Angelo Sturiale vince il Premio Internazionale “Chrónos” con “D’amore, di vetro, di metallo”.

Angelo Sturiale è musicista e artista visivo, nasce a Catania dove ha conseguito le lauree in Lettere Moderne e Pianoforte. È stato compositore invitato e artista-in-residenza presso: Conservatorio Trinity Laban di Londra, Conservatorio Superiore di Musica di Zaragoza, Conservatorio de Las Rosas di Morelia (Messico), Tokyo National University of Fine Arts and Music (Giappone), Darmstadt Ferienkurse für Neue Musik (Germania), EMS Studios di Stoccolma (Svezia), OMI Summer Residency di New York (USA), Bellagio International Village (Italia), Iceland Academy of the Arts e Kolstadir Art Centre (Islanda), Vilborg Kunsthal – Riddergade Air (Danimarca). Le sue ricerche teoriche e opere musicali sono state sostenute da istituzioni quali Rockefeller Foundation, Unesco-Aschberg, Ministero degli Affari Esteri Italiano, Swedish Institute, Canon Foundation Japan, Pépinières Européennes, Zeitklang. Ha pubblicato: “Tempeste di Te”, per Algra Editore, 2015, e “Catalogo d’Amore”, per Le Farfalle, 2016. I suoi quadri sono stati esposti in Italia, Stati Uniti, Messico e Islanda. È stato visiting professor di discipline teorico-musicali presso l’Istituto Tecnologico di Studi Superiori di Monterrey, Messico. Vincitore del primo premio all’International Call for Works for percussions (Chrónos), University of Texas Rio Grande Valley, USA, lo abbiamo intervistato.

Parlaci di questa tua ultima composizione premiata negli Stati Uniti. Anzitutto, come è nata l’idea?
L’idea è venuta da una commissione da parte di Versus 8, un gruppo di percussionisti in Messico (paese in cui ho vissuto fino al dicembre 2018), formazione strumentale per la quale ho scritto (e dedicato) già due miei lavori: “Encore” e “Kids home alone”. È un gruppo con cui collaboro da anni perché sono musicisti che mi hanno permesso sempre di esprimermi con grande libertà, lasciandomi carta bianca su tutto, sperimentando tra linguaggi e tecniche esecutive non convenzionali, combinazioni e scelte strumentali eterodosse, dinamiche di relazione tra i musicisti che richiedono certamente tanta pazienza e molte prove, ma che mi hanno aiutato nel tempo a mettere in pratica realizzando idee importanti: insomma, una preziosa rarità per un compositore come me, che ha da sempre creato le proprie opere sulle premesse e obiettivi fondati sulle poetiche ed estetiche delle avanguardie artistiche e sugli sperimentalismi o innovazioni linguistiche di varia natura.

In che cosa credi che quest’opera sia sperimentale o innovativa?
Sulla notazione musicale, per esempio: una costante nella mia produzione. Un sistema di notazione che prevede delle griglie o contenitori di azioni sonore, e non note musicali ripetibili nella stessa natura e quantità. Vale a dire gruppi di suoni la cui durata e formazione dipende dagli stessi istanti in cui viene eseguita l’opera, ma anche da altre variabili, come il luogo di esecuzione e le dinamiche emotive e psicologiche sperimentate in tempo reale dai musicisti.
Inoltre non esiste un ordine unico e prestabilito con cui i suoni dovranno susseguirsi nel tempo musicale dell’opera, ma zone o aree di sonorità più o meno dense, che contengono processi esecutivi, e non appunto battute musicali ripetibili ogni volta nello stesso modo.

Qual è il tuo obiettivo estetico come compositore?
Ce ne sono svariati… Prima di ogni cosa, la costruzione intenzionale di una certa tensione nell’esecuzione, una sorta di adrenalina intrinseca alla partitura, che così smette di essere considerata come una sequenza di note o sezioni lineari che si susseguono sempre con le stesse dinamiche. Mi interessa o affascina di più invece, l’idea che la partitura venga percepita e interpretata come una mappa in cui sono delineati dei percorsi, delle azioni strumentali, degli atti sonori, dei processi da cui si sviluppano una serie di dinamiche compositive e performative in maniera in qualche modo imprevedibile, precaria, indefinita, anche se facenti parte di uno scheletro o disegno formale abbastanza preciso. In questo senso uno dei miei obiettivi principale è quello di sedurre l’ascoltatore, afferrarlo e condurlo poco a poco dentro un mondo sonoro in cui perdersi e sorprendersi, dentro cui proiettare se stesso ogni volta per ciascuna esecuzione.

