“Una voce dunque non si assimila ma si incorpora.
Ecco ciò che può darle una funzione nel modellare il nostro vuoto.”
(Jacques Lacan)
Testare il vuoto, sfidare la morte, come un bambino e/o un meccanico nell’officina Vita che compone e ricompone i frammenti dell’esperienza, camminare di fianco al nulla e trascriverne le tracce, riportarne le impronte in forma di poesia. Il nuovo libro di Milo De Angelis, Incontri e agguati (Mondadori, Milano, 2015), mette sotto assedio le roccaforti già fragili delle certezze umane, asserragliando il lettore, nel ritmo dei suoi versi misurati e incalzanti, in stato di grazia, dal respiro pieno e lungo del ricordo (la memoria, l’emozione della memoria, è l’orizzonte vasto, l’al di là delle parole commovente e memorabile di questo poeta), tra un resoconto dal sapore aspro di congedo, cadenze d’abbandono e palpiti di rinascita, intermittenze e segnali luminosi di una mente poetante che ci trasporta nel corpo-testo tenendoci stretti e mettendoci a parte delle sue minime e impercettibili rivelazioni.
Qui di seguito, una selezione di poesie dalle tre sezioni che compongono il libro.
I
GUERRA DI TRINCEA
Nessuno, morte, ti conosce meglio di me
nessuno ti ha frugata in tutto il corpo
nessuno ha cominciato così presto
a fronteggiarti… tu nuda e ribelle alla farsa
delle preghiere… tu mi hai rivelato
il pungiglione delle ore perdute
e la malia di quelle che mi attendevano felici
e senza dio… in un area di rigore… laggiù…
nel fischio micidiale del minuto.
*
Ho cercato il punto fermo
che fissa un confine
e non lo supera
ma fu inutile: altri saliscendi
della mente, altre maree
travolsero il nostro puntaspilli,
ci gettarono nel sangue.
*
Ogni frutto ha un tremore
e da quelle antiche terre mi raggiunge
ora sono il precipizio di me stesso
e a poco a poco la vita
s’impiglia nella sua fine per sempre.
II
INCONTRI E AGGUATI
Nella nebbia serale, tra gli squilibri della mente,
sei scesa come un alleato
con il tuo sguardo matematico hai indicato
alcune grandezze, hai disegnato sull’asfalto
i minuti di un teorema ridente e ogni minuto
è un’epoca che abbraccio e tu non lasci
deserte le ore, a ognuna dai un nome
e una misura, disegni angoli, parallele
e soluzioni, dimostri che i corpi,
come un paesaggio, s’incontrano all’infinito.
*
Una lama di fosforo ti distingueva
e ti minacciava, in classe terza,
ti chiedeva ogni volta il voto più alto, l’esempio
perfetto del condottiero: sei stato tra la gloria
e il sacrificio umano
e hai scelto di non avere più nulla.
Ma oggi ti è riuscito
l’antico affondo, il pezzo di bravura,
chiamandomi per nome tra la polfer e i sonnambuli
del binario ventidue “Ti ricordi di me?
Io abito qui”. “Ricordo quella versione
di Tucidide difficilissima. Solo tu… solo tu.”
“Toiósde men o táfos eghéneto…”
Hai ancora il guizzo
dello studente strepitoso, l’aggettivo
che si posa sul foglio e svetta, la frase
di una lingua canonica e nuova, quel tuo
tradurre all’istante a occhi socchiusi. Dove sei,
ti chiedo silenzioso. Dove siamo? I frutti
restano dentro e bruciano segreti
in un tempo lontano dalla luce,
in una giostra di libellule o in un sasso.
*
Ti ho incontrata in un pub
di porta vercellina, ho visto
i battenti della porta chiudersi
troppo lentamente e la freccetta piumata
volare troppo alta e noi due
diventare un puro iato: la verità
imprime crepe sulla parete,
annerisce lo specchio
dove abbiamo brillato per un attimo
prima di essere fissati
dall’occhio vitreo delle madri.
*
Il ragazzo eterno che risiede
in te gioca e gioca ancora e insegue un pallone
che lo porta nel grande urlo dello stadio, nell’aperto
sorriso del mondo… cosa ti manca cosa cerchi in una
donna quale ombra quale segreto quale danza indefinita
che tradisce il sacro appuntamento
dell’ultimo minuto, e lo fa più lungo più breve,
più simile alla vita.
III
ALTA SORVEGLIANZA
V
Qui non è prevista
la stagione dei dodici raccolti
qui ogni mese può essere infinito
o mancare per sempre
dipende da un giro di sigarette
da una compravendita o da un agente
che non ha ricevuto la giusta adorazione
e compila un rapporto feroce
dove ogni ora d’aria è avvelenata
e ogni parola trova un movente.
*
XII
Nella punta di questa matita
c’è il tuo destino, vedi, nella punta
aguzza e fragile che scrive sul foglio
l’ombra di ogni frase e scrive
le mura cieche, l’attenuante e il soliloquio
il tuo destino è proprio qui, in questo
immobile trasloco, in questo impercettibile
sorriso che un uomo offre
al mondo prima di sparire.
*
XIII
Questo destino che nessun diario
raccoglie, nessun giornale, cronaca
o storia, vive nel sibilo
di un ricordo, nel suono
della giovinezza: il frutteto fantastico
e un fruscio negli abbaini,
e poi qualche grammo, il pigolio
del giudice di sorveglianza,
un’edicola notturna, una retata.