Annalisa Ciampalini

 

Devo confessare che, nonostante non vedessi l’ora di condividere il mio punto di vista su un argomento che mi sta tanto a cuore, mi sono serviti diversi giorni per mettere a punto la versione definitiva della mia riflessione. Mi è capitato di concentrarmi nella scrittura di queste pagine e di non sentirmi pienamente soddisfatta di quello che stava venendo fuori, sembrava che la mia mente si divertisse a completare in modi differenti le frasi che avevo abbozzato sul computer. Rivalutando a posteriori, credo che questo sia accaduto a causa di una sorta di scissione tra la mia brama di comunicare pensieri strettamente personali, e il desiderio di una riflessione più profonda, che inglobasse uno sguardo generale sulla questione.
Se avessi scritto questo testo valutando esclusivamente la mia esperienza personale, avrei dovuto prendere e tornare indietro fino alla mia infanzia, quando non ero capace di formulare pensieri troppo astratti né di ascoltarli e capirli, quando coglievo le somiglianze tra persone e cose, avvertivo fortissimi profumi e la gioia dello stupore. Avrò avuto otto anni o poco più, ero ammalata, fuori il cielo era grigio, il sole stava su un altro pianeta. Eppure era il primo giorno di primavera. Trovai inaccettabile quella mancanza di luce. Era tempo di tornare fuori a giocare nella campagna in fiore e soleggiata! Ma quello scenario non si faceva vedere, non si era presentato all’appuntamento inderogabile del ventuno di Marzo. Chiesi alla nonna un quaderno e una penna e scrissi quattro o cinque versi. Versi tipicamente infantili, di una bimba che brama giornate luminose. Ma per quanto fosse una poesia fanciullesca, mentre la scrivevo, avevo l’impressione di fare una specie di magia, avvertivo una presenza che prima non c’era. La primavera era entrata in quella stanza e si era seduta sul mio letto. Ne sentivo il profumo, il tepore che portava, la natura protesa verso una nuova vita. Custodii gelosamente quel foglietto, non volevo svelare la mia opera segreta. Nei giorni che seguirono mi divertivo a rileggerla, sperando, ogni volta, di provare l’intensità della gioia che mi aveva accompagnato durante la scrittura di quelle frasi. Ma ricordo bene che raramente fu raggiunto lo stato di grazia iniziale.
Tuttora credo che una bella poesia, se viene al mondo, è perché ha un compito preciso da assolvere. Può riuscire nell’intento di evocare gioie intense, di penetrare nel cuore di una pena intollerabile tanto da renderla più lieve anche solo per un istante, può essere portatrice di valori che danno senso all’esistenza o possedere caratteristiche varie, a volte anche impronunciabili. E sotto questo aspetto, il valore che attribuisco alla poesia odierna resta lo stesso di quando avevo otto anni, e deriva dal riconoscere a taluni versi una grande forza evocativa, capace, a volte, di farci vivere un autentico stato di grazia. Ma per comporre versi così potenti non basta certo l’entusiasmo di una bambina e il suo stupore di fronte alla primavera che deve arrivare.
Col tempo il mio rapporto con la poesia è cambiato. Ho continuato, se pure con qualche pausa, a scrivere, ma soprattutto ho cominciato a leggere: classici e ancora di più poesia contemporanea. Mi chiedevo cosa avesse da proporre il mondo esterno, volevo un raffronto, non mi accontentavo più di emozionarmi per qualcosa scritto da me.
L’approccio alla poesia contemporanea non fu certo dei più semplici. Ricordo di aver letto qualche testo facile, almeno al primo impatto, ma la maggior parte degli autori mi sembrava di grande complessità. Certi addirittura oscuri. Però non mi detti per vinta. Alcuni, tra quei versi enigmatici, avevano un forte potere, sentivo che mi volevano svelare qualcosa di importante, ma la mia percezione non era nitida, quello che avvertivo era solo un sussurro. Forse era terminato il tempo dei messaggi eloquenti. Così rileggevo a più riprese i testi che maggiormente mi intrigavano, molti continuo a leggerli ancora adesso e non è raro che scopra qualcosa di nuovo tra quelle righe. A volte riesco a trovare nella rappresentazione artistica di certi autori contemporanei, italiani e stranieri, delle