La “Finestra” di Angelo Sturiale, “contenitore di sguardi, di contraddizioni, di lirismo e complessità, di semplicità e caos”.

Angelo Sturiale è compositore, artista visivo, poeta. Dopo le lauree in Pianoforte e in Lettere moderne, incomincia a viaggiare e risiedere in vari paesi grazie al sostegno che le sue ricerche in ambito musicale e le sue composizioni ricevono da parte di fondazioni, istituzioni artistiche ed educative internazionali (Rockefeller Foundation, Unesco-Aschberg, Ministero degli Affari Esteri Italiano, Swedish Institute, Canon Foundation Japan, Pépinières Européennes, Zeitklang, Bogliasco Foundation). È stato compositore invitato e artista-in-residenza presso il Conservatorio Trinity Laban di Londra, il Conservatorio Superiore di Musica di Zaragoza, il Conservatorio de Las Rosas di Morelia (Messico), la Tokyo National University of Fine Arts and Music (Giappone), i Darmstadt Ferienkurse für Neue Musik (Germania), l’EMS Studios di Stoccolma (Svezia), l’OMI Summer Residency di New York (USA), il Bellagio International Village (Italia), il Wellington College Tianjin (Cina). È stato visiting professor in teoria e composizione musicale presso l’Istituto Tecnologico di Studi Superiori di Monterrey (Messico). Nel 2011 fonda il Seibutsu Art Studio, atelier di creazione e promozione della sua opera grafica strettamente relazionata al mondo dei suoni e del segno musicale. è autore del libro di tecnica pianistica Ergonomic piano exercises (Dinsic, Spagna, 2017), Tempeste di te (Algra Editore, 2013) e Catalogo d’amore (Edizioni Le Farfalle, 2016).

Domani, giovedì 24 febbraio 2022, alle 17:30, nella Libreria Mondadori di Piazza Roma, a Catania, Angelo Sturiale dialogherà con Antonio Di Grado per la presentazione del nuovo libro, “Finestra”, edito da “Algra”.  Nell’occasione lo abbiamo intervistato.

Quale l’urgenza (o, se preferisci, la “scintilla”) che ha portato al tuo “Finestra”? Questo titolo, che poi è il titolo della poesia dedicata al nostro Angelo Scandurra, forse per “dirci” che osservare (con tutti i sensi, dentro il reale come dentro il sogno che vi si accosta) è un modo per “riacciuffare” il senso del mondo, meglio ancora del nostro stare nel mondo?

Il nostro stare nel mondo, certamente. Ma anche il nostro sorprenderci o stupirci per ciò che il mondo ci restituisce attraverso il nostro sguardo curioso, incantato o offeso. Finestra: una parola semplice, un concetto sperimentato da tutti noi, ovvero l’osservazione del mondo senza alcun pregiudizio, aspettativa, programma, come quella di un bimbo! Ci si affaccia e si contemplano le realtà, la natura, le cose, le persone e i loro comportamenti. Ecco cosa rappresenta per me la finestra: un elemento architettonico attraverso il quale canalizziamo la contemplazione sul mondo, e dal quale riceviamo informazioni o riflessioni per rimettere in discussione la nostra percezione o idea iniziale di quel mondo. Nell’apertura della finestra ci disponiamo ad osservare, nella sua chiusura o allontanamento da essa riflettiamo o elaboriamo ciò che abbiamo precedentemente osservato e codificato. Nel caso specifico, la mia “Finestra” è contenitore di sguardi, di contraddizioni, di lirismo e complessità, di semplicità e caos.

Qual è (o quale dovrebbe essere) l’incarico (senza tempo) della poesia?

L’incarico della poesia per me consiste nella sua possibilità o scommessa di accogliere la diversità dello sguardo sulla realtà da parte di un altro essere vivente. Nella possibilità di accettazione della varietà contemplativa sul mondo. Ma l’incarico della poesia si rivela poco a poco, cambia connotati e funzioni nel tempo, è instabile.

Riporteresti alcuni versi o uno stralcio di testo (di altri autori) nel quale all’occorrenza ami rifugiarti (per trovare conforto)?

La tua notte mi fa colare dall’occhio e dalla tempia
un fiotto d’inchiostro così denso che nello sprizzo
esce dalle stelle di fiori, come si vede in un tiro
la penna che intingo…

Il mio canto non è truccato. Esito spesso
perché cerco lontano sotto terre profonde
riportando sempre con le stesse sonde
i pezzi di un tesoro sepolto vivo
dagli inizi del mondo…

da “Marche Funèbre” di Jean Genet (1948)

Qual è la tua ‘attuale’ spiegazione/definizione di poesia?

Per me la poesia è forza creativa irrazionale, ma necessaria: come lo spirito vitale, il ciclo dell’esistenza, la ruota della vita. È rivoluzione costante alla ricerca di domande, inquietudini, certezze, è ricerca incessante di insondabili perché. È territorio mentale inaccessibile, ma apparentemente reso accessibile attraverso l’uso di un linguaggio creativo che ne svela luci ed ombre solo a chi vuole inabissarsi nelle sue tante interpretazioni. La poesia è atto ribelle, intimo, personalissimo. Ma se autentico e urgente nel suo messaggio, diviene magicamente universale.

Tornando al tuo libro, e con i tuoi versi, “È un punto in alto quel dubbio/ che, insoluti e luminoso in questa notte di angustia/ e abisso, logora le ossa e veste di fiori ogni mio/ lutto conservato nel cassetto non più riaperto”, per chiederti: cosa può la poesia contro il “dolore”?

Forse nulla: la poesia può addirittura celebrare il dolore, riconoscerlo anzitutto, per portarne alla luce le sue ferite. La poesia è una palestra che ti allena a sopportare anche i dolori più grandi. Ma è consolazione, non soluzione. Anche se però i dolori sono certamente oscuri, possono condurti in certi casi persino alla luce!

Oggigiorno, in un tempo lacerato dalla diffusa assenza di ascolto, è conseguentemente di (reale) comprensione, la poesia può “accendere” (quella che Dostoevskij definiva la più importante e forse l’unica legge di vita dellumanità intera) la compassione?

La poesia per me è già legata naturalmente all’idea stessa di compassione, perché non vi può essere compassione se non ci si predispone all’ascolto. Ascoltare vuol dire prepararsi a decodificare la natura dell’Altro, anche se a volte non se ne comprende il significato.

Qual è stato, ad oggi, il dono ricevuto dalla poesia?

Per me è stato quello di aver potuto creare un linguaggio intimo che è essenza del mio personalissimo modo di contemplare e spiegare il mondo, accogliendolo ma anche denunciandolo. In generale poi, intendo per l’umanità, il dono ricevuto dalla poesia è stato quello di scompigliare e rimescolare la carte del potere, delle leggi dell’uomo, dei luoghi comuni, dell’oppressione, dell’omologazione che ogni sistema culturale tende per natura a mantenere per unificare le coscienze e trasformarle inevitabilmente dopo un po’ di tempo in caricature di se stesse. La poesia contribuisce a far deragliare il treno della perfezione e del già costituito, a confondere il mondo nel momento in cui questo cerca a tutti i costi una immagine di sé comoda e rassicurante, contribuisce a modificare il patrimonio genetico della normalità attraverso quell’insondabile e irrazionale meccanismo vitale della riproduzione biologica degli esseri umani e dell’invenzione poetica nel caso degli artisti: la creatività!

La parola poetica per preservare la propria efficacia comunicativa deve “esprimersi” usando il linguaggio del tempo in cui nasce e vive?

La poesia è la forma letteraria per eccellenza più vicina all’idea di anarchia: può usare i linguaggi del tempo in cui nasce e vive, ma può anche inventarne o anticiparne la creazione di nuovi. L’efficacia comunicativa poi è uno dei suoi valori, non certo l’unico o il più importante. Penso per esempio a quella legata alla canzone, all’aria, alle forme musicali che contemplano la compresenza di musica (o canto) e testo. Ma l’efficacia comunicativa può rappresentare anche una trappola. E’ una questione di dosaggio, di equilibrio. Svelare ed evocare con autenticità poco o troppo è compito arduo e delicatissimo di cui il poeta conosce grammatiche ed alchimie. Non vi sono regole né scuole, ma solo rivelazioni.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori a scegliere una poesia dal tuo libro, soffermandoti su di essa per portarci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

“Finestra” contiene alcuni scritti poetici complementari alle mie opere visive e musicali, come nel caso per esempio di “D’amore, di vetro, di metallo – madrigale per quattro percussionisti”. L’opera strumentale, commissionata dal quartetto di percussioni messicano VERSUS8, e che nel 2019 ha vinto negli Stati Uniti il Premio Internazionale CHRONOS, cerca di stabilire già a partire dal testo che l’ha ispirata, una serie di relazioni poetiche, simboliche e metaforiche tra l’amore e il vetro e metallo, materiali costruttivi di alcuni dei 32 strumenti a percussioni suonati dai quattro musicisti. Ho utilizzato il termine “madrigale”, forma vocale, anche se in realtà l’opera è strumentale. Ma in alcune sue parti i percussionisti scrivono letteralmente il testo poetico sulle membrane dei loro strumenti: le sonorità che ne ascoltiamo non sono altro che scrittura trasformata in acusticità. I percussionisti interpretano il testo persino sopra gli stessi strumenti, ma senza contatto e senza alcun suono, attraverso gesti silenziosi e sincronici. Inoltre, proprio all’inizio, sussurrano frammenti del testo poetico dentro bottiglie di vetro: le durate di emissione dei suoni delle parole entrano in armonica relazione compositiva con quelle dei suoni strumentali. Ecco perché, pur trattandosi di un’opera musicale non strettamente vocale, i musicisti interpretano – da madrigalisti inusuali – il testo poetico che l’ha generata: sugli strumenti!

È come il vetro, l’amore: tanto chiaro e vero,
ma trasparente e fragile. Visibile poi nel suo
concedersi, e soave o levigato come la pelle
che da lì ci inonda senza riserve il cuore, è
pure fragile il suo abbraccio che si infrange
e taglia amaro come rapido coltello. E come
lama di metallo o pugnale imbestialito, ferisce
e spezza, aggredendo fatalmente senza accenno.
Sa proprio di cristallo quest’amore di metallo,
leggero alla vista forse, ma di improvviso incauto.
Sono campane le sue parole ariose, sospese ai
venti come bottiglie di luce. Ma quando l’aria
muta, appaiono acide e crudeli come lava nera,
come pietre sui tamburi e pelli, come frecce
che di sorpresa annientano e divorano ogni cosa.
Ha odore di musica questo scritto silenzioso che
vuole dire qualcosa su te, amore vero e chiaro, che
come zero trasparente, o poema o madrigale, si
veste questa notte d’amore, di vetro, di metallo. 

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