Su La verità, vi prego, sull’amore di W.H. Auden

 W. H. Auden, idea grafica di Nino Federico
W. H. Auden, idea grafica di Nino Federico

l’étranger

 

«Non c’è fumo senza fuoco»

«Una buona lirica è l’unica assicurazione che un soccombente riesce a riscuotere». La nota è di I. Brodskij e la scopriamo nella raccolta La verità, vi prego, sull’amore (Adelphi, 1994), del poeta W. H. Auden (1907-1973). Brodskij ha così espresso una verità profonda nel suo immutabile valore: la poesia rende più accettabile la vita, e a maggior ragione i versi di Auden ci aiutano a sopportare i momenti meno felici. Ancor più, Brodskij non si sbagliò quando nel saggio Per compiacere un’ombra (1983) scrisse che l’amore cantato dal poeta inglese era «amore perpetuato dal linguaggio, immemore del genere maschile e femminile […] e intensificato da una profonda sofferenza, perché anche la sofferenza può, alla fine, dover esser espressa, articolata. Dopotutto il linguaggio è, per definizione, autocosciente, e vuole cogliere il bando di ogni nuova situazione». Un’altra eloquente definizione riguardo l’aspetto lirico la ritroviamo già nella lettura di Mario Praz (1975) per il quale Auden «ha espresso nei suoi versi le ansie e le aspirazioni della sua generazione con un grado di intensità e di complessità senza pari, e per la consumata maestria della tecnica, capace di valersi sovranamente di tutti gli stili, può ben raccostarsi agli artisti che in altri campi han dominato il mondo moderno, Picasso e Stravinskij» (da notare, Auden collaborò proprio con Stravinskij ad un libretto di opera). Le poesie della raccolta, ci informa Gilberto Forti, sono state scritte fra il 1932 e il 1939, diverse fra queste furono composte per la musica di Benjamin Britten. Ritorna utile ricollegarsi sul significato armonico e corale del volumetto non solo perché la poetica richiama all’indiscussa tradizione della folk ballad, ma perché queste poesie possiedono ognuna una voce diversa, con un ritmo e un tenore precisi. È l’amore declinato in situazioni e contesti differenti – la parola amore è sempre stata una delle favorite di Auden («the word has been always a favourite of his», 1950) ci ricorda F.W. Bateson –, ciascuno con un’ironia, una pena e una brama che accolgono il lettore in modo da non farlo sentire solo. Auden non usa noticine misteriose, le «cryptic little notes» tipiche dei libri, descrive anzi gli stati dell’amore mostrandone contraddizioni e sfumature. L’amore si incontra con tutti e si scontra con tutto, forse e soprattutto con la nostra fragilità (i versi di Sotto un salice prostrato possiedono un respiro shakespeariano) e con il tempo (in Una sera che ero uscito a spasso percepiamo la lotta fra il linguaggio dell’amore e il linguaggio del tempo). Una diretta corrispondenza fra la sceneggiatura della parola e il suo simbolo fa sì che la poesia prenda residenza nella nostra mente, e quindi la voce del testo diventa la nostra. Non aspettiamoci cure! Auden guarda al senso remoto sepolto nelle pieghe più intime dell’impulso amoroso. Se la sofferenza è il sale di questa raccolta, non dimentichiamo il dono poetico e il calore di un sentimento capace di mantenere, nella gioia come nella tristezza, il suo valore reale e universale. Auden nel poema The Sea and the Mirror ha scritto: «Believe your pain», tieni fede al tuo dolore, ringrazialo, riscattalo e confortalo con il balsamo della poesia.

 

 

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