Il filo spinato del titolo è quello che, trattenendo il nonno di rientro da un assalto durante la Grande Guerra, gli salvò la vita. Senza quel filo non ci sarebbero stati il padre del poeta, né la zia Bianca, né lo zio Dario, né il premio Nobel di quest’ultimo. Incontriamo poi in questo libro un ricco romano del IV secolo, di cui rimane pressoché solo il nome: ma fu grazie a lui se il giovane Agostino poté studiare. Senza di lui, niente Confessioni. E poi, ancora, una borsetta di perline trovata fra le macerie della Seconda guerra mondiale e conservata durante la prigionia per essere regalata a una futura nipote, che ora l’ha riposta così gelosamente da non riuscire più a trovarla. La consolazione di un declivio fiorito lungo la strada che conduce a un lavoro logorante. Una pagella del 1934, nella quale un 6 in matematica fa ancora recriminare dopo più di ottant’anni l’alunna che lo ricevette. Un garage da sgomberare, in cui giace un tesoro di lettere di Ripellino. L’avvento salvifico di vecchi libri sbrindellati nella cella di una prigione. Le poesie di Alessandro Fo raccontano piccoli episodi come ripresi da vecchie foto, sempre con la speranza che qualcosa resti, dopo la fine di ogni storia. Sempre con la certezza che tra lo scomparire e il riemergere ci sia un filo sottile, spinato o no, a cui tutti siamo appesi.

 

Tre poesie scelte da “Filo spinato” (Einaudi 2021)

 

Dopo un assalto, rientrava di fretta,
ma al momento del salto, sotto i colpi
restò impigliato in un reticolato.
Bestemmiando contro i numi avversi
disimpegnava in affanno la ghetta,
quando una bomba gli sorvolò la testa,
finí in trincea al suo posto, e uccise tutti.

Senza quel filo, a cui noi siamo appesi,
niente Bianca, né Dario, né Fulvio,
né noi nipoti, né il premio Nobèl

(né questa nebbia di ricordi in versi).

Quel che inizia nel giorno

Disporre a chi lasciare i libri, i quadri:
un giorno o l’altro ci dovrò pensare.
E anche giacche, cravatte, biancheria,
la vita dei bicchieri e delle pentole…
È l’alba, e lento mi dirigo al lavoro,
mentre sul cielo semigrigio e lucente
scorre a zigzag la fuga di spioventi.
Mi supera, compresa nel suo footing,
una ragazza.
Ha la coda,
le sobbalzano
nel passo svelto e elastico i capelli.
Ma a destare stupore
è come, anche all’impatto delle suole,
sia già lontana, senza alcun rumore.

Doni

Nella notte d’estate appena tiepida,
ma quanto basta a aprire la finestra
sul silenzio di stanze e luci fievoli,
anche se è tardi d’improvviso un’elica
fa la sua rotta verso l’eliporto.
Non ha orari il trapianto.
E in volo nel ricordo
c’è casa tua sulla linea del «Pègaso»,
cavallo alato che, nei nostri giorni,
serve gli eroi nel trasporto degli organi.
Se per caso ne avvertivi l’elica
balzavi su e correvi alla finestra
presa da affanno e improvviso sconforto.
E anche se tacevi
sapevo che avvenire avevi in mente,
disposto a testamento.
«Io che, da viva, non servivo a niente,
servirò a qualche cosa almeno morta».

 

Alessandro Fo è nato a Legnano nel 1955. Insegna Letteratura latina all’Università di Siena. Le sue principali raccolte di poesie sono Otto febbraio (Scheiwiller, Milano 1995), Giorni di scuola (Edimond, Città di Castello 2000), Piccole poesie per banconote, (Pagliai Polistampa, Firenze 1° gennaio 2002), Vecchi filmati (Manni 2006). Per Einaudi ha pubblicato le raccolte di poesia Corpuscolo (2004), Mancanze (2014) e Filo spinato (2021) e ha anche tradotto e curato Il ritorno di Rutilio Namaziano (1992), l’Eneide (2012, insieme a Filomena Giannotti) e, di Apuleio, Le metamorfosi (2010) e La favola di Amore e Psiche (2014). Ha inoltre curato varie edizioni di opere di Angelo Maria Ripellino, tra le quali quella che riunisce le tre raccolte poetiche Notizie dal diluvio. Sinfonietta. Lo splendido violino verde (Einaudi 2007, con Federico Lenzi, Antonio Pane e Claudio Vela).

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