Giulia Caminito, “credo nella scrittura come espressione politica e sociale”.

 

Giulia Caminito è nata a Roma nel 1988 e si è laureata in Filosofia politica. Suo padre è originario di Asmara, sua nonna e suo nonno si sono conosciuti ad Assab, la sua bisnonna fu guidatrice di camion, contrabbandiera di alcolici e personalità vivace della comunità italiana d’Etiopia ed Eritrea. Giulia oggi vive a Testaccio e lavora per una casa editrice romana.
“La Grande A”, edito da Giunti, è il suo primo romanzo. Prima dell’intervista, lo introduciamo con uno stralcio scelto – su nostro invito – dalla stessa autrice vincitrice della XLVIII edizione del Premio letterario “Brancati Zafferana”, sezione “Giovani”.

“Giadina quella volta rise. I piccoli italiani di nero vestiti, tutti in fila, fuori dalle classi.
Il suono ripetitivo era solo una canzonetta, una ninna nanna festosa tra la polvere dei tendoni, il cane con tre zampe, la donna grassoccia nel suo costume a righe, enorme e truccatissima, la ballerina, l’uomo con il naso rosso. Strati di cerone che a casa sua non s’erano mai visti, neanche quando la Mariuccia usciva dal cortile nel giorno del patrono. Boli neri sulle ciglia senza orizzonte, strette nel viso unto e nel sorriso di traverso. Poi palline colorate, giocate in aria, senza fare neanche un rimbalzo, umide di allegria mentre la fila era tutta in tiro, e la maestra con la bacchetta di legno sferzava le spalle per farli rimanere allineati. Ancora non era scoppiato nulla e si guardavano le bancarelle senza pagare neanche un centesimo. Lei i soldi delle mance, che le davano per prendere dal panettiere le loro razioni di un filoncino e mezzo a testa con la tessera annonaria, li conservava gelosamente. Sarebbero diventati dieci e poi venti e poi cento e poi mille e poi una lira, due lire, venti lire, cento lire. Con cento lire si partiva, persino la Nonna lo canticchiava. Con cento lire si partiva per forza, e la Grande A era dietro l’angolo.
Con la Mamma a cacciare tigri, lì doveva essere pieno, di ossa lunghe lunghe, e tigri.”

Ci racconti un aneddoto legato alle tue prime scritture?

Ho iniziato a scrivere per gioco, mentre ero all’università, su alcuni siti online, che precedevano l’ondata modaiola di Whattpad ma che più o meno funzionavano allo stesso modo, ognuno aveva il proprio profilo, il proprio pseudonimo, e lì poteva pubblicare le proprie storie a capitoli aggiornandole mano mano. Gli altri utenti potevano seguire la storia e commentarla lasciando impressioni di vario tipo. Io ho iniziato scrivendo storie di vampiri, ricchi palazzinari di New York e studentesse sfaticate di filosofia. Mi sono divertita molto negli anni in cui la scrittura era solo questo per me, un passatempo. Ricordo che rimanevo sveglia anche fino alle cinque del mattino per scrivere le mie storie o per leggere le storie altrui e attendevo con ansia ogni commento e ogni scambio d’opinioni virtuali. Quel mondo era molto diverso da quello dei social, perché nessuno mostrava nulla di sé, ognuno era ben riparato dietro il proprio avatar e il proprio nickname e devo dire che ho una certa nostalgia di quando il web era soprattutto popolato da nerd come me, amanti dell’anonimato e dei tutorial di grafica.

Quale (e per quali ragioni) scrittore e relativo testo (o stralcio di testo) non dovremmo mai dimenticare?

Gli scrittori e le scrittrici sono tanti, sceglierne uno o una come monito per tutti mi sembra impossibile. Posso indicare lo scrittore a cui io devo di più che ha dato una svolta a quello che io stavo provando a scrivere, invogliandomi a passare dal semplice svago a un vero e proprio progetto, e si tratta di Alberto Savinio e in particolare del suo libro “La nuova enciclopedia”. Libro che mi ha insegnato a interrogarmi sulla ragione delle parole, sulle loro conformazioni, sulle loro origini e sulle storie che si portano dietro. Delle sue pagine consiglio la lettura delle voci: Amicizia, Giostra, Mare e Abat-Jour.

In un mondo sempre più incapace di ascoltare a cosa serve scrivere?

Anche qui non so dare una risposta che valga universalmente, posso solo dire che a me serve per il tipo di persona che sono. Infatti sono una persona pigra, difficile, che non ama l’azione, con tendenza all’immobilismo, ma che frigge per le proprie idee e vorrebbe vederle realizzate, sono un po’ cagionevole, un po’ asociale e la scrittura mi permette anche una militanza su certi temi che nella pratica io non saprei come realizzare. Scioglie un po’ il senso di ipocrisia e fallimento che riguarda la mia generazione, figlia di generazioni passate politicamente molto attive. Mi mette in collegamento con momenti storici precisi, storie di famiglie, di terre, di province, che altrimenti non conoscerei e non saprei come valorizzare. Io credo nella scrittura come espressione politica e sociale, anche se molti sorridono quando si parla di letteratura impegnata, soprattutto femminile, quasi fosse una bizzarra sottomarca di smalto per unghie. Dal canto mio posso dire che il passato, l’impegno civile e le lotte sociali sono attraenti ai miei occhi e quindi restituirne in forma di romanzo una testimonianza rappresenta la mia idea di scrittura adesso, o almeno il mio tentativo.

 

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