grandi rivelazioni sull’esistenza umana: espressioni, pause, certe parole ripetute, un’immagine che improvvisamente si trasforma in un’altra mi svelano l’intensità e l’essenza dell’esistere in questa nostra epoca. In tutto questo processo mi sono stati di aiuto saggi, prefazioni a raccolte poetiche, letture di interviste a poeti disponibili a spiegare il loro modo di intendere la poesia. Sto scrivendo al passato solo per obbedire alle norme sintattiche, in realtà il desiderio di interrogare poeti o qualunque esperto in questo campo non si è certo esaurito. Ecco perché la presente riflessione sul valore odierno della poesia non è solo mia ma anche di tutti coloro che hanno contribuito affinché si formasse.
Nell’epoca in cui stiamo vivendo, il versificare non è più soggetto alle rigide regole di un tempo, i poeti usano per lo più il verso libero, le rime possono comparire ma senza nessuna norma stabilita. Il linguaggio poetico attinge da ambiti diversificati del sapere umano, non solo da quello letterario. In tutta questa apparente libertà qual è il linguaggio giusto da usare? Quando “si deve andare a capo”? Se una poesia viene composta senza alcuna regola, se risulta di difficile comprensione, quale può essere il suo valore?
Io credo che sia proprio la complessità a caratterizzare l’epoca corrente: la globalizzazione, la maggiore specificità dei saperi umani, l’utilizzazione della tecnologia, culture differenti che sembrano amalgamarsi, altre che purtroppo si scontrano, rendono effettivamente questi anni molto frammentati. Gli esseri umani sono spesso soli con la propria individualità, difficilmente ci sentiamo membri di qualcosa di più grande che ci raggruppa e ci accomuna. Come ho scritto sopra, anche la poesia non possiede più un linguaggio unico, che la renda riconoscibile. I poeti, almeno quelli che vivono pienamente la propria epoca, non smentiscono questo dato di fatto. Sono loro che colgono l’essenza del presente e la esprimono con il linguaggio che più ritengono appropriato, sono liberi di giustapporre passato e futuro, di costruire sequenze di immagini assecondando la propria forma mentale. Spesso il componimento poetico non viene certo lasciato al caso, dietro ci può essere uno studio meticoloso che si rivolge sia al linguaggio sia al contenuto, ma lo sviluppo di questo lavoro non viene svelato al lettore. E quest’ultimo può sentirsi escluso dalla comprensione di un testo. Mi è successo parecchie volte.
In certi casi, però, avvertiamo il valore del componimento, e per fortuna, molti sono i testi contemporanei a possedere grandi pregi. Allora, se vogliamo comprenderli, dobbiamo avvicinarci ad essi passo dopo passo, cominciare dai versi che sembrano dire di noi. Non importa se sono collocati alla fine della poesia. Da quelle poche parole, possiamo risalire ad una visione più completa dell’opera. Alla fine del processo è come se qualcosa di inizialmente opaco cominciasse a splendere in alcuni punti.
Non è un’operazione facile, e forse non sempre è possibile da praticare. Quando però riteniamo di poterla effettuare, non tiriamoci indietro. Si tratta di una procedura da compiersi con pazienza, senza alcuna superficialità né improvvisazione. In definitiva ci si propone di andare oltre la nostra forma mentale e riuscire a catturare qualche elemento di quella del poeta. Si tratta di intuire il punto focale, il luogo piccolissimo in cui il poeta parla di sé, a sé, ma anche del lettore. Sono pochi versi, pause, ma si parla di noi. È l’attimo mirabile in cui la poesia acquisisce forza e supera il territorio limitato del poeta. Il testo poetico possiede un valore in sé che è innegabile, ma il lettore, che si impegna a comprenderlo, contribuisce a rinvigorirlo e a renderlo attuale.
Credo che in questa epoca ci sia necessità di conoscere approfonditamente quello che riteniamo altro da noi, la lettura della poesia, quando è profonda e sentita, ci aiuta ad addentrarci in forme mentali ed emotività dissimili dalle nostre, a conoscere la diversità nel suo aspetto più profondo. Per questo dico che il valore odierno della poesia è molto elevato, in quanto può rappresentare una forma di conoscenza dell’animo umano.

