Un microlito del 1954 suona: “La parola in una poesia è occupata solo parzialmente dai vissuti dell’autore; un’altra parte viene occupata di vissuti dalla poesia; un’altra ancora rimane libera, ossia occupabile”[1]. Questa tesi trova conferma in un episodio della vita stessa di Paul Celan (1920-1970), quando egli era da un anno abbondante a Parigi.
Il 24 novembre 1949, un giorno dopo il ventinovesimo compleanno del poeta, Ingeborg Bachmann (1926-1973) da Vienna riallaccia il rapporto allegando una lettera non spedita del 25 agosto precedente in cui rievoca così i loro due mesi d’amore (maggio-giugno 1948): “Il mio silenzio significa soprattutto che volevo conservare quelle settimane come furono, volevo solo ricevere da te ogni tanto con una cartolina la conferma di non avere sognato, ma che tutto era vero come fu. Ti avevo voluto bene, sempre costantemente, su un piano che era ‘al di là degli ippocastani’”.
La citazione viene da una poesia composta da Celan a diciannove anni e pubblicata per la prima volta a fine settembre 1948 in apertura della raccolta poetica La sabbia delle urne:
LÀ OLTRE
Appena al di là degli ippocastani c’è il mondo.
Da lì giunge di notte un vento in carro di nuvole
e qualcuno si alza qui…
Vuole portar costui oltre gli ippocastani:
“Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!
Appena al di là degli ippocastani c’è il mondo…”
Allora frinisco adagio come fanno i grilli,
allora lo trattengo, e deve rinunciare:
il mio richiamo gli blocca le giunture!
Il vento molte notti odo tornare:
“Da me sfavilla lontananza, da te è stretto…”
Allora frinisco adagio come fanno i grilli.
Ma se la notte neanche oggi si schiara
e torna il vento nel carro di nuvole:
“Da me c’è felce dolce e digitale purpurea da me!”
e vuole portarlo oltre gli ippocastani –
allora non lo trattengo, non lo trattengo qui…
Appena al di là degli ippocastani c’è il mondo[2].
Ingeborg aveva recuperato grazie ad amici comuni una copia della raccolta verso la fine del 1948, e ora si “appropria” di Là oltre, ossia la occupa. Non solo: Paul consente, e se ne “riappropria” a sua volta in una lettera a Ingeborg del 30 ottobre 1952, scrivendo: “Anche quest’autunno gli ippocastani sono tornati a fiorire per la seconda volta”[3].
È dunque un’occupazione condivisa, che Ingeborg pone sul terreno della fiaba: un abbozzo di lettera interrotto del giugno 1949 inizia con “Paul, caro Paul, / ho nostalgia di te e della nostra fiaba”, e questa si specifica giorni dopo con “Per me tu vieni dall’India o da un paese ancora più remoto, scuro, bruno, per me tu sei il deserto e il mare e tutto quanto è mistero”.
Quello che Ingeborg intuisce dell’aura fiabesca che pervade Là oltre, Barbara Wiedemann, curatrice della recente edizione commentata di tutte le poesie di Celan, esplicita con un richiamo alla ballata di Goethe Il re degli elfi, dove un padre disperato porta invano il figlio morente dal medico del villaggio vicino sussurrandogli la promessa ingannevole: “Amato bimbo, vieni, vieni via con me! Bei giochi giocherò con te; ci sono tanti fiori colorati sulla spiaggia”.
Che sia questo il luogo occupato da Celan, ho i miei dubbi, ma vale comunque un principio di occupabilità attivo sempre, dal privatissimum di un rapporto a due al persistere di tòpoi, se non di archetipi universali.
Tant’è che io stesso, qua semplice lettore, sarei tentato di occupare Là oltre così: Paul Pinocchio, il vento Lucignolo, il Grillo frinente.
[1] P. Celan, Microliti, a cura di D. Borso, Mondadori, Milano 2020, p. 53.
[2] DRÜBEN // Erst jenseits der Kastanien ist die Welt. // Von dort kommt nachts ein Wind im Wolkenwagen / und irgendwer steht auf dahier… / Den will er über die Kastanien tragen: / “Bei mir ist Engelsüß und roter Fingerhut bei mir! / Erst jenseits der Kastanien ist die Welt…” // Dann zirp ich leise, wie es Heimchen tun, / dann halt ich ihn, dann muß er sich verwehren: / ihm legt mein Ruf sich ums Gelenk! / Den Wind hör ich in vielen Nächten wiederkehren: / “Bei mir flammt Ferne, bei dir ist es eng…” / Dann zirp ich leise, wie es Heimchen tun. // Doch wenn die Nacht auch heut sich nicht erhellt / und wiederkommt der Wind im Wolkenwagen: / “Bei mir ist Engelsüß und roter Fingerhut bei mir!” / Und will ihn über die Kastanien tragen – / dann halt, dann halt ich ihn nicht hier… // Erst jenseits der Kastanien ist die Welt. P. Celan, La sabbia delle urne, a cura di D. Borso, Einaudi, Torino 2016, pp. 5-6.
[3] L’ippocastano fiorisce due volte all’anno, in primavera e in autunno.
in copertina Vincent van Gogh, Ippocastano in fiore, 1887