Sulla scia del motivo eliotiano – in my end is my beginning – il senso della Preparazione alla pioggia di Tiziano Broggiato (Italic Pequod, 2015) sembra delinearsi a partire dall’ultimo testo che chiude le sei sezioni della raccolta (prima del poemetto Ascoltando Marylin riproposto in una restaurata veste formale): Sessantesimo. Qui ci troviamo di fronte, come nell’explicit sereniano di Stella variabile, a una soglia composta da «allegorie, confusi ghiacci / alla deriva» che il soggetto poetante è chiamato a oltrepassare, dando così forma a quell’«archetipo del viaggio» che Francesco Napoli nella nota critica finale riconosce a ragione come cifra distintiva dell’opera poetica di Broggiato.
Eppure in quest’ultima fatica dell’autore vicentino, poeta certamente sensibile al richiamo di «geografie e topografie» – per dirla ancora con Sereni – il dato meramente spaziale si mostra più rarefatto e, alla lunga, meno preponderante rispetto ad altri lavori più recenti; su tutti Città alla fine del mondo. Il paesaggio, anche quello ‘dichiarato’ (Paesaggio nordico con poesia), nel suo costituirsi dialetticamente tra esterno e interno della soggettività – la cosiddetta finestra dell’io – si risolve a favore del secondo termine: «Da allora nessuna vista, più, / dalla finestra. / Fuori, un gelo frizzante stemperava / un inequivocabile sguardo di congedo.» (Da allora nessuna vista).
Dunque, se di viaggio è lecito parlare a proposito di quest’opera, esso risulta più che altro correlato con ogni evidenza alla dimensione temporale: alla stregua del «mezzo del cammin di nostra vita» di facile memoria, infatti, la circostanza anagrafica di Sessantesimo diventa occasione per un bilancio riassuntivo, benché assolutamente provvisorio, della propria esistenza.
Cronologicamente posto tra un passato evocato con una nitidezza che concede poco all’abbandono elegiaco e qualche raro presagio di futuro, il soggetto di Preparazione alla pioggia vive un hic et nunc che la scrittura poetica prova a definire con una precisione millimetrica, come a voler congelare il presente nella superficie estesa e incommensurabile di un non-luogo e di un non-tempo: «Così, seduto nel cerchio luminoso / di una lampada, dirigo lo sguardo / altrove: forse è davvero questo, / fuori tempo, il mio paradiso» (Provvidenza). A ciò concorre anche la reiterata condizione di dormiveglia nel cuore della notte che sembra rifrangersi all’infinito: un Limbo (ancora un «fuori tempo») tra un’insonnia che sfigura i contorni del reale e il sottilissimo diaframma del sonno; tra «un’oscurità ovattata, / fuori orario» (Nel quotidiano esercizio del male) e improvvise luci che penetrano dal pavimento di una camera di albergo (Hotel Speranza).
Non ci sono punti di riferimento, spaziali e temporali, nel presente di Broggiato: «Tutto sta diventando più remoto, / o più vicino, come la voce che, di là, / pretende il mio ritorno. / Ma io non sento. Non sento.» (Nel quotidiano…); tutto ciò che il poeta può opporre a questo stato di cose, ad esempio l’«intesa con la parola, la sua / forma essenziale e l’innesto preciso / nel senso verticale del testo», appartiene ormai a un altro tempo (e luogo): «tutto questo, e altro ho avuto, / nel mio giusto tempo, a portata / di mano.» (L’intesa con la parola).
Senza timore si può sostenere allora che Preparazione alla pioggia gravita intorno all’ossessione del tempo e per il tempo, come si ricava da uno dei momenti più intensi della raccolta:
Amica, indifferente è il tempo
alle tue scelte di alimentare trame
di mai sopiti rancori
e di convocare anzitempo la vertigine
di stagioni che non sai se mai
ti apparteranno.
Ascolta la rissa degli uccelli
che rompe l’incanto e li fa
assomigliare a noi.
Anche la loro è una menzogna
che andrebbe riscritta.
E il tempo, il tempo
è un’agile anguilla che
la prospettiva dell’acqua dilata
e che sguscia irridente tra le
nostre mani ogni volta che tentiamo
di trattenerla.
(*)
Appurato il vero scacco della finitudine umana – l’impossibilità di trattenere il tempo/anguilla – persino il canto degli uccelli si tramuta prima in una cacofonica «rissa» e poi, petrarchescamente, in una «menzogna / che andrebbe riscritta»; una menzogna che, va da sé, chiama in causa la «vertigine» della primavera, metafora stagionale di una giovinezza che in un testo precedente l’io poetante aveva rinnegato: «Mai amato la primavera / per via dei precoci risvegli, / della sua luce eccessiva / e per il frastuono provocato / dal ritorno degli uccelli. // Meglio le altre stagioni, / più risolute, dai confini precisi.» (Mai amato la primavera).
In questa scansione stagionale del tempo, ecco che la Preparazione alla pioggia che dà il titolo alla raccolta si configura come una nitida allegoria della dimensione esistenziale dell’attesa, o meglio: un’attesa che qui lascia presagire la nostalgia di crepuscoli e di colori smorzati tipica dell’autunno; un predisporsi all’ignoto di là da venire:
Dal portone, improvvisa come una folata,
l’eco di una donna che ride.
Poi rumore di vetri, la luce
che pian piano va via.
Scorre lento il sangue dopo l’incontro.
Cerca consolazione nel silenzio,
in quella vaga insonnia che presto
diventerà definitiva.
Il cielo ora sembra una rete si suole nere.
C’è appena il tempo per convincersi che nessuna
consolazione è abbastanza grande
da soddisfare tutti.
Prepariamoci alla pioggia.
(Preparazione alla pioggia)
Tuttavia l’apertura parenetica finale, pur nell’angoscia sottesa a questo ‘sentimento del tempo’, pare voglia sistemare tutto il peso su quell’imperativo che esorta a un’azione non solitaria, a non aspettare passivamente e sprovveduti i rovesci del futuro, prospettando così una «consolazione» capace di saldare il ricordo e l’attesa in un unico tempo, nella possibilità di un nuovo «viaggio» che finalmente potrebbe congiungere l’inizio e la fine in un solo estremo:
È un viaggio in barca, di notte
al centro della corrente.
Il fiume scorre impetuoso e ostile
e secondo il Santo l’oscurità è tanto densa
da non concedere riferimenti.
L’intruso cercherà di governare,
ma non troverà remi né timone.
“Un ramo proteso” sarà l’ultima, alta
invocazione per poter guadagnare
la sicurezza della riva.
Ma nella vita che gli rimane
non potrà più saziarsi di nulla
per non avere saputo attendere
la quarta vigilia, il termine della notte.
(La via di Agostino)
Viaggio e notte. Solo in queste minime coordinate la «via» indicata dal santo di Ippona – quello stesso che concepiva il tempo come incessante e infinito presente – si palesa dunque come ennesima e conclusiva rappresentazione del leit motiv della «luce» che a conti fatti attraversa l’intero libro: ovvero, in altri termini, stella polare che squarcia la densa oscurità e guida i passi dell’uomo «nella vita che gli rimane». Una vita da vivere con pienezza e nitidezza perché tutta incardinata sulla consistenza, umana troppo umana, dell’attesa.
Tiziano Broggiato è nato nel 1953 a Vicenza, dove tuttora risiede. Le sue più recenti raccolte di poesia sono: Parca lux (Marsilio, Venezia, 2001) Premio Montale e Premio Unione Lettori Italiani, Anticipo della notte (Marietti, Milano, 2006) Dieci poesie («Nuovo almanacco dello Specchio n. 3», Mondadori, Milano, 2007) e Città alla fi ne del mondo (Jaca book, Milano, 2013). Ha curato le antologie: Canti dall’universo. Dodici poeti italiani degli anni Ottanta (Marcos y Marcos, Milano, 1988) e Lune gemelle (Palomar, Bari, 1998). Sue poesie sono state tradotte, per antologie e riviste, in varie lingue. Da segnalare, in volume, Davancer la nuit (Edition revue Conference, Trocy en Multien, 2007, traduzione in francese di Cristophe Carraud) e Against the light (Guernica editions, Toronto, 2012, traduzione in inglese a cura di Patricia Hanley e Laura Mosco).