«Se la voglio stringere, si disfa. / Se la voglio pulire, si sporca. / Se la voglio cacciare, ritorna // Assomiglia alla coscienza questa neve». Scelti da “Poesie della neve”, versi di Azzurra D’Agostino sorprendente poetessa la cui voce si rivolge, con indistinto chiarore, agli adulti come ai più giovani. L’autrice è come la neve, cosciente. Nella sua scrittura risiede la “potente bellezza” di “fare il mondo più lieve”. La lettura di questo libro, illustrato da Estefanìa Bravo, edito da “Fatatrac”, insieme alla lettura di “Quando piove ho visto le rane”, illustrato da Giga per le edizioni “Valigie Rosse”, ha ispirato le nostre riflessioni “nell’impasto del mondo che ci fa uguali”.
Qual è stata la scintilla? Come nascono i versi che animano rispettivamente “poesie della neve” e “Quando piove Ho visto le rane”? Chi li ha dettati o, se preferisci, come li hai raccolti?
‘Quando piove ho visto le rane’ era nato come libro voluto per il Premio Ciampi nel 2015. È andato esaurito molto in fretta, e Valigie Rosse, diventata nel frattempo una casa editrice e non più solamente un’associazione collegata in qualche modo al premio, mi ha proposto una ristampa in un nuovo formato, con nuove illustrazioni. Ho aggiunto quindi una serie di inediti, la sezione ‘Domande elementari’, che sono domande vere che mi hanno fatto dei bambini, tra cui mia figlia. Domande così perfette e sorprendenti che lì per lì non avevo una risposta. Ne ho allora parlato in poesia. Amo molto le Rane, come chiamiamo noi il libro con la squadra di VR, con cui sono diventata amica. Fanno un lavoro molto valido secondo me. Le ‘poesie della neve’ invece erano una serie di testi che avevo scritto anni fa, tutte insieme, e che poi sono state consegnate da Elena Baboni (che allora lavorava in Fatatrac, un editore con cui mi trovo benissimo) a Estefanìa Bravo, una giovane illustratrice spagnola che stava frequentando il master di illustrazione ‘Ars in fabula’ di Macerata. Questo è il suo lavoro di tesi, un anno di passione sopra a dei piccoli versi che chiamavano il bianco. Quando mi hanno chiesto delle poesie per questa occasione e ho proposto queste mi son detta: ma ce la farà qualcuno a illustrare questi piccolissimi testi, così radi, bianchi, esistenziali? Estefanìa ha fatto un grandissimo lavoro, secondo me, le poesie hanno guadagnato tanto dalle sue illustrazioni, a mio avviso.
La poesia come la neve cancella “ogni imperfezione”? Con la poesia, come con la neve “tutto sta composto / come fosse uno.”?
La poesia, per come la vedo io, non aggiusta niente. Non è consolatoria, secondo me. Poi, certo, può accadere che consoli, o che in qualche modo ‘sistemi delle cose’. Certamente in qualche maniera unisce, fa sì che il parlante e il parlato non siano davvero scissi. Non permette al paesaggio di essere solo uno sfondo. Non distingue tra ‘io’ e ‘tu’, non del tutto.
“Non diversa da te sarò confusa nel resto / nell’impasto del mondo che più prima di presto / ci fa uguali sorelle nel vento disperse / per sempre le stesse noi ora tanto diverse.”. Ancora i tuoi versi (questa volta tratti dal libro “Quando piove Ho visto le rane”) per chiederti: cosa può la poesia contro la disgregazione? Contro il dolore? Contro il tempo? Contro la morte?
La poesia che citi è nata dopo aver letto una poesia di Leopardi. Che a sua volta l’aveva scritta a partire da Arnault. Volevo in quei versi stare nella tradizione, e tradirla, in qualche modo. In questo senso, la poesia, specie quella italiana che sta nel solco di una parola millenaria, ha qualcosa in sé di sovratemporale, qualcosa che la supera sempre, anche quando sembra soltanto giocare con le parole. Non a caso, ci sta Leopardi, che con la morte e il dolore ha avuto un lungo agone. Ma comunque non so se la poesia possa qualcosa contro il dolore o il tempo o la morte. Forse, può qualcosa ‘con’ loro e non ‘contro’ di loro. Perché ci permette di sostare presso queste cose come rare altre occasioni ci consentono di fare.
La poesia è la “misura del mondo”?
La poesia è la dismisura del mondo.
Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione di poesia?
Guarda, ci sono tante cose che vorrei dire. Essere convinta. Tutta una questione per me molto importante è inerente al modo in cui si sta nel mondo, in cui si provano a fare le cose, che ci sia un –almeno minimo- corrispettivo tra ciò che si dice, che si scrive e che si fa. Che ci sia una tensione della vita verso la scrittura, che è sempre più avanti di noi. E anche viceversa, che la scrittura non stia lì sganciata, arida. Ma poi non lo so. Non lo so fino in fondo, non ho ricette o spiegazioni. Son qui che ci penso, tutti i giorni.
Qual è il ricordo (o un aneddoto) legato alla tua prima poesia?
La mia prima poesia la scrissi alle elementari, ne ho un ricordo chiarissimo: era una specie di poemetto dedicato ai morti di Hiroshima. Ero rimasta molto colpita da quell’episodio della storia, e volevo a tutti i costi parlarne. Ma di certe cose non si riesce a dirne come in una conversazione normale, nemmeno a dieci anni o quanti ne avevo. Per cui scrissi una poesia. La maestra mi portò a leggerla in altre classi, che era il massimo della gloria nella nostra scuola. Io ero felice, certo, per avere questo onore. Ma soprattutto ricordo il senso di smarrimento nell’essermi presa cura di quei morti in quel modo. Con le parole. Ero io e non più io. Ero io meglio di così. Le parole erano più grandi di me, mi sentivo come un tramite, in cui la me stessa di tutti i giorni c’entrava poco. In qualche modo, ho ancora adesso questa sensazione quando scrivo.
Quale (e per quali ragioni) poeta e relativi i versi che non dovremmo mai dimenticare?
Accidenti, tanti! Posso dire quello che in questo periodo della vita ho caro. Nino Pedretti. Ida Travi. Arsenij Tarkovksij. Ma molti altri, anche! Forse i versi che non dovremmo mai dimenticare sono quelli che ci rendono incompiuti una volta che li abbiamo scoperti. Cioè io per esempio da quando ho scoperto questi poeti non posso più pensarmi senza di loro, senza i loro versi. Prima non lo sapevo.
Riporteresti una poesia (di altri autori) nella quale all’occorrenza ami rifugiarti?
Credo che la poesia che ho riletto di più negli ultimi anni sia ‘La paura’ di Nino Pedretti. È una poesia in dialetto romagnolo.
LA PAURA
Gente, non prendete i tranquillanti
lasciate che il cuore abbia paura,
paura che vuol dire pensieri di cose grandi
il cielo che non ha mai fine,
le stelle che viaggiano nei loro lumi
e una parola che cade
là dove i morti si ricordano.
La paura, la paura che viene
ma il cuore la tiene
come gli occhi dove passa la luna.
LA PAEURA
Zénti, nu tuléi i tranquilènt
lasé che e’ cor l’apa paéura,
paéura che vo déi pansir ad robi grandi,
e’ zil ch’u n finéss mai,
al stèli ch’ al viaza ti su lomm
e una parola ch’la casca
a là dou che i mort i s’arcorda.
La paéura, la paéura ch’la vén
mò e’ cor la tén
Cumè i occ dou che pasa la léuna.
Per concludere, tornando ai tuoi libri, “poesie della neve” (edizioni Fatatrac) e “Quando piove Ho visto le rane” (edizioni Valigie Rosse), ti invito, per salutare i nostri lettori, a scegliere (rispettivamente da ognuno) una tua poesia e, nel contempo, ti invito a portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che le ha viste nascere.
Da ‘Quando piove ho visto le rane’
Nuvole
Mamma, perché le nuvole vanno via?
La risposta sta forse nei venti, questioni di pressione
e di correnti, ma è difficile e di poca fantasia
rinchiudere il cielo nella meteorologia.
Ricordo bene quando è nata questa poesia, la prima delle ‘Domande elementari’. Ero stesa sul divano con mia figlia, lei era piccolissima, parlava da poco, in quel momento stavamo zitte guardando il cielo dalla finestra sopra di noi. Le nuvole correvano, correvano, io pensavo a un temporale in arrivo. E lei se ne è uscita col primo verso. Esattamente questo. Lo so perché me lo sono ripetuto in testa per non scordarlo, lo ho fatto con tutte le ‘Domande elementari’, quando sono capitate. Subito in me si sono aperte mille altre domande, dove se ne andassero quelle nuvole, se c’era un regno delle nuvole, se si parlavano nella fretta e cose così. Lì per lì mi sono chiesta se dovessi darle una risposta oggettiva, che ne so, qualcosa di scientifico. Di fatto, avevo solo qualche nozione confusa. E mi sono accorta che erano risposte incomplete non solo per la mia ignoranza, ma anche perché una risposta aperta che lasciasse correre la fantasia forse mi sembrava la cosa più ricca per entrambe. Così mi pare di averle raccontato una storia. Ma la vera risposta stava in questa poesia. Contenuta interamente nella sua domanda.
Da ‘Poesie della neve’
Quando le cose non si vedono esistono di più.
Un segno sottile, appena accennato,
come il fragile passo di un passero
che s’è appena appoggiato
sulla neve – un’impronta così breve,
solo un’ombra che passa su un velo
ed ecco c’è già tutto il cielo.
Questa è la mia favorita del libro. Credo fortemente nel primo verso. Non si tratta proprio di nostalgia, questa presenza delle cose assenti, è più una riflessione, anche filosofica se vogliamo, sul potere dell’evocazione. Questa è una poesia sulla morte. Ma contiene, secondo me, anche un secondo livello. È nata dopo che avevo visto delle impronte di uccellino sulla neve. C’erano queste zampettine sottili sottili, che si erano appoggiate lì per qualche saltello, e poi sparivano. Contenevano chiare tutto il movimento di planare, soffermarsi a terra qualche passo, e poi rivolare via. In quelle brevi tracce davvero ci stava tutto il cielo, la grandezza del volo, dell’esplorare l’aria. Dell’essere a cavallo tra due mondi. Questo succede anche con il passato, con quello che ci manca, con le persone che vorremmo con noi e non ci sono. Un posto vuoto a tavola richiama tutte le giornate, i ricordi, e gli accadimenti che sono avvenuti con chi occupava quel posto. Mi piace poter parlare di questo attraverso cose molto piccole, come un’ombra su un velo, o le impronte di un passero. Mi piace che ci possano essere più piani di lettura: che ci si possa fermare a un’immagine delicata, a una descrizione che magari ha un suo nitore, e che in qualche modo forse ci colpisce e non sappiamo perché. In quel non sapere perché, per me, la poesia ha già detto e fatto molto, moltissimo. Contiene il senso di cui parlo, quel senso misterioso che ci viene dal mancare e dall’evocare, ma lo fa con discrezione, senza bandiere.
Azzurra D’Agostino è nata a Porretta Terme, sull’Appennino tosco-emiliano Ha pubblicato le raccolte di poesia D’in nci un là, I Quaderni del battello ebbro, 2003; Con Ordine, Lietocolle, 2005; D’aria sottile, Transeuropa 2011 – selezione Premio Viareggio; Versi dell’abitare, in XI Quaderno di poesia contemporanea, Marcos y Marcos 2012, Canti di un luogo abbandonato, SassiScritti 2013 – menzione speciale Premio Marrazza e Premio Carducci 2014, Quando piove ho visto le rane– Premio Ciampi Valigie rosse (in ristampa con nuovi contenuti nel 2019). Nel 2016 ha curato insieme a Francesca Matteoni il volume Un ponte gettato sul mare, un’esperienza di poesia nei centri psichiatrici– Perda Sonadora Imprentas. Nell’autunno 2016 è uscito il volume Alfabetiere privatoper la collana giallaPordenonelegge-Lietocolle e nel dicembre 2016 la traduzione dal tedesco, con Marianne Schneider, del radiodramma su Hölderlin dal titolo Hölderlin/Scardanelliper Mimesis edizioni. Ha pubblicato interventi, racconti, poesie, su varie riviste e antologie. Scrive per il teatro, conduce laboratori di lettura e scrittura poetica e si occupa di organizzazione culturale come presidente dell’Associazione Culturale SassiScritti. Produzione bambini e ragazzi: Dal 2005 scrive spettacoli per bambini, prodotti e andati in scena per varie compagnie tra cui Menhir e Teatro dell’Argine. L’ultimo spettacolo dal titolo Nella notte scura, target 3-5, ha debuttato nel dicembre 2018. Nel 2018 ha pubblicato 2 albi per bambini per la casa editrice Fatatrac: Piccoli amorie Intervista alla felicità. Nel 2019 Lucee Poesie della neve, sempre per Fatatrac, e per Mondadori Electa un’antologia di poesie di bambini, esiti di laboratori tenuti in tutta Italia. Nel 2020 prevista l’uscita di un romanzo per ragazzi 10+ per De Agostini Planeta.
(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 29.12.2019, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).