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leggodico arte

Il libro nasce sulla scia di Keep Calm e impara a capire l’arte, uscito un anno fa. Il principio è sostanzialmente lo stesso: scegliere una serie di opere e analizzarle per il lettore con un tono leggero e semplice, molto giornalistico. Ma mentre Keep Calm cerca di dare delle linee di comprensione rispetto a opere d’arte particolarmente complesse (o, per i materiali, difficili da considerare arte), in questo nuovo volume I segreti dell’arte moderna e contemporanea (Da Van Gogh a Andy Warhol, da De Chirico a Jeff Koons, tutto ciò che dovete sapere per riconoscere i capolavori), il senso è quello di definire il “capolavoro”, cioè l’opera che in qualche modo possa essere considerata emblematica non solo rispetto al momento storico in cui è stata creata, ma anche rispetto alla produzione del suo autore. Raccontandola quindi nella sua essenza, ma anche andando alla ricerca delle sue radici nell’arte che l’ha preceduta e rintracciando le strade attraverso le quali quest’opera è stata in grado di anticipare il futuro. E indagando poi, nella carriera dell’artista che l’ha realizzata, i percorsi che lo hanno portato fino a lì.

Qualche volta l’opera scelta è un capolavoro universalmente riconosciuto (anche se non necessariamente ciò che per me è capolavoro lo deve essere anche per tutti gli altri, e questo lo spiega bene Angelo Crespi nella sua pungente e deliziosa prefazione al libro), qualche volta mi sono fatta guidare dalle aggiudicazioni d’asta. Altre volte ho fatto delle scelte un po’ fuori dal coro, a sottolineare che il messaggio spesso ci raggiunge attraverso percorsi unici e molto personali. Ma del resto – ed è ovvio – in queste pagine c’è la mia opinione, che sosterrò sempre con forza ma che rimane – appunto – mia e personale.

Il centro focale è l’arte contemporanea, ambito difficile da definire, in effetti: le grandi case d’asta Christie’s e Sotheby’s hanno deciso di comune accordo che per loro comincia nel 1960… io sarei un po’ più “morbida”, diciamo che ne collocherei l’inizio intorno al fatidico 1917 (anno in cui non solo ha visto la luce la rivoluzionaria Fontana di Duchamp, ma anche uno dei dipinti più pagati di tutti i tempi, il Nudo sdraiato di Modigliani, nonché l’emblematico Le muse inquietanti di De Chirico). Tuttavia l’analisi delle opere in questo volume inizia qualche decennio prima, precisamente nel 1863 con l’Olympia di Manet. Questo perché non è possibile comprendere il Novecento se non ci si volta a guardare indietro verso quelli che sono stati i grandi rivoluzionari del secolo precedente.

Ho deciso così di dividere il volume in quattro capitoli, per un totale di sessanta opere d’arte. Un primo capitolo è dedicato a I pionieri (da Manet, appunto, a Salvador Dalì): vi raccolgo tredici artisti; un secondo capitolo mi è parso doveroso dedicarlo a Gli Italiani imprescindibili, molti dei quali in questo momento stanno facendo la parte del leone in asta (si va da Morandi a Fontana, Castellani, Boetti fino all’immancabile Cattelan). Segue un imponente capitolo centrale dedicato a I blockbuster da museo (da Mirò a Giacometti, da Rothko a Bacon, fino a Koons, Basquiat e all’attualissimo Kentridge con il suo mural lungo il Tevere). Infine mi sono regalata un microcapitolo dedicato a Le archistar visionarie, perché sono convinta che oggi anche l’architettura possa essere considerata capolavoro.

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I segreti dell’arte moderna e contemporanea. Newton Compton Editori

Uno stralcio dall’introduzione

Se ci parlano di capolavori dell’arte certamente nella nostra testa cominciano a lampeggiare una serie di immagini. E certamente alcune di esse sono comuni a molti di noi. Eppure questa parola – piuttosto abusata – non è facilissima da definire. Il capolavoro di un artista è necessariamente la sua opera più conosciuta? O no? Forse si potrebbe definire la meglio riuscita. Forse… Ma davvero crediamo che sia possibile stabilire senza ombra di dubbio quale sia l’opera migliore di un artista? Allora magari bisognerebbe far parlare il mercato, che però è cambiato parecchio dal tempo di Claude Monet, poniamo, a oggi.

Prendiamo la Monna Lisa di Leonardo da Vinci, per esempio, tanto per andare sul sicuro. Perché è considerata così fondamentale per la storia dell’arte mondiale e non lo è, magari, la spettacolare testa di angelo dipinta dallo stesso Leonardo nella Vergine delle rocce? Eppure la fattura è meravigliosa, forse anche più interessante per l’angolazione del viso e per la resa dei capelli. E l’artista, universalmente riconosciuto come altissimo, è lo stesso. La ragione sta nel fatto che un capolavoro non è soltanto un’opera mirabilmente realizzata da un grande artista: un capolavoro è qualcosa di irripetibile e che sfiora il divino. È quell’opera che, se ci prendessero a bruciapelo mentre un meteorite sta per schiantarsi sulla Terra e ci dicessero: «Ehi, tu, decidi al volo cosa salvare, che qui andiamo tutti arrosto», non potremmo non mettere nell’elenco. È l’espressione più alta del genio di chi l’ha realizzata, e poi è quella che racconta, in un solo oggetto, a volte magari nemmeno tanto imponente, una storia forte: tutta un’epoca, un mondo, una realtà e un modo di sentire; quella che ha le radici ben salde nel passato e i rami già lanciati verso il futuro, che parla chiaramente la nostra lingua ma ne conosce almeno altre due o tre e che lascia a bocca aperta l’anziano conoscitore d’arte, che ha mangiato musei a pranzo e a cena per tutta la sua vita, ma riesce a sbalordire anche il neofita. E pure quel ragazzino che ha in mano lo smartphone e – caspita! – non lo sta guardando perché si è perso a osservare proprio quella cosa lì.

Tuttavia, anche se il concetto stesso di capolavoro dovrebbe, teoricamente, essere assoluto e universale e dunque mettere d’accordo l’intera umanità, accadono cose curiose. È notizia di pochi mesi fa, per esempio, che un pupazzo raffigurante Adolf Hitler inginocchiato firmato da Maurizio Cattelan (Him, 2001) sia stato battuto all’asta da Christie’s a New York per diciassette milioni di dollari, più spiccioli. Sì, proprio quello stesso Him che l’artista padovano nel 2012 aveva esposto al ghetto di Varsavia, dimostrando un umorismo un po’ truce. E il motivo per cui questo pupazzo, anche piuttosto brutto, sia stato pagato come una Ferrari 250 Testa Rossa del 1957 – nonostante non permetta di salirci a bordo e scorrazzare per la Costa Azzurra dandosi un tono glamour – è probabilmente legato anche al suo passaggio da Varsavia, ahimè. Alla sua storia, insomma. Così, con un colpo di martelletto, Cattelan ha stabilito il suo nuovo record. Dunque Him è il suo capolavoro?

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