Edouard Vuillard, Breton House x emiliano zappalà


Era la nostra casa sull’albero.
Sotto, si vedeva il deserto
raggiungere ogni luogo.
E le croci nude
                         e grigie
sullo sfondo color polvere
mentre    giravano,
 
dritte            e          impalate,
             
              sul nulla…
 
E si vedeva il solco serpentino sulla sabbia
– il sentiero delle iguane –
e attorno gli ultimi gruppi d’uomini nudi,
intenti a coltivare granelli di fuoco.
 
La notte calava come una scure,
trascinava così tanto cielo
che non sapevi più dove guardare.
I tuoi capelli profumavano di lavanda
e cenere.
 
Tu iniziavi a contare le stelle
e io,
sprofondavo all’improvviso
in un sonno
senza
sogni.
 
 
***
 
In fondo,
                    
                     lo spettacolo
non è restare in equilibrio,
scegliere con cura il piede
da stendere sulla fune,
respirare la polvere;
non è ruotare i palmi aperti
non è il ginocchio sbucciato.
 
Lo spettacolo è
 
            approssimare
il peso delle tue ossa,
nell’attimo prima che il passo crolli,
arrivare all’ultimo centimetro,
all’un-due-tre stella dei pazzi;
è l’aver già staccato il salto
e non essersene accorti.
 
 
 
***
 
La corsa arriva da dietro le spalle.
La fuga cieca
Nell’ultimo sorridere
che spacca la notte;
la risposta è
                     nel passo
                                       gelato;
l’attesa del giorno
è il ritorno che riapre
                                    il cerchio.
 
La corsa arriva da dietro,
rimbalza nel ventre
poi muore, nel morso,
nell’errore di non aver rincorso.
Nel pugnale schiantato,
con questo vigore
                                  senza appartenenza.
 
 
***
 
Il nonno ha combattuto tre guerre.
Lo capisci da come sta piantato a terra,
duro, come un pezzo di corallo.
Ha due occhi che fissano sempre
il punto più lontano della stanza
e quando te li inchioda addosso
senti la puntura nella carne.
 
Lo catturarono in Albania.
Torturato per sei giorni
e non un lamento.
 
Solo un tedesco riuscì a piegarlo;
si chiamava Alois Alzheimer.
Ad uno ad uno gli comprò tutti i ricordi
per pochi soldi.
Li vendette ad un rigattiere straniero.
 
Il nonno sta ancora piantato come un marmo
a fissare il punto più distante dell’universo.
Nei suoi occhi c’è la perfetta cornice
di una vita,
ma la tela che ci stava dentro
adesso fa da tappeto
in un qualche bazar indiano.
 
***
 
Era il tempo di miseria;
il pane raffermo sul tavolo –
la luce, una lama fuori bersaglio –
i lumi lontani degli ultimi migranti
(oltre il litorale una costellazione
di disperati).
 
L’acciaio era stato fuso in una lega
deforme
le navi erano salpate
la neve si faceva fitta, giaceva
distratta, ammonticchiata come un incubo,
e nuda, come un’alba.
 
È il tempo di miseria,
e sul tavolo i quadrati si alternano al vuoto
il pane a metà, il gesto sospeso
                                                    – sottratto.
Qualcuno è rimasto, sotto le tormente;
spaccherà l’acciaio
si sporcherà le mani di terra,
sprecherà altre lacrime, altre grida.
 
Arriveranno degli stranieri
Impareremo un’altra lingua…
 
***
 
Ci sono mattine in cui capita,
di passare per certe strade
per certi quartieri
ammusoliti, usuali
riletti sempre a metà
come i racconti dei bambini,
sgomitolati da lontano.
 
Mentre qualcosa è cambiato
impercettibilmente
nelle macchie nascoste sotto le ciglia
dei palazzi, delle scuole, dei bar;
un secolo è morto
e si è portato dietro un millennio,
troppo aperto, troppo nuovo, troppo vago.
Qualcuno ha sussurrato una (d)istruzione
che è rimasta esposta, nuda
scrostata, scarnificata.
 
E ci siamo passati in mezzo,
sempre con le mani in tasca,
per voltarci indietro, verso
qualcosa che c’era già stato
inatteso
e adesso torna, sempre,
inascoltato.
 
***
 
Avevo già visto questa scena della mia vita
solo che
non ricordavo l’uomo con il grande
cappotto marrone,
né la donna ferma a contare i granelli di grandine.
Non ricordavo il disordine,
non ricordavo quell’odore disperato.
 
È tardi. L’orologio avanza.
Esplode deciso su ogni secondo.
 
Mi alzo prima che suoni la sveglia
mi vesto
ed in un attimo sono già alla porta.
 
 
***
 

 

 


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