“La poesia ha necessità di silenzio e ozio”
“Il pensiero non indugia a trovare dimora, quando c’è spazio nella mente, altrimenti si aggroviglia in ragnatele che raggiungono la gola, stretto il morso preclude alla lingua il verbo, all’occhio la luce.(…)”. È la riflessione che Tiziana Tius pone in esergo, quasi viatico per accedere al viaggio entro i versi incisivi essenziali molto prossimi a un oracolo de L’eresia del pianto, Thauma Edizioni, 2011.
Perché la scelta di dare alla tua raccolta il titolo L’eresia del pianto?
Per Eresia intendo: “da hairêisthai= fare la propria scelta”. La raccolta serpeggia fra l’aspetto essenziale della vita e, di fronte agli accadimenti, suggerisce la scelta, anche quando appare impossibile e consapevole che questa possa recare ferite. È un viaggio che guarda di lato, cerca l’angolatura all’ombra, nel buio, recupera il luogo e il fuoco, come legge dell’eterno ritorno, sconfina nel passato e ne afferra le immagini, insinua quesiti.
Le due rive necessarie, gioia e dolore, divengono ciò che sono, la vita nel suo sgorgare impetuoso e talvolta impietoso. La contentezza sta nella semplicità dei piccoli gesti quotidiani, nell’affidarsi alla Natura, al vento, al silenzio, sulla soglia avvengono spettacoli di luminose scie. È un trasloco che cerca il sostrato, guarda alla genesi come possibilità di rinnovamento.
Come fu l’inizio del tuo scrivere poesia e quale urgenza copre nel tuo vivere quotidiano?
Scrivo sin da giovanissima quando ho avuto la fortuna di incontrare il poeta Gino Benedetti che mi ha seguita e spronata sempre. L’urgenza è molto forte, mi viene naturale: è una condizione più che una scelta, la vivo anche come resistenza ai tempi sempre più pressati e pressanti. La poesia ha necessità di silenzio e ozio.
Quali sono i poeti che senti affini o ritieni abbiano portato in luce gli elementi distintivi della tua poesia che comprende certi temi cari alla poetica dell’essere, soprattutto per quanto riguarda la “parola” poiché tu scrivi “La ricerca infinita.” – “Possedere la chiave polisemica/da gridare nella bocca/degli increduli” – “Dopo la tua voce/il soliloquio del vento”.
Non attingo ai Poeti, le letture dei Maestri sono il faro, insinuano e sollecitano nuove strade, sono l’esempio. Dopo di che sono necessari l’ascolto e il dubbio, entrambi molto utili: il primo lascia vedere là dove l’occhio fatica ad arrivare, il secondo consente al poeta di restare umile di fronte alla grandezza di ciò che gli è superiore. Nutro un grande rispetto verso la parola. Credo che la parola sia uno strumento pericoloso, può divenire dardo o carezza, la responsabilità della sua divulgazione, per me, è grande. La ricerca sta nel trovare il termine adeguato che -stringa il verso- ho bisogno della parola – unica – che sola esprima un concetto, che abbia più significati, da qui i miei tentativi di scrivere -versi brevi e necessari -, prediligo l’essenziale. I poeti più vicini al mio sentire sono senz’altro Celan e Char, ma li stimo e li rispetto tutti.
Oggi, della poesia si dice che sia moritura o peggio, morta. Reputi vera questa affermazione e se non lo è che senso attribuisci a scrivere poesia che sembra restare appannaggio di pochi, di persone di rara sensibilità?
Credo che si debba accettare che la poesia sia in ogni dove, non si può dire: “io non leggo poesia” semplicemente perché, se la immaginiamo suscitare emozioni e sollecitare fantasie, credo che la si possa trovare un po’ ovunque. La sensibilità del lettore nasce da molti fattori e il poeta ne è responsabile: deve scrivere bene, trasmettere emozione e ricordarsi che la poesia non dovrebbe essere autoreferenziale ma occuparsi di ciò che è dentro e fuori ogni essere. Non credo sia morta e penso ci sia tanta buona poesia nei cassetti di molti poeti. C’è più bisogno di poesia di quanto non possiamo immaginare.
