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Per strada
Vai
ad occhi aperti cammina
ne vedrai di belle
per strada
un paralume
una scarpa
un orecchio
la copertina d’un libro forse
fatti con la tua pelle
e la tua faccia triste
a uno specchio
sotto un altro nome.
(Bartolo Cattafi)
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Novembre
Gemmea l’aria, il sole così chiaro
che tu ricerchi gli albicocchi in fiore,
e del prunalbo l’odorino amaro
senti nel cuore…
Ma secco è il pruno e le stecchite piante
di nere trame segnano il sereno,
e vuoto il cielo, e cavo al piè sonante
sembra il terreno.
Silenzio, intorno; solo, alle ventate
odi lontano, da giardini ed orti,
di foglie un cadere fragile. È l’estate,
fredda, dei morti.
(Giovanni Pascoli)
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Dalle lettere
4.
L’inchiostro nero si addensa in infarto
in cima alla stilografica;
e una frase così
si interrompe inattesa, in non voluta sincope.
La copia, e nel seguito cambio
il senso pensato sulle prime.
Il senso
si è celato nell’interruzione, nel vuoto
del bianco, dentro la sconfitta
della mossa incominciata-
Se potessi scriverti una lettera
di simili bianchi, di scambi illuminati
di frasi iniziate in amore, continuate
con descrizioni di notti senza stelle, per esempio,
se potessi tacere tutto
e tutto ti dico, come se un lebbroso
ti stesse davanti con la cuffia e il gong-
forse potrei dirti
perché l’amore cambia, in non desiderata
sincope, e quindi si sposa
con le sue ombre, e non dimentica
il senso del suo nome, le cause del suo persistere-
così posso solo descrivere:
come apprendo e ricordo una persona amata
con il contatto, come un cieco.
(Ivan lalic da “Lalic poesie” traduzione di Eros Sequi, Jaca Book, 1991)
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“Mostratemi un uomo che abita solo e ha una cucina perpetuamente pulita, 8 volte su 9 vi mostrerò un uomo detestabile sul piano spirituale.”
(Charles Bukowski, 27 giugno 1967, alla 20° birra, da “Storie di ordinaria follia”, Feltrinelli)
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Vengo da te e torno a te,
sentimento nato con la luce, col caldo,
battezzato quando il vagito era gioia,
riconosciuto in Pier Paolo
all’origine di una smaniosa epopea:
ho camminato alla luce della storia,
ma, sempre, il mio essere fu eroico,
sotto il tuo dominio, intimo pensiero.
Si coagulava nella tua scia di luce
nelle atroci sfiducie
della tua fiamma, ogni atto vero
del mondo, di quella
storia: e in essa si verificava intero,
vi perdeva la vita per riaverla:
e la vita era reale solo se bella…
La furia della confessione,
prima, poi la furia della chiarezza:
era da te che nasceva, ipocrita, oscuro
sentimento! E adesso,
accusino pure ogni mia passione,
m’infanghino, mi dicano informe, impuro
ossesso, dilettante, spergiuro:
tu mi isoli, mi dai la certezza della vita:
sono nel rogo, gioco la carta del fuoco,
e vinco, questo mio poco,
immenso bene, vinco quest’infinita,
misera mia pietà
che mi rende anche la giusta ira amica:
posso farlo, perché ti ho troppo patita!
Torno a te, come torna
un emigrato al suo paese e lo riscopre:
ho fatto fortuna (nell’intelletto)
e sono felice, proprio
com’ero un tempo, destituito di norma.
Una nera rabbia di poesia nel petto.
Una pazza vecchiaia di giovinetto.
Una volta la tua gioia era confusa
con il terrore, è vero, e ora
quasi con altra gioia,
livida, arida: la mia passione delusa.
Mi fai ora davvero paura,
perché mi sei davvero vicina, inclusa
nel mio stato di rabbia, di oscura
fame, di ansia quasi di nuova creatura.
Sono sano, come vuoi tu,
la nevrosi mi ramifica accanto,
l’esaurimento mi inaridisce, ma
non mi ha: al mio fianco
ride l’ultima luce di gioventù.
Ho avuto tutto quello che volevo,
ormai:
sono anzi andato anche più in là
di certe speranze del mondo: svuotato,
eccoti lì, dentro di me, che empi
il mio tempo e i tempi.
Sono stato razionale e sono stato
irrazionale: fino in fondo.
E ora… ah, il deserto assordato
dal vento, lo stupendo e immondo
sole dell’Africa che illumina il mondo.
Africa! Unica mia
alternativa
(Pier Paolo Pasolini, La religione del mio tempo, 1961)
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“La struttura della parola è che il soggetto riceve il suo messaggio dall’altro in forma inversa”.
(Jacques Lacan)