versi scelti dalla speciale edizione di “L’amaro miele”, voluta dalla Fondazione Gesualdo Bufalino per il centenario della nascita dell’autore comisano (15 novembre 1920), fedele all’ultima (terza) edizione Einaudi del 1996, impreziosita dai dipinti di Alessandro Finocchiaro. Versi scelti per il «gioco allusivo e analogico di avvincente fascinazione che, (scrive Nunzio Zago, Direttore Scientifico della Fondazione e curatore del libro), ci permette di seguire meglio il processo di elaborazione simbolica per la quale la donna amata dal poeta si confonde e coincide (…) con il profilo reale e insieme magico del paese, della natura siciliana».

Cosa ha significato per te, oltreché artisticamente, la proposta di ‘tradurre’ nel tuo peculiare linguaggio i versi di Bufalino?
Sono stato invitato da Nunzio Zago a lavorare per i dipinti sul libro L’amaro miele. Avevo già letto le poesie anni fa, ero in possesso della terza edizione Einaudi, l’ultima licenziata dall’autore prima dell’incidente. Zago mi ha dato carta bianca, ho potuto scegliere io i testi. In generale non ho dipinto su poesie puramente descrittive, ammesso ce ne siano nella raccolta. Ci sono però alcuni testi nel libro che sono già perfettamente dei quadri, ecco quelli non li ho affrontati. Alla stazione di Acireale, ad esempio, con quel “cerchio di tetri cavalli”, da un lato mi sarebbe piaciuto inserirla per l’ambientazione nella mia cittadina, dall’altro descriveva già così perfettamente un’atmosfera e una situazione da non farmi sentire la necessità di cavarne un’immagine dipinta. In un certo senso grazie all’incontro con la poesia dolorosa e immaginifica di Bufalino sono nati dei quadri altrimenti impossibili, in qualche modo unici nel mio percorso. Penso ad Amici in armi, con quelle croci sulla neve, ad esempio, i tronchi colorati in controcanto. Il più delle volte il dipinto è come un’immagine scaturita naturalmente dalle immagini viste leggendo, in qualche caso ho fatto un piccolo lavoro di ricerca. Ad esempio non sapevo com’era fatta una radio a galena, che volevo assolutamente inserire nel dipinto su Stanza alla “Rocca”, una delle poesie che più mi aveva toccato. Altre volte ho un po’ attualizzato le immagini con degli anacronismi, in Lettera di capodanno c’è uno smart-phone tenuto in mano dal ragazzo e la ragazza che si scambiano il numero.

Alessandro Finocchiaro, Lettera di capodanno, 2020, olio su tela, 80 x 84 (dettaglio)

Ci ricordi i dettagli della mostra, e fino a quando sarà visitabile?
In mostra, alla Fondazione Gesualdo Bufalino di Comiso, visitabile fino al prossimo 15 Novembre 2020, ci sono i tredici dipinti accostati alle rispettive poesie, in più un disegno acquerellato che accenna al tema di uno dei quadri.

Dei tuoi deliziosi dipinti, che, attirandoci e spiazzandoci, colgono magnificamente la poetica bufaliniana, puoi raccontarci ‘cosa’, tra tanti versi, ha orientato le tue scelte?
Intanto grazie per i tuoi apprezzamenti, sono felice che i quadri ti piacciano. Ho forse un po’ già risposto, posso dire ancora che le immagini evocate dalla poesia erano di solito il grimaldello per accedere a studio e cominciare il quadro. A volte ho sentito incombente, come una montagna da scalare, la presenza di Bufalino, scrittore coltissimo e poeta. Ho lavorato due anni ai dipinti, sino all’ultimo fatto nel periodo di lockdown. Affrontare le sue poesie ha aperto come nuove finestre. Mi è venuta voglia di leggere Le grand Meaulnes, per esempio.

Cosa, nello specifico, vorresti non sfuggisse all’osservatore? Cosa, in generale, di un tuo dipinto, credi (o vorresti) metta meglio a fuoco la tua personalità artistica?
Non mi è facile rispondere. Vorrei che la gente si accostasse ad essi come quando si guarda un paesaggio. Se dei miei dipinti dicono forse di un disagio, spero di averlo detto senza gridare, con una certa gentilezza.