E quindi rispetto alle altre due opere composte per lo stesso gruppo, quali sono le peculiarità di quest’ultimo lavoro? Qual è il titolo della composizione?Anzitutto la strumentazione che privilegia l’elemento metallico e vitreo, ma per questioni strettamente legate alle parole-chiave dei versi che ispirano l’opera. Il titolo è “D’amore, di vetro, di metallo – madrigale per quattro percussionisti (32 strumenti)”.


Per chi non fosse ferrato sull’argomento, spieghi perché parli di “versi”?
Perché l’opera è basata su un mio testo poetico, un madrigale appunto, anche se non convenzionale nella forma o metrica. Il madrigale è legato, come si sa, al mondo della scrittura poetica. Nella storia della musica questa forma ha prodotto in vari periodi opere di grande importanza e bellezza, varietà e direi pure sperimentazione: basti pensare ai compositori Orlando di Lasso, Luca Marenzio, Gesualdo, Monteverdi, Dowland, e tanti altri… Ma di madrigali ne sono stati composti pure alcuni per soli strumenti, senza quindi nessun accompagnamento vocale. Ed è a questa tradizione, se pur marginale, che ho voluto agganciarmi, ideando appunto una composizione per quattro percussionisti, ispirata ad un testo poetico, i cui versi sono stati utilizzati non solo per definire le scelte strumentali, ma soprattutto quelle strutturali, formali, drammaturgiche. Il testo recita così:

E come il vetro, l’amore: tanto chiaro e vero,
ma trasparente e fragile. Visibile poi nel suo
concedersi, e soave o levigato come la pelle
che da lì ci inonda senza riserve il cuore, è
pure fragile il suo abbraccio che si infrange
e taglia amaro come rapido coltello. E come
lama di metallo o pugnale imbestialito, ferisce
e spezza, aggredendo fatalmente senza accenno.
Sa proprio di cristallo quest’amore di metallo,
leggero alla vista forse, ma di improvviso incauto.
Sono campane le sue parole ariose, sospese ai
venti come bottiglie di luce. Ma quando l’aria
muta, appaiono acide e crudeli come lava nera,
come pietre sui tamburi e pelli, come frecce
che di sorpresa annientano e divorano ogni cosa.
Ha odore di musica questo scritto silenzioso che
vuole dire qualcosa su te, amore vero e chiaro, che
come zero trasparente, o poema o madrigale,
si veste questa notte d’amore, di vetro, di metallo.

Come hai legato queste parole ai suoni strumentali emessi dai quattro percussionisti?
È importante prima di ogni cosa sottolineare il fatto che il madrigale che ho scritto non presenta rime o endecasillabi, giochi prosodici o metrici rivolti al passato. Ho cercato più che altro nel contenuto amoroso, e in generale nello “spirito” della forma, di comporre dei versi che affrontassero il delicato e ambivalente tema dell’amore, affiancando per esempio l’idea della trasparenza del sentimento a quella del vetro, giocando deliberatamente tra situazioni emotive ambigue, polisemiche o persino estreme. Sulle parole-chiave come metallo, coltello, vetro, pelle (umana e percussiva), cristallo, campana, bottiglia, ho creato delle trame compositive e strumentali relazionate a tali concetti, in modo da restituire all’ascoltatore una certa coerenza simbolica tra i versi e le sonorità strumentali.

Angelo Sturiale con i “Versus 8 Percussion Ensemble”.