*

“La raccolta di Annalisa Ciampalini, […], sa toccare le corde del cuore umano in modo tale che il lettore nei suoi versi può leggere se stesso, perché il dolore di un rifiuto sentimentale è patrimonio di ogni persona. Non diario, quindi, ma ricerca introspettiva finalizzata alla ricostruzione di una vicenda destinata a segnare in profondità la poetessa. Troviamo nella nudità di uno stile composto e vibrante un’esperienza, tesa tra il desiderio di realizzazione assoluta e il limite dell’accadere, tra gli attimi di felicità e lo strascico di periodi consacrati al disfacimento, tra la vitalità della speranza e la delusione letale”.

(Giuliano Ladolfi)

copertina libro annalisa ciampalini l'estroverso

Sette poesie da Lassenza, Giuliano Ladolfi Editore, 2015

RISVEGLIO

La guancia che preme sul cuscino,
qualcosa che sta lì a scintillare,
che, così mi pare,
serve solo a contenere
il senso, il nodo.
Stamattina tutto è rimasto vuoto.
Una scena di implacabile assenza.
Non io,
non una persona
è venuta a metterci qualcosa.
“Insieme vuoto con contorno d’oro”
ho pensato,
ho creduto di dire.
Ed ero in bilico,
sul margine del sonno,
legata alla tenue speranza
di un secondo risveglio.

*

EQUILIBRIO INSTABILE

Ti ho lasciato sul filo della luce
di una porta socchiusa.
Ti ho visto sostare in mezzo a una stanza
e il tuo starci oltremodo splendeva:

aveva natura d’atomo instabile,
anima in bilico, intermittente.

Niente si compie nell’immensa attesa
che separa i miei dai tuoi gesti.
Sto come in un letto straniero,
tra lenzuola da polvere infette.

Raduno fertili pensieri
attorno a un nucleo decaduto.

*

Tenere lo sguardo fermo,
chiodo alla parete a puntare
architravi svaniti nell’intonaco.
Non incontrare gli occhi di
nessuno, neanche
un’anima vacua
con cui ragionare la sera.
Impossibile riesumare saluti
che annichiliscono distanze,
la lucente complicità
dell’ora
che precede il vento dell’altro.
Soli,
con la testa stretta al cuscino,
singolo, indivisibile.
mezzo metro quadrato
sopra la coperta.

*

ORGANIZZAZIONE DEL TEMPO FUTURO

Se sarò
più morta di adesso
accoglietemi nella vostra festa
della quale non ho mai capito niente.
So che sarete benevoli.
Accoglietemi
in una festa qualsiasi,

passerò una serata
a veder far baldoria,
ad impiantarmi
nelle schiene nude delle ragazze;

appoggiata contro una parete
ce la farò
a teorizzare una simulazione
di un amore di qualche minuto,
magari di un’ora.

Poi ripartirò,
e sarò ancora io, cascante e rigida,
ma con meno gradini davanti.
Prevedo di passare così
il mio tempo,
fino all’ora in cui
sarò chiamata a restituire il mio nome,
a deporre,
indistinti,
amore e simulazione.

*

LA CASA DI MILLE ANNI FA

Vorrei giungere inaspettata a casa tua,
arrivare lì ora
con l’ultimo slancio di una corsa remota.
Rideremo di nuovo:
stralunate
come ragazzine.

Vorrei che come me
altre amiche lì giungessero,
lasciassero case,
saggezza e dedizione.
Un giorno soltanto,
il tempo di arrivare e guardare.
ma è questo che vedo: noi due immobili,
con la schiena contro il muro
in un’attesa infinita.

I punti di ritrovo
perdono senso
minuto dopo minuto.
Nessuno viene mai interrogato sul perché.

*

LEZIONE DI FISICA

Si parla di misteriosi neutrini.

Tepore nell’aria e unione di menti,
tra i banchi spira sorpresa
e in gioventù fremente si ferma.

Si parla di inavvertibili neutrini
di muoni sfuggenti, leggerissimi pioni
e ci inondano in sciami tranquilli.

Si frantuma l’aria e ci disorienta,
sfuggono le regole del consueto,
s’impone la mia volontà e sconfina
dettando le sue eretiche leggi.

Ed eccoti qui,
persona o sequenza d’atomi;
vivo e intatto,
vittorioso sulla tua tragica assenza.
Ancora mi è dato di vederti
in questa luce piegata.

*

Le scale mai ti conducono
a scenari inaspettati,
l’affanno si moltiplica.
Le mura hanno la tua forma.
Esci, chiedi ospitalità
a un pescatore della costa.
Oppure fingiti in un mattino diverso,
rabbrividisci per il mare
che giunge al tuo portone.
Nel buio
la montagna avvicina la luna:
per contenerla
il cielo allarga i margini.

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