Philip Levine (1928-2015) era il poeta degli operai, delle persone comuni, degli americani ai margini del sogno americano. La sua poesia ha “la forza della vita” [Robert Pinsky], la sua voce è prestata “a chi non ha voce”. Solo in apparenza, dunque, una lingua colloquiale, un ritmo rilassato. Traducendo Levine ci si accorge che il poeta non si fida affatto del linguaggio della poesia, dei multipli significati che disorientano, confondono, allontanano dalla realtà. Le parole di Levine ubbidiscono ad un bisogno di concretezza e per questo quasi scompaiono per lasciare spazio a una storia. Urgente, dietro ogni parola, è il racconto di una lotta con la realtà. Semplice è dunque l’aggettivo che si addice alla lingua di Levine che deve poter aderire alla vita senza artefici. Qualcosa di autentico e vero s’intravede nelle parole trasparenti di Philip Levine.
Il risveglio di una donna
di Philip Levine
Si sveglia presto ricordando
suo padre che si alzava al buio
e accendeva il fornello con un fiammifero
strofinato sul pavimento. Poi misurava
l’acqua per il caffè e dopo il profumo
riempiva la stanza. Lo sentiva
asciugare i cucchiai, posarli
uno ad uno nel cassetto.
E poi era già sulle scale
a prendere il latte. E presto
eccolo alla sua porta
a svegliarla con delicatezza, così lui credeva,
con una mano sulla nuca, la scuoteva
avanti e indietro, odore di benzina,
sussurrava. Poi se ne andava.
Ora lei scuote la testa e via
lo scaccia e non si alzerà.
C’è nebbia alla finestra
sono diventati spessi i rami alti
dei sicamori. E lei pensa
alla sua cucina, alla lavastoviglie
che s’apre e sbadiglia, al cartone di latte
lasciato a gocciolare sul tavolo. Ai suoi figli
usciti in un vapore bianco come pecore.
Ieri sera erano qui?
Dove abitano? si chiede,
con chi? Sono a casa?
Nel cortile il giovane susino,
di poco più alto di lei, lascia cadere
la sua prima foglia gialla. Ascolta
e non sente nulla. Se si alzasse
e camminasse a piedi nudi sul pavimento di legno
nessuno verrebbe a riportarla
a letto oppure a darle
un bicchiere d’acqua. Se bollisse
un uovo diverrebbe scuro
davanti ai suoi occhi. Il cielo è stanco,
distoglie lo sguardo senza una parola.
Freddo è il cuscino accanto,
c’è ancora il vecchio odore di sapone.
Le mani fredde. Che ora è?