03chagall

Heya – Livello superiore

 Il viaggio parte da lontano, luoghi e tempi sconosciuti come deve essere a-temporale tutto ciò che rimane, in eterno. E noi esistiamo, da sempre. Per te migliaia di chilometri in terre di polvere e sangue nei momenti più bui e nel paese dei ciliegi in fiore e chissà cosa ti ha spinto lì. Forse cercavi un altro-te più segreto, meno spavaldo, tutto interiore che per incanto si trova nel Roji per la cerimonia del Cha no you o nel distretto di Tsukiji a guardare quei quasi-cadaveri-pesce (patina opaca sugli occhi, mi ricorda certi umani) non so perché ti piace tanto. Hai sempre cercato gli occhi di noi umani e di ogni essere vivente, anche le case avevano lo sguardo sul mondo e osservavano silenziose e pazienti l’alternarsi delle stagioni e le persone, le guardavano dall’alto.               

Mi dicevi – Ecco, guarda lassù. Le vedi? Quelle più curve hanno il peso del tempo sulle spalle, come noi, sembra che sappiano tutto di te, che trattengano nelle crepe segreti  rubati, parole che nessuno direbbe mai ad un altro, confesso che a volte mi sento osservato – Sospettavi inutilmente di essere sorvegliato e credevi che gli stessi occhi che amavi tanto su di te fossero “taglienti”, così dicevi, frugavano, cercavano qualcosa irriverenti. Paranoia. Quello che frugava in realtà eri tu. Era un venerdì di nuvole e pioggia e – ancora sconosciuti – spesso annoiato ti inventavi qualcosa per ammazzare il tempo; quel giorno avevi deciso di frugare nella mia gonna e ti avrei ammazzato io. Dico, ce n’era di spazio in quell’angusto negozio color seppia di mangimi, il Marchés aux Oiseaux. Aria strafottente piglio sicuro sei venuto verso di me e mano sotto la gonna hai detto – Oh… mi scusi, è che cercavo il miglio paglierino vede, è qui sotto – Peccato che lì sotto non c’era solo il miglio e altri semi stavano sbocciando. Ho guardato i tuoi occhi per cercare umanità in quel gesto freddo e disperato e ho trovato anch’io gli occhi che inseguivo, senza fondo. Baratro. Tu eri così, malinconico come l’autunno e frammento di ogni stagione, scheggia del tempo arrivata sino a me. Ed io? Meno chilometri molte vite, azione causa-effetto, spizzare le carte in mano e giocarti quella che pensi possa vincere, ovvero darti un po’ di respiro in quel momento. Più pragmatica? No, meno adesa a me. Purtroppo. E poi ci si trova, abitanti di terre non troppo lontane. È così che era scritto? È stato il destino? Basta con queste storie da romanzo-soft, forse abbiamo soltanto seguito i cartelli stradali giusti, perché anche questo bisogna saper fare, cosa cercare e dove andare nel momento giusto e non è da tutti. Sensazioni, ecco. Occhi negli occhi, il respiro che confonde, nebulizza i pensieri. Le parole spettro di colori o in bianco e nero in costruzioni a-simmetriche ma anche sole, fredde e scarne che ti guardano insolenti.

Ci guardavamo dentro io e te, cercavamo noi.

Carne nella carne, scricchiolio di ossa nel nostro Heya per raggiungere il livello superiore, quello delle nozze dello spirito (per noi innervato, non possiamo farne a meno). Adesso? Cosa succede adesso? Quel che so è che vorrei avere una settimana e chiedere ospitalità, stare nella tua testa, magari si comincia con un piano terra per evitare le vertigini delle alture dove il vento è forte, i pensieri e le emozioni vanno di fretta e non è scontato trovare un posto anche in piedi dove poter stare. Già sulla soglia so che vedrei il non-visto, l’altro, il non-detto, parole contratte, sculture di pensieri post-moderni e antichi sentimenti che solo tu conosci.

 

 

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