“Le seccature di cui parlano le poesie di Judith Viorst sono quelle della vita quotidiana brillantemente mescolate ai problemi sociali e politici, e alla presa in giro delle mode (come quella dell’alta cucina, di cui a un certo punto il marito diventa un fanatico). Judith Viorst riprende l’antica tradizione dei ritratti di tipi umani (da Marziale in poi), e cosí i suoi versi disegnano il personaggio della donna che mette via sempre qualche soldo ogni giorno, o l’uomo che non presta mai niente a nessuno, o quell’altra che parla sempre dei suoi mali ma non ascolta quelli del prossimo o, piú legata ai suoi tempi e ai nostri, la coppia che prova disperatamente a seguire i dettami del politically correct. Tutti questi caratteri hanno un aspetto caricaturale ma vengono raccontati anche attraverso l’educazione che li ha formati, il martellamento degli insegnamenti e delle convenzioni sociali, che sono in fondo il vero oggetto della satira. C’è sicuramente una vena femminista nella descrizione delle corvée di una moglie e di una madre, ma non manca una qualche ironia nei confronti del Movimento di Liberazione delle Donne. In una poesia Viorst dice espressamente che a volte si sente femminista e a volte no. E questa libertà di essere contraddittoria va di pari passo con la presa di distanza da tutti i luoghi comuni.”
La nostra intervista ai traduttori Leonardo Guzzo e Marco Sonzogni.
Quali “ragioni” hanno animato la scelta di questa curatela? Quali “affinità” con l’autrice? In che modo avete “organizzato” il lavoro? Volete parlarcene?
Voci come quella di Judith Viorst sono particolari, difficili da scovare soprattutto in contesti linguistici e culturali diversi. Una piccola libreria in fondo al mondo, un compleanno tondo, un’amicizia fraterna e uno sodalizio letterario hanno fatto il resto. E la Bianca Einaudi ci ha dato uno spazio e un’attenzione inaspettati. I consensi dei lettori, le copie vendute, testimoniano che Leonardo ed io ci abbiamo visto lungo. La condivisione del lavoro è rodata da tempo e riflette, come detto, un’intesa umana e letteraria totali.
E, ancora, qual è (o quale vuole essere) il significato recondito di questa ‘operazione’ in un tempo (diciamolo) martoriato dall’assenza di ascolto, quanto da una sempre più diffusa incapacità cognitiva?
Il nostro primo movente è lavorare nel segno della qualità – e dell’indipendenza, di pensiero e di azione. Non sempre questi valori sono riconosciuti o corrisposti e in questo caso lasciamo che il nostro lavoro faccia la sua strada nel tempo e nello spazio. I valori presto o tardi emergono – alzare la voce, inseguire la visibilità, accumulare like non è nel nostro modus pensandi. Dare una voce italiana precisa ed efficace ad autori stranieri di profilo assoluto come Seamus Heaney, Roger Robinson, Judith Viorst e Anne Carson è la motivazione che più ci sta a cuore. Poi chi vuole ascoltare e leggere ascolti e legga.
Perché, oggi, leggere poesia, perché leggere questo libro?
Tanta poesia contemporeanea è autoreferenziale e intenta solo a generare visibilità e consenso rapidi e quindi superficiali – anche quando chi scrive si atteggia a paladin* di questioni sociali importanti sia a livello nazionale che su scala globale. Judith Viorst è un esempio universale (per quanto questo termine sia abusato) della forza e del valore di una satira mirata ma misurata, intransigente ma intelligente.
Quali parole vi trovano se vi chiedo di tratteggiare la Viorst secondo l’idea che, in un lungo tempo di “ascolto” (a voi necessario per “conoscerla”, per “tradurla”), vi hanno “restituito” i suoi versi, meglio il suo “fare” (fare poesia)?
Umorismo – come modalità di vita e di scrittura particolarmente efficace per commentare quello che succede intorno a noi. Universalità – come modalità di pensiero particolarmente efficace per superare i limiti locali di ciò che viviamo. Umiltà – come modalità di azione particolarmente efficace per capire noi stessi e gli altri.
La poesia (dal vostro punto di vista) è più ispirazione o più costruzione?
Servono sia l’ispirazione che la costruzione. Quando uno di questi due ingredienti fondamentali viene a mancare il rischio è di illudersi e illudere che si sia scritta poesia. Una doppia illusione che dura poco e che infastisce tanto.
La poesia è realmente traducibile? E se lo, è più corretto parlare di traduzione o di reinvenzione, di riscrittura?
