Parola d’Autore
La scrittura della poesia è nata piuttosto tardi per me: quando la lettura non è più bastata a riversare l’emozione del mondo nelle parole. Ero agli inizi dei miei vent’anni e stavo pedalando attraverso gli allora campi vicino a casa. Quell’anno erano campi d’orzo e la distesa d’oro, velluto, di tanti capi inclinati a forma di strelitzia mi ha arrestata e ho dovuto dirla, e dirla attraverso quella analogia: quella corrispondenza tra due forme. Non so se lo sia davvero, ma indico sempre questa poesia, uscita nel mio primo libro, L’acero rosso, come la mia prima, e la penso mitologicamente come tale, perché mi riporta a quel primo irresistibile, primordiale impulso, che non ha più lasciato la mia vita e che si riempie di senso da sé. Si chiama “Orzo maturo”, ed è questa:
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Orzo maturo
La faccia tonda
del sole si cala rossa
dietro uno straccio
grigio. Pedalavo, stasera,
e mi chiedevo di dove
m’è nato questo rovello
dell’esattezza. D’accanto
strelitzie asciutte lontano
paglia velluta.
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La poesia è la mia casa: uno spazio interiore in cui posso esistere che diventa uno spazio esteriore. La magia è in quel diventare: quel tradursi di qualcosa che senti forte dentro di te in un oggetto fuori di te che ha senso anche per gli altri. Diversamente per ognuno, perché un testo poetico è più grande di noi e non ci appartiene. Porta il segno della nostra scrittura ma cresce e diventa quello che è e che sarà attraverso la sua circolazione nella lettura degli altri.
Credo che la poesia sia un atto di espressione che diventa comunicazione. E non credo ci sia una poesia diversa oggi da quella che c’è stata ieri. Ci sono questioni di gusto – individuale e collettivo, personale e dei tempi. Ma non credo alla poesia che può o non può essere espressa in prima persona o che deve parlare di qualche cosa e non può parlare di un’altra. Non è per mezzo di questi indicatori esterni e banali che sappiamo la qualità di un testo e il suo messaggio profondo. Posso dire “io” e parlare di tutt’altro che di me stesso, come ci hanno mostrato Walt Whitman e Emily Dickinson, per portare ad esempio due grandi poeti. Io credo nella diversità e nella universalità di ognuno, perché vedo, da tanti anni, che è il terreno fertile della poesia.
case | spogliamenti è un libro molto nuovo per me, che mi ha sorpresa e ha voluto anni e coraggio per uscire alla luce. È un libro che parla della paura, dell’intuizione della fine, dell’impossibilità di scegliere. Di una casa che è dentro e vorrebbe essere anche fuori. Il suo linguaggio rotto ed ellittico è vicino alle radici dell’essere, là dove il senso si articola nel linguaggio. Per questo continua a parlarmi e a dirmi chi sono e cos’è l’essere umano. Quando non abbiamo la pretesa di sapere cosa succede, e di esaurire il senso delle cose, abbiamo una comprensione molto più reale di quello che succede e di chi siamo e di cosa sono gli altri, io credo. case | spogliamenti è in una posizione umiliata di ascolto che per me è la voce della poesia. Ascoltarla e tentare di profferirla è l’avventura incompiuta di una vita. La riempie e la compie, comunque.
Quattro poesie da case | spogliamenti di Paola Loreto, nino aragno editore, 2016.
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L’altro chi è.
Esiste. (importa)
Sarò detta e
non mancherò.
L’appuntamento risale
all’inizio dei tempi.
I tuoi.
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Quando non ci sarò più
lascerò un sapore in bocca
un odore sotto le narici,
tra il labbro e il naso.
Sarò vera sarò
materiale. Ineludibile
a chi respira e mastica.
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Ovunque vada
io sono qui.
Non mi muovo.
Ti attendo: con te
ascolto la tua voce.
Quando vuoi. Anche
quando non vuoi.
Perché qui è un altro posto
ed essendo entrata
ci sono.
Incancellabile
e trasparente.
Azzerata.
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Può esserci una casa
senza la gioia?
e la gioia senza una casa?