Tra le tue letture lontane ricordi la poesia che ti ha stupita e resta nella memoria; “par coeur” direbbero i francesi, attribuendo all’espressione il senso che ciò che resta ancora stupore è fissato nel pensiero del cuore?
Se devo andare lontana nel tempo penso a Pavese, a quel suo cercare di capire e capirsi. La rottura nella tradizione letteraria italiana dell’epoca mi affascinò, riprendendo il libro e sfogliandolo ritrovo, fra gli altri, alcuni versi sottolineati nella poesia “Risveglio”; ciò che è stato diviene ricordo, l’estate si dissolve, ma noi sappiamo che poi torna. Fu spinta ottimistica in quel tempo. “Lo ripete anche l’aria che quel giorno non torna/ […]Torna a vivere l’aria, con vigore inaudito/[…]Torna a vivere l’aria e la gola la beve[…] (C. Pavese).
Per te è significativo e necessario per comprendere meglio l’evoluzione poetica di un autore che il lettore ne conosca l’aspetto umano?
Non sono sicura che sia fondamentale e comunque questo dipende dall’uso che si fa della poesia. Nei versi, dentro le parole, c’è tutto quanto è necessario sapere; il lettore dovrebbe trovare nelle parole le sue parole e seguire il suo proprio cammino. Del resto il poeta non possiede alcuna verità, egli risorge continuamente dalle sue proprie ceneri.
Verso la fine de L’eresia del pianto c’è una riflessione che titoli “Malinconia”: che posto occupa nella tua poesia questo stato d’animo che ha ispirato pressoché tutti i lirici?
Non mi sento particolarmente ispirata dalla malinconia, è un elemento che spesso si mescola e talvolta in modo ansioso, esasperante. Il mio breve pensiero è una piccola analisi dell’esordio malinconico, alludo alla sua forza, all’audacia, è come “un lento regredire che sembra inarrestabile”. Alla fine tornare nel ventre del mare è cercare la rinascita attraverso l’acqua, rigenerarsi, ritrovare contentezza.
Infine, per salutare i lettori scegli alcune delle tue poesie.
Ringrazio e saluto i lettori con queste poesie:
Rivoltami la carne con denti allargati sottrai il fulcro del verbo e rimandami nel letto del fiume fui acqua ancor prima di parola corteccia che ogni notte incidi fino all’alba, poi ritorno carne da rivoltare. * Nell’ansa di me stessa il prolungamento del respiro occhi se ne avessi direbbero che han visto. * Mi partorisco ad ogni amplesso dove il sangue non giunge ho lacrime da scorrere. * Mi sono tolta le mani dentro il sogno che non ti vede ma il labbro sa della tua presenza e scalpita la lingua in fremito lancia alla gola segnali di saliva muovi le cosce veloci al vento che ci spinge fuori dal cielo e il sogno cade sulla punta dell’albero felice. * “A portarci sin qui non sono stati che passi piccoli stretti passi frettolosi slanci a vuoto siamo precipitati talvolta anche se sbucciati mai arresi abbiamo lasciato impronte là dove non pensavamo si potesse lasciarle”
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Tiziana Tiusè nata a Merano (Bz), e risiede sul Lago di Garda. Qui conosce il poeta-giornalista Gino Benedetti e pubblica nella Collana “7 Donne nella poesia”. Scrive per passione poesie e racconti. È presente in diverse raccolte poetiche fra cui: “Fragmenta” edizioni Smasher 2011. Nell’ottobre 2011 pubblica la personale raccolta poetica: L’Eresia del pianto, Thauma Edizioni, che partecipa e riceve il Premio Albo d’oro Poesia Microeditoria di Chiari 2013.
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