Franca Alaimo, “sacro cuore”, per celebrare l’infanzia, stagione di libertà miracolosa che rivive nella poesia.

“tre domande, tre poesie”

Franca Alaimo esordisce come poeta nel 1991 con Impossibile luna, a cui seguiranno altre diciannove sillogi, le più recenti delle quali sono: Sempre di te amorosa LietoColle Ed.; Traslochi, LietoColle Ed.; Elogi, Ladolfi Ed.; sacro cuore, Ladolfi Ed, Oltre il bordo, Macabor Ed. Sul sito La Recherche ha pubblicato quattro e-book (tre sillogi poetiche ed un epistolario). È presente in molte antologie (Newton Compton, LietoColle, Aragno, l’Arca Felice, etc..) e riviste (tra le quali, Poesia di Crocetti, Atelier, Italian Poetry Review, Il Portolano, etc…) e storie della letteratura contemporanea, tra le quali Insulari. Romanzo della letteratura siciliana, curato da S. Lanuzza (Stampa Alternativa, 2009). Nel 2018 ha curato per l’editore Ladolfi, insieme a Antonio Melillo, l’antologia L’eros e il corpo. La sua prima autoantologia è uscita sul sito on-line Bomba Carta, gestito da Liliana Porro e Elio Andriuoli nel 2017. Nel 2020 l’editrice Macabor le ha dedicato una monografia antologica nella collana “Italia insulare. I poeti” È autrice di tre romanzi: L’uovo dell’incoronazione, Ed. Serarcangeli,2001; Vite Ordinarie, Ladolfi Ed., 2019 e La gondola dei folli, edito nel 2020 da Spazio Cultura.

Qual è o quale dovrebbe essere la lingua ideale della poesia, la forma quanto incide sull’essenzialità della parola poetica?

La lingua ideale è quella degli angeli che contemplano direttamente la verità. Ogni poeta, essendo “colui che annuncia”, può essere definito un angelo laico. Il quale, dunque, è chiamato a dire altro da ciò che appare (sebbene sia la realtà, esterna o intima, a muovere il suo desiderio), quell’altro che si sottrae ad una superficiale percezione sensoriale e alle rigide regole della ragione. A lui spetta rivelare l’essenza delle cose, ché, altrimenti, si limiterebbe ad un passivo e inutile “copia e incolla”.
La poesia accade quando l’autore prima, e poi il lettore, sente di essersi approssimato di qualche passo al cuore del mistero, quando l’uno e l’altro avvertono la vertigine dell’Essere.
Ma la forma del dire, com’è giusto sia, può assumere le più diverse vesti, ognuna delle quali si avvicina alla qualità intima più profonda di chi le sceglie.
Quanto a me, preferisco la libertà da ogni gabbia metrica, e tuttavia faccio in modo che la mia scrittura poetica “suoni”, ricorrendo a rime spesso interne, assonanze, consonanze, giochi di parole. Ritengo, infatti, il “canto” una qualità indispensabile, in quanto consente di fare perfino dello stridio del male e del dolore una sostanza luminosa e feconda, riconducendo il tutto all’accettazione individuale e all’armonia universale.
Da sempre dico che la poesia somiglia a una sarta che cuce insieme i frammenti dispersi dell’essere e li riconcilia al senso primo dello stupore.

Riporteresti una poesia o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti, rivelandoci cosa “muove” la tua “preferenza”?

C’è un poeta che amo molto e rileggo spesso: Rilke. Come lui penso che solo la sovrabbondanza del cuore consenta di comprendere l’inafferrabilità dell’essere. Inoltre egli ha saputo realizzare nel suo canto altissimo quella capacità di trasformare il caos e la disarmonia in unità, cosa che rientra nelle mie intenzioni poetiche.
Propongo da I sonetti di Orfeo (Garzanti, traduzione di Rina Sara Virgillito) la seguente poesia (I.3), che mi sembra riassuma quanto prima detto.

Un Dio lo può. Ma un uomo, sì, seguirlo
saprà attraverso la lira sottile?
È spaccato di dentro: ove in due vie
s’incrocia il cuore. Apollo non ha tempio.

Un canto insegni tu, che non lusinga,
non è brama di cosa che s’afferra.
Il canto è Esserci. Facile a un Dio.
Ma siamo noi? E quando volge lui

all’esser nostro la luna e le stelle?
Se ami, ragazzo, tu non sei per questo,
s’anche irrompe la voce in bocca – un tale

impeto sappi obliare. Si perde.
In verità altro soffio è il canto: un soffio
nel nulla. Un alitare nel Dio. Un vento.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo “sacro cuore”; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Per spiegare, diciamo così, l’antefatto di sacro cuore, mi soccorrono i versi introduttivi che così recitano: Fui una bambina./ Quanto distacco!/ Quando ho cominciato/ a volare all’indietro? Essi spiegano il pensiero che precede la stesura definitiva dei testi e ne porgono la chiave interpretativa: penso, infatti, che il bambino sia la creatura più “totale”, più prossima alla sapienza, ma che, crescendo, egli vada via via smarrendola, a causa dei tanti stereotipi educativi, sostituendola con un enorme bagaglio di nozioni che però poco gli servono ad interpretare il mondo. Allo stesso modo anche il sentimento dell’amore, l’impulso senza dubbio più naturale, viene represso, a causa di sovrastrutture tanto più soffocanti quanto più arcaico e retrivo è l’ambiente in cui il bambino cresce. Tutto questo era ancora più evidente negli anni precedenti il ’68, che ha rappresentato anche per me una svolta decisiva. Dunque, ho voluto con sacro cuore sia celebrare l’infanzia come quella stagione di libertà miracolosa che può rivivere solo nell’atto creativo della poesia, sia la storia di una generazione come la mia che ha dovuto lottare duramente per conquistare una sana libertà sessuale.


Ecco i testi che vi propongo e che raccontano tre tappe di questa iniziazione.

Sono i giorni sontuosi
in cui si incontrano le fate,
gnomi, creature miracolose.
Nei cortili, al sole,
si tracciano gesti assoluti,
fanno rumore di biglie di vetro
le risa nell’aria.
All’ombra, nei giardini,
si dormono quei sonni pesanti
che hanno gli animali innocenti.
Finché arrivano i gioni normali,
il bene diviso dal male,
e la vita ha inizio dal niente.

*

Qualunque fosse il luogo
avevo sempre paura.
Pensavo che prima o poi
sarebbe passato Dio
in persona, e raccoglievo
i vestiti per coprirmi
in fretta il pube e il seno.
Che cosa gli avrei detto?
Non c’era nemmeno un albero
di mele con il serpente cattivo
nei dintorni.
Ma lui non venne mai
e cominciai a immaginare
che si nascondesse
nei corpi dei ragazzi
per amarmi
come avevano fatto
tutti gli dei pagani.

*

Vieni, balliamo – disse-
e mi prese la mano
portandola alla bocca per baciarla,
E io, le ginocchia molli di desiderio,
reclinai la testa sulla sua spalla
come corolla di un fiore
umida di acqua piovana.
Lui era snello, delicato,
e la sua pelle profumava
come mille giardini fioriti.
I nostri corpi si intrecciarono
come due gigli flessuosi
finché la passione ci spalancò i visi
lasciandoci in un cielo nerissimo
dove rilucevano soltanto
le stelle degli occhi sconfinati.

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