giocavo da sola – un, due, tre, nulla –

Francesca Woodman o4 (2)
Francesca Woodman



La città di plastica

La città di plastica sono… senza colori,

che il petrolio è nero

ed io non so definire.

Le città di plasticà è buio fisso che non sa di essere osservato.

Ti nascondi sì, ma cosa c’è da vedere?

Sono (?) di plastica anche dietro al vetro,

ho 10 anni per occhi, e le bacio.

Non è sabato, baci, senza.

Le città di plastica sono ombrelli che mangiano pioggia. (pioggivori)

Io che amavo l’odore della terra,

La città di plastica è

Non lampo, non tuono.

Non c’è spazio per la luce e il rumore spezza la pace.

Non si sente, perché nelle vostre città non c’è pace.

Protendersi

Che puoi prendere con forchette di plastica?

Non sai farmi male (il dolore non sa)

E ti nutri con le mani.

La plastica è il progresso, ma tu non puoi costruire te stesso.

 

Se è vuoto non è,

perché se fosse nulla,

non sarebbe.

E se è nulla, è,

allora sono troppo piena!

Perché

sono

e

vuota.

 

3.

.

.

Non funziona!

Create un tasto, presto!

Io penso cosa, e tu indovini

e nell’era del multitasting,

esegui, contemporanea.

Sono io che comando te

o tu che comandi me?

Mentre ti parlo,

sai che ti parlo,

e rispondi, standard, già impostato.

Cambi l’ordine dei miei pezzi

e mi rendi più

Non prendermi in giro,

tu con tutte quelle tasche

piene di

Imballami il cuore, ma non lo riempi.

Non prendermi in giro,

ma lasciami qui.

Insegna altre parole all’ologramma

e tranquillo,

spariamo insieme : )

 

 

4. fette

Mi guardo allo specchio a pezzi,

io a pezzi,

che credo alla sfortuna (?)

come ultimo baluardo di

Non guardo mai naso e bocca

(sproporzioni!)

ma neanche negli occhi,

solo occhi,

per tingerli,

motivo per cui miguardoallospecchioapezzi.

Ci sono periodi.

in cui tutto quello che luccica, e lucido, è

altri, oggi, che non

ti

voglio vedere.

 

 

*

 

 

Mito

C’è un tempo che non c’è,

frutto di un’associazione

strana – tra cicatrici

alberi pentagonali

e ultrasuoni.

(Lacrime oltre ai suoni

oltre la tua pena.)

Sconto me.

Se siamo noi i felici

allora Dio è Sileno

il potere è Re Mida

ed io son di vetro

e non conto.

 

*

 

Me su

C’era una volta una staccionata:

sai quante volte mi hanno ferita

– gli occhi per costruirla?

Il primo legno era un ricordo.

Era blu. Ma anche verde. Ma anche grigio.

Come i miei occhi.

Un anche continuo, che non è fermo,

e non vale.

Lui tremava.

Era il nostro.

Poi c’era la notte N, ogni numero

a forma di braccio

per non so quanta legna.

Perché non so quante notti pendevo.

Poi c’èra un legno di specchio

che ricordava che scorre

sangue, scorro.

Che andrai.

Poi c’era un legno col

profumo di

mia madre.

E uno con tutte le parole che

Valgono me, su.

E tu dietro.

Sangue scorro che andrai.

 

*

 

Tuoni

C’è una barchetta di sughero,

un po’ tappo, un po’ vittima

per il coraggio

che separa il nettare dal buio

mare dalla tempesta.

Come una linea

ed un piano

con una vela.

e il mare è respiro, è azzurro

che non vuole riflettere,

credere, ancòra, puro.

il mare è forza mia.

e il buio è paura che

salti la luce.

andare a fuoco.

la barchetta sono io.

metà con me.

metà con te andata e tornata

 

e vissero (sopra)

sopra la panca

(rischiando di cadere nella cassa – euforie)

io vissi nel bosco

perché mi piacciono le ombre in viso.

mi stanno bene.

tu sopra la panca

sbucci mele.

e la scorza, cade, e, crepa.

l’unico pezzo

rosso

della tua vita.

ma quelli come me non li mangi,

quasi anoressici,

e duri.

anche il sangue è d’osso.

così, anche se ci spari, non passi.

non passi.

non passi mai.

 

scansafatiche

Fa più luce in alto

che sul foglio.

Dio ci vede?

La mia ombra gli/le arriva.

È a forma di macchia

Se facesse qualcosa,

pioverebbe talmente forte

da cancellarmi.

È disoccupato, anche lui,

ma per scelta.

Tu non hai scelto

non hai scelto nulla.

Non ho scelto se imparare a parlare,

perché se avessi scelto,

non avrei, per rispondere a voi.

A piangere, ad ascoltare,

a mangiare erba e non nuvole,

a non morire oggi per vivere un giorno in più

poi

e le maree?

 

.

 

“ trema”

faccio un gioco con le mani,

che intreccio l’oro, loro, e, l’età.

sapore, assenza, e, scale.

e ne viene fuori un bracciale, particolare,

che non si vende (non riesco)

ma fa fermare

la gente.

– guarda quella donna lapislazzuli!

– quella bambina che brava con la seta!

nessuno si è mai avvicinato da

indovinare

poi un giorno,… , (non ti ricordo)

si è avvicinato.

– ma trema? chiedi.

– Si chiama così!

 

ci fu un secondo, Storia Nostra,

e poi tornò dagl’altri loro

d’estate lo metto in tasca.

 

mani a terra

– Mi faccia entrare! O butto giù la porta!

– Ma se non c’è porta!

– È d’effetto. Dicono ci fosse un ladro!

– Ma la porta se n’è andata.

– Che porta e porta? Hanno sentito u-r-l-a-r-e!

– Ma ho sentito freddo.

– Hanno sentito un’a-l-t-r-a voce.

– Ma non volevo sentirmi sola.                                       Vuole un caffè?

 

la porta, offesa, l’aveva pre-detto.

 

 

punto di partenza (fai)

facevi il clown,

poi i politici divennero comici,

troppa concorrenza, smettesti.

 

Schegge

non veloci.

Lente. Senza riflesso

sul mondo

si gioca a dadi

perdo sempre.

Troppo lenta a capire

cosa conviene

mentre cerco cosa amo.

facevi il clown

risi così tanto che poi piansi così tanto

che amai

solo le maschere

per nascondermi

da stupida a comica.

 

 
Cubo che rotola, alba che spinge, genuflesso al Sole per chiedere scusa.
Scusa se ho perso l’àncora al prato, adesso i fiori volano via.

 

 

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