Iolanda Cuscunà, “Tace l’umano”,  una mappa per orientare lo stare nel mondo.

tre domande, tre poesie

 

Iolanda Cuscunà (nella foto in copertina di Brunella Bonaccorsinasce a Catania in una mattina d’estate del 1978. Dopo una Laurea in Filosofia nel 2002 con una tesi di Filosofia della Scienza, decide di diventare libraia, e dal 2003 lavora presso la storica libreria Cavallotto di Catania. Nel 2010 partecipa al corso di perfezionamento per librai della Scuola per Librai Umberto e Elisabetta Mauri tenutosi a Venezia. Nell 2022 è stata allieva del corso “Scrivere in versi” condotto da Giulio Mozzi, direttore della “Bottega di Narrazione”. A marzo del 2023 pubblica la prima raccolta poetica dal titolo “Tace l’umano” edito dalla Nous Editrice, esordio sostenuto dalla scrittrice Giovanna Giordano che ne ha curato la prefazione, e dal poeta Enzo Cannizzo che ne ha firmato la postfazione. Il libro “Tace l’umano” partecipa al Premio Sygla, Concorso Nazionale di Poesia, e viene segnalato dalla Giuria con l’inserimento di una poesia nell’Antologia del premio. La casa editrice “Ensemble” sceglie un componimento inedito per la sua “Agenda Poetica 2024”. Alcuni testi editi e inediti compaiono su Blog come: Letteratitudine, Di Sesta e di Settima Grandezza, LuciaLibri, Versolibero e sul quotidiano La Sicilia. Nel 2024 partecipa con degli inediti all’antologia “Dark way of Sicily” edita dalla casa editrice il Glomerulo di sale curata dai poeti Enzo Cannizzo e Sebastiano Adernò.

Qual è stata la “scintilla” che ha portato il tuo “Tace l’umano”, Nous Editrice, qual è il tuo “messaggio” essenziale, quindi ci racconti in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Tace l’umano è il mio primo libro. Per molti anni ho raccolto i miei versi convinta di tenerli custoditi come una scrittura privata, ma ad un certo punto ho avvertito la necessità di una relazione, il bisogno d’intrattenere un dialogo. L’incontro fortunato con le editrici della Nous: Giuditta Busà e Chiara Sicurella, ha reso possibile che questo si realizzasse. Loro hanno colto l’intenzione che mi muoveva e mi hanno accolta. Le mie poesie rappresentano una sorta di mappa attraverso cui mi sono orientata nel mio stare al mondo; per questo ho suddiviso il libro in sei sezioni, luoghi immaginari in cui l’io si ritrova. La Città è il primo di essi. Questa rappresenta una caverna, come nel mito di Platone, da cui guardare qualcosa che viene scambiato per reale ma probabilmente non lo è. Ciò che dalla caverna/città si osserva è solo un fantasma, qualcosa che appare ma non è essenza, verità. Dalla città si fa ritorno al Grembo luogo di vita ma anche di morte. Infondo è qui che sperimentiamo un primo “trapasso” da una forma di esistenza ad un’altra. Il grembo è quindi origine di ogni bene e di ogni male, di tutto ciò che vivendo ci porterà Altrove, terza sezione del libro, luogo d’incontri e esperienze. L’altrove rappresenta l’adultità, i versi narrano un io che sperimenta la relazione. Fin qui utilizzo l’italiano. È in “Terra”, quarta sezione, che subentra il dialetto con cui recupero la “lingua madre”: un linguaggio in cui la parola acquista una totale libertà e lo fa grazie anche all’uso dell’ironia. La parola, ormai libera, si spinge Oltre, penultima sezione, diventando lingua altra. Sono versi in francese e spagnolo, in cui si ridisegnano i confini dell’io. Con “Tace l’umano”, sezione che dà titolo all’opera, le parole sperimentano l’assenza. Ciò che si evoca sono uno spazio e un tempo disertati dall’ umanità, cioè da quel sentimento di compassione che dovrebbe appartenerci. Qui si conclude il viaggio, qui tutto rimane in silenzio.

Con i tuoi versi, “Strade sconosciute/ mi trafficano dentro/ vene e arterie. // Formicolano gli arti/ il sangue pulsa/ malamente”, per chiedere: la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta, può colmare l’inascoltato, l’ignoto?

La poesia colma un bisogno: quello di testimoniare il nostro esserci ora qui, di far parte di questo mondo, con il limite che è intrinseco alla nostra relatività. Un modo, forse, per tentare di vincere la paura più grande. Ciascuno di noi nasce e muore da solo, ma per tutta la vita crea delle relazioni, dei legami. Ecco, per me la poesia è quel “filo che unisce la vita che inizia/la vita che finisce”.

La poesia è un destino? 

Sì, penso che la poesia sia destino. Essa è un richiamo a cui non ci si può sottrarre. L’unico modo che io conosca per poter dire ciò che in me la vita reale o immaginaria suscita.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

*

Piscia il gigante
all’angolo della strada
mentre Golia picchia la testa
contro il vetro lucido dei negozi.
C’è chi cerca l’uomo che ha perduto
tra i mozziconi di sigaretta
e i fondi del caffè
abbandonati ai piedi della vita.
Una mano si solleva a salutare
l’amico che non c’è
mentre un’altra infila in bocca
il piccione caduto dal cielo.
Si corre nudi per le strade stanotte
mentre i cani saltellano festosi
e i poliziotti ti stanno alle calcagna.
Ci si odia o ci si ama
tra pazzi
s’impreca a uno sguardo
o ci si passa il bicchiere vuoto.
Parla senza senso
il dolore che nessuno vuole ascoltare.

*

Ed era la mano
la parte del tuo corpo che più amavo
suonava l’aria
tasto dopo tasto
piano
piano.

*

Resteranno tentativi di aggiustarci
resteranno i rimedi
e le cure. I luoghi
e le tracce di noi.
Resterà la linea di parole
semi tra i fogli bianchi
raccolti da qualcuno                   poi.

 

La poesia di cui scelgo di parlare è Piscia il gigante e fa parte della sezione Città.  Molti dei miei versi nascono dall’attraversamento di luoghi, da cose che vedo e che poi vengono trasfigurate. La scrittrice Giovanna Giordano che ha curato la prefazione di Tace l’umano” descrive i miei versi come versi di una donna “che cammina sul mondo con le scarpe militari ricoperte di fango e con le ballerine luccicanti” guardando al bello e al brutto della vita senza lacrime facili. Ecco, mettere in scena il dolore non vuol dire, per me, cedere al sentimentalismo ma attuare un vero gesto politico in cui come ha scritto il poeta Enzo Cannizzo che ha curato la postfazione “la città è madre liquida, lettera, metafora e contraffatta natura…ogni verso è grembo…atto continuo del dare alla luce e alle tenebre il già stato e ciò che sarà nella speranza che il parlare acquisti un senso e trovi ascolto. 

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