La scrittura dell’anima di Renato Pennisi in La Sicilia salverà il mondo

L’equazione bellezza/salvezza ancora oggi reca un