Qual è, e per quali ‘ragioni’, il colore che meglio sposa la tua interiorità?
Non ce n’è uno. In qualche modo è ogni volta quello che dipingo. Potrei dire l’azzurro, quello della distanza, che spesso ritorna, ma non saprei. Le ragioni sono in qualche modo ogni volta diverse, e questo è l’unico motivo che mi spinge ancora a prendere i pennelli. Anche il verde è un colore che ritorna, come certi grigi. Nei quadri per Bufalino ho sentito invece molto gli aranci, i rosa.

Per Leonardo da Vinci “la pittura è una poesia muta, e la poesia è una pittura cieca”, per Alessandro Finocchiaro?
È una definizione molto bella. Credo che la pittura al suo più alto grado possa essere assimilabile alla poesia, entrambe queste arti cercano nuove forme di bellezza, propongono delle visioni, che da soggettive possono assurgere ad universali. Penso spesso all’infanta Margarita in blu di Velasquez, vista una volta in mostra, all’enigma di quella pittura, trasparente come l’acqua e trepida come la vita.

Esiste un altrui dipinto nel quale, all’occorrenza, rivolgi il tuo sguardo per lasciarti accogliere, confortare?
Mi succede spesso con alcuni di Pierre Bonnard, che naturalmente non ho in casa. Ma anche con qualcuno di amici pittori, avuto con qualche cambio, si crea questo rapporto, è un po’ come parlare con loro, come incontrarli. Di Bonnard vidi una grande retrospettiva anni fa al Musée de la Ville di Parigi, andai appositamente, ne valse la pena. Una volta ho inserito la sua Marthe in un mio dipinto, qualche anno fa.

Oggigiorno quali sono (o dovrebbero essere) funzione dell’arte e responsabilità dell’artista?
Se l’artista è famoso e seguito, come nel caso di Banksy, o David Hockney, per dire due nomi che mi saltano in testa, può essere importante un ‘messaggio’ lanciato all’umanità. In generale credo poco alla missione dell’artista, è forse in qualche modo una sorta di vocazione, che se è libera e onesta può comunque far pensare, o offrire sollievo e bellezza alla gente, che non è poco. Matisse voleva che i suoi dipinti fossero come delle poltrone, per riposare.

www.fondazionebufalino.it
Alessandro Finocchiaro, Al fiume, 2019, olio su carta su tavola, 36 x 26 cm
Alessandro Finocchiaro, Malanotte, 2018, olio su tela, 27 x 24,5 cm
Alessandro Finocchiaro, Stanza alla “Rocca”, 2018, olio su tela, 50 x 47 cm

 

Alessandro Finocchiaro (Catania, 1967).
Vive e lavora a Collevecchio, in Sabina. Pittore, insegnante alle scuole primarie, ha scritto e pubblicato testi su artisti quali, tra gli altri, Gino Rossi, Anton Zoran Music, Luc Tuymans, Antonio Scordia, Salvatore Gordon Grasso (Silvana Editoriale), in cataloghi e riviste. Ha illustrato per Menadito la poesia Il corno dell’araldo di Alfred Jarry e prodotto un libro d’artista su Eksperiment di Wislawa Szymborska, esposto in occasione della mostra Canecapovolto/Il libro unico. Tra le recenti esposizioni: Comiso, Fondazione Gesualdo Bufalino, L’amaro miele, riedizione del volume di poesie a cura di Nunzio Zago, 2020; Milano, Mars (con Giulio Catelli) Cats love birds, 2019. Fusignano, Museo di San Rocco, Selvatico 14, a cura di Massimiliano Fabbri; Roma, Galleria Andrè Oltre il segno/RAW, 2018. Ameno, Museo Tornielli, Landina, a cura di Lorenza Boisi. Vicenza, L-Officina e Galleria Ghelfi, Birds, a cura di Enrico Mitrovich. Roma, Galleria Andrè (con Laura Barbarini) Il verde è il nostro segno, testo di Carlo Fabrizio Carli, 2017. Civitanova Marche, Galleria Centofiorini, personale, con un testo di Ruggero Savinio. Selvatico 12, Foresta. Pittura Natura Animale, a cura di M. Fabbri – Forlì, Galleria Marcolini, a cura di Lorenzo Di Lucido. Nel 2009 è stato realizzato un video-documentario sul suo lavoro, Il muro e le rose, di Sebastiano Pennisi e Zoltan Fazekas (Italia, 24 min.).

 

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 20.09.2020, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

 

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