Leonardo ed io crediamo fermamente che la poesia sia traducibile e che vada tradotta con poesia. Questa riproposizione richiede reinvenzione e riscrittura. Entrambi i procedimenti – di interpretazione e di ricodificazione – implicano conoscenze approfondite della lingua e della cultura di partenza e, soprattutto, fiducia nell’ospitalità (termine usato da due grandi pensatori del nostro tempo quali Paul Ricoeur e Jacques Derrida) della lingua e della cultura di arrivo. Poi – con l’onestà intellettuale che inizia con il disinnescare pregiudizi disfattisti – si può serenamente discutere dei risultati ottenuti, che non sono sempre all’altezza ovviamente.
Per concludere, per salutare i nostri lettori, scegliereste (riportandole gentilmente) due poesie (una Guzzo, una Sonzogni) da “La gente e altre seccature”, spiegandoci, meglio, “raccontandoci” le “ragioni”, ciascuno la propria, della scelta fatta?
Leonardo: Scelgo Quando sarò grande. È una riflessione ironica sul rifiuto, un po’ sano e un po’ patologico, della vita adulta. Un pensiero sull’insidia di una visione infantile della realtà, ma anche sulla necessità di stare sospesi: aggrappati al sogno, all’illusione, alle piccole grandi follie che ci rendono più cara la vita –
Quando sarò grande la smetterò di credere
che se Paul Newman mi conoscesse abbastanza lascerebbe Joanne Woodward,
e la smetterò di credere
che non è cosí assurdo per un sedicenne scambiarmi per una sedicenne,
e smetterò di credere che un giorno troverò una crema di bellezza tale che, dopo averla stesa piano sulla pelle per tre settimane ogni sera prima di andare a dormire,
tu neanche mi riconoscerai.
Quando sarò grande la smetterò di credere
che chi ha quadri di macchie e strisce afferri meglio l’universo di uno che ha quadri di tramonti,
e la smetterò di credere
che chi compra Volvo e Volkswagen sia intrinsecamente piú umano di uno che compra Lincoln Continental,
e smetterò di credere
che chi ammira gente come Dick Cavett nutra piú nobili aspirazioni
di uno che ammira Johnny Carson.
Quando sarò grande la smetterò di credere
che la mafia è guidata da gentiluomini dall’aspetto distinto con le tempie ingrigite e una splendida vita familiare,
e la smetterò di credere
che il Partito repubblicano è guidato da gentiluomini dall’aspetto ipocrita coi calzini corti e una tremenda vita sessuale,
e smetterò di credere
che è episcopaliano chiunque sappia di barche a vela, portatovaglioli, Hepplewhite e autostima
vent’anni prima di me.
Quando sarò grande la smetterò di credere
che sono destinata a diventare l’idolo di Broadway
e la smetterò di credere
che sono al mondo per essere la preside dello Smith,
e smetterò di credere
che il fato vuol fare di me una dea dell’amore, una campionessa di tennis, Marie Curie o Golda Meir
quando sarò grande.
Marco: Scelgo la prima poesia che lessi aprendo il libro a caso quando ne acquistai una copia usata quasi distrutta: Alla ricerca del Natale perduto. Sono anni, decenni, che non passo il Natale a casa con la mia famiglia. Anche il mio Natale quindi è un po’ perduto. E anche qualche mio Natale è stato come lo descrivono questi versi –
I bambini sono usciti da scuola troppo presto.
Ho pensato ai regali di Natale troppo tardi.
Ogni giorno delle vacanze siamo stati fuori,
e ci è toccata una settimana di attese in fila
per i film della Disney,
le confezioni regalo di Lord & Taylor,
e tutti i bagni.
Alla vigilia di Natale abbiamo iniziato a montare
il telescopio “che è uno scherzo montare”
e l’autopompa con quarantasette pezzi.
Per mezzanotte era chiaro che non avevamo speranze senza
un astronomo,
un ingegnere meccanico,
e due psichiatri.
I tre maschietti ci hanno svegliato all’alba cantando Rudolph.
Abbiamo ascoltato distratti i loro strilli di gioia.
Il gattino ha vomitato addobbi sul tappeto.
L’autopompa è andata a sbattere contro l’albero,
rendendo necessari un detergente per tappeti
diversi cerotti Band-Aid
e uno scotch prima di colazione.
A mio marito ho comprato camicie di taglia e colore sbagliati,
e cravatte che, mi ha detto, non avrebbe indossato neanche morto.
Gli avevo fatto capire Saint Laurent o una pelliccia qualsiasi.
Mi ha preso vestaglie di flanella per la notte,
e anche una padella di teflon,
una borsa da viaggio scozzese,
e il libro di ricette di Weight Watchers.
Il tacchino era ancora surgelato alle undici.
A mezzogiorno mio figlio piú grande ha rovesciato la colla Elmer.
Alle cinque mi è scoppiata un’emicrania da Excedrin,
di quelle che durano fino al due gennaio…
ma Buon Natale
e Felice Anno Nuovo,
credo.