A livello esecutivo, come si relazionano i musicisti ai versi di questo testo?
Specifiche porzioni del madrigale sono state utilizzate in vari momenti della composizione, esattamente cinque, e così denominati: 1) vetro, 2) amore, 3) madrigale, 4) freccia, 5) metallo.
Per esempio, nella prima parte (“vetro”), tutti e quattro i musicisti suonano su un unico vibrafono, sussurrando le sillabe dei primi versi dentro delle bottiglie di vetro: il risultato sarà una voce “flautata”, e anche un po’ robotizzata. L’idea è stata quella di annullare l’elemento vocale umano per dare posto ad una sonorità fresca e moderna e forse pure un po’ androgina. Ad ogni cambio di sillaba poi, corrispondono ritmicamente dei respiri strumentali in sincronia con le parole, ma scandite dai movimenti verso l’alto e verso il basso di archi di contrabbassi in mano ai percussionisti, che sfiorano i tasti-lamelle del vibrafono, emettendo delle sonorità accordali ogni volta indefinite dal punto di vista armonico.
Invece nella terza parte (“amore”), in determinate sezioni della composizione gli esecutori con una mano utilizzano una bacchetta per scrivere letteralmente (e sincronicamente tra loro) le parole dei versi, ma sospese in aria di fronte agli spettatori! E con l’altra mano toccano parti di strumenti, sostenendosi a vicenda tra gesto e suono. Una gestualità performativa certamente silenziosa e una rete di suoni dalla timbrica delicati e di basso volume, ma molto evocativi!

Un risultato sicuramente suggestivo e coreografico. Ma i musicisti si prestano tranquillamente a questo tipo di azioni extra-musicali, che normalmente esulano dalle loro competenze come percussionisti? Come reagiscono? Hai trovato particolari ostacoli?
Beh sì, in effetti all’inizio si sono sorpresi di questo tipo di “sconfinamenti” sul versante performativo legato proprio al movimento che non produce un suono o una nota determinata in partitura sempre uguale a se stessa. Ma non sono nuovo a questo tipo di concezione, e loro un po’ si aspettavano, diciamo così, delle sorprese! Come ho già detto prima, anche nei miei precedenti lavori scritti per loro avevo utilizzato l’elemento del movimento come materiale compositivo in armonia con i suoni tout court provenienti dagli strumenti, ma con ben altre finalità concettuali ed espressive. Per esempio in “Encore”, i musicisti emettono dei suoni effettivamente “suonati”, acustici, e suoni non suonati, ovvero solo gesti di colpi che hanno una valenza visiva e che aspirano a saturare l’orecchio interiore e mentale degli ascoltatori mediante l’immagine del gesto che produce il suono, e non il suono fisico-acustico.

Tutto questo ricorda un po’ l’Asia…
Le arti performative orientali integrano armonicamente suono e gesto, musica e teatro-danza, elementi che da tanti anni mi hanno sempre molto affascinato…

E invece per tornare al tuo madrigale “D’amore, di vetro, di metallo”, come prosegue l’opera? Altre sorprese?
Credo di sì! Infatti, nella quarta parte della composizione gli strumentisti scrivono il testo con le loro bacchette sulle lamelle del vibrafono e su alcune pelli, come quelle dei tamburi rullanti o grancassa sinfonica, persino disegnano in aria alcune parole scuotendo sonagli e tamburi del tuono: il suono globale che ne risulta, nonché la sincronia gestuale dei musicisti nel tracciare le parole sui loro strumenti, è così strettamente legata ai versi, che si crea magicamente una certa atmosfera esecutiva ed espressiva spero molto organica al contenuto del testo poetico. Non vedo l’ora di ascoltare!

Certamente! Ma quando è prevista la prima esecuzione mondiale di questo lavoro?
I “Versus 8”, il gruppo che ha commissionato l’opera, la eseguirà in prima mondiale in occasione del “Transplanted Roots Research Symposium” che si svolgerà questo Settembre a Guanajuato, Messico. Mentre invece il gruppo universitario legato al premio la eseguirà l’anno prossimo, credo in aprile. A partire dai prossimi mesi, i musicisti intanto, data la complessità e problematicità dell’aspetto esecutivo dell’opera, inizieranno a leggere e provare a montare poco a poco la composizione sezione per sezione, in modo poi da integrarmi io gradualmente nelle prove, prima in forma virtuale, poi presenziale, nella fase finale che prevede la prima esecuzione in Texas appunto, nel 2020. 

 

 

(la ph in copertina è di Alberto Gutiérrez Santillán – Santa Monica, California 2018)

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