“Itinerari Incessanti…un rincorrersi di versi dispari: 3 – 5 – 7 – 9 – 13”, così scrive l’autore Maurizio Manzo nel presentarci questi 7 testi inediti (tutti composti da 15 versi). L’incalzante frenesia che ci accompagna nella lettura, mima la discesa infera contemporanea, questo cadere in basso dell’uomo consumatore “felice e moribondo”, che, con gesti stanchi, ripetitivi e uno sguardo omologato, testimone di una “vita decolorata asettica”, si osserva stanco e nauseato. Eppure una strana luce sinistra rischiara i versi, quella del “vuoto che come il piscio brilla anche se puzza”, come se l’unico bagliore possibile tra le rovine del finto benessere, fosse quello prodotto dai nostri stessi rifiuti. In tutto questo sfaldarsi di senso “l’assenza si assesta trova corpo”, l’ottusità mediatica invasiva che ci fa parlare e riprodurre metafore mutuate dal cinema (“lei mi vede in 3D”) è guidata da una coscienza poetica lucida, dotata di padronanza dei mezzi stilistici, che riesce a rendere lieve la grevità dei contenuti.
Luigi Carotenuto
*
Di rito
ci si alza appesi al-
lo zucchero filato
all’insufficienza leggera
ghiotti di soffice vita che scioglie in bocca
tivù
che asciuga gli occhi
il mezzo busto intero
dice: “andiamo al touch screen” con l’indice
nella piaga della gente nelle lamiere
sfilate
nello sfumato
volto impedito al sole
perché già sconfitta l’immagine
sgranata che cozza con uno sguardo inerte.
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Lo squillo
di trombe stadio
incombe disfa l’aria
nella città decapitata il
vuoto che come il piscio brilla anche se puzza a
far luce
e i fari rotti
davanti al mare spenti
sulle navi accese dal sale
ubriache di spuma ci lasciano giù a terra
storditi
mentre divisa
la luna scopre morta
la marea a riva intorpidita
da lingue sussurranti su conchiglie addii.
***
Aperta
la cerimonia
sugli sguardi ceramica
dei tanti morti la figura
rimbomba mentre spacca la memoria sottile
il giorno
sempre lo stesso
stempera la sequenza
l’assenza si assesta trova corpo
nella mente si perde ingoiato tra i lobi
le foglie
robuste e tùmide
delle sante corone
appoggiate ai muri scalfiti
sorprese dentro un muto colore s’afflosciano.
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Eppure
oggi rilevi
che anche tu sei la Coop
fai parte del mondo di tutti
saltelli felice e moribondo tra gli altri
le buste
tronfie di trofie
dal sugo al pesto slurp
è quello che insegui infilato
dentro il gusto guidato e fritto nell’odore
il vomito
ormai non salva
la salvia danza e calza
a pennello tra l’endorfine
la mortadella fina fina tra le labbra.
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La folla
riscalda strade
rovescia la vescica
sull’asfalto sui piedi scalzi
pellegrinaggio del bisogno figurato
hai chiesto
a chi passava
lei mi vede in 3D
o sono amorfo un po’ sottile
smerigliato piatto ritaglio di giornale
e canti
per dilatare
i polmoni insozzati
mozza anche la lingua che trema
poi qualcosa che scoppia invade anche la luce.
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Sei fatto
zucchero semplice
metabolizzato a notte
quel rilascio lento che invade
te stesso bricolla di lipidi insolubili
barcolli
un semolato
immolato al tuo tempo
tu che pensavi di benessere
e così per tutti coloro intorno a te
svanita
ogni sembianza
digerita pastosa
che era festosa tra me e il suo corpo
quando muoveva con gli occhi il resto del giorno.
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La resina
cola dai sogni
corrotti i governanti
divorano i diritti umani
Krokodil che scarnifica che sfronda l’osso
ti pende
lo stesso sogno
dalle ciglia bruciate
rilasci cenere se guardi e
non c’è grigio più del grigio decolorato
la storia
quando respiri
l’hai già dietro la schiena
ti spinge in silenzio lontano
una didascalia che leva peso ai fianchi.
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