Asteroidi D’inchiostro
“libri come corpi celesti persi nello spazio dell’indifferenza”
Accingersi alla lettura del romanzo di Judith Schalansky è un po’ come camminare in punta di piedi su un trattato di biologia. L’equilibrio della sua prosa colta, ma non coltissima, eppure efficace grazie a mille nozioni ti piroetta in spazi di autentica magia rupestre. Con maestria la sua scrittura narra la storia naturale del cosmo e dei suoi esseri viventi, quali animali di ogni specie mettendoli quasi a paragone con la vita degli alunni della protagonista, un’insegnante fuori dal proprio tempo, in bilico tra la teoria dell’evoluzione e l’indifferenza mostrata verso il genere umano: poiché per lei la concorrenza tra le specie e la capacità di adattamento sono tutto ciò che conta. Inge Lohmark la protagonista principale del romanzo insegna biologia in un paesino dell’ex DDR, dove si respira ancora una certa nostalgia del socialismo e il tasso di natalità è ai minimi storici, algida e spesso disinteressata al mondo circostante dei propri alunni, ai quali dà del lei, tratteggia una distanza che è impari alla sua devozione per tutto ciò che determina l’equilibrio del cosmo.
La Lohmark è astratta nelle relazioni con il genere umano (vedi il disinteresse per il marito tutto preso dal suo allevamento di struzzi) ma profondamente attratta dalle specie animali e dall’universo botanico, non a caso indica ai propri allievi l’unica via percorribile per la relazione tra le loro vite: inesistenti senza un rapporto morboso con le leggi della biologia. Come sbalzata dentro un darwinismo psicotico questa insegnante disillusa dalla razza umana si incanta soltanto dinnanzi alle sue venerate meduse indicandoli come organismi primigeni, per lei “ Nessun altro animale bilaterale è dotato della loro bellezza. Nulla supera la loro simmetria radiale”. Ciononostante qualcosa accade in questa donna dura difronte alle incertezze dell’essere umano, forse anche travolta da un probabile malessere fisico inizia ad avere uno strano sentimento nei confronti di un’alunna Erika, complice “la sua grafia da maschio”. In contrapposizione viene alla luce anche il rapporto mai idilliaco con la figlia Claudia (residente in America) la quale con una email telegrafica svelerà un ricordo che creerà nel suo universo inattaccabile un cambio di registro, e forse l’inizio di una implosione esistenziale. Questo libro nonostante la sua struttura saggistica perpetrata dalla visione di una insegnante inacidita , a tratti insensibile perché ridotta a puro pensiero, quasi inghiottita dalla singolarità nozionistica dei suoi studi, è pur sempre un grido di comprensione con le ragioni del cuore, una disputa aforistica tra la vita (sociale) e il desiderio di fuga attraverso un codice empatico con l’universo e il suo stupore primitivo. La Schalansky con una prosa frammentata, eppure sfiorata da un sarcasmo sofisticato, sembra tuttavia esser riuscita a trovare un equilibrio di narrazione originale, affrontando il tema della solitudine e del disadattamento sociale con una verità catartica, cinicamente poetica. Come la sua protagonista dura e diretta verso ogni forma di illusione mette alla prova il lettore, schiacciandolo di domande e punti di vista febbrili, sempre a un passo dal buio ma mai del tutto forse se irradiati dalle leggi dell’amore: forma di evoluzione necessaria per qualsiasi specie votata alla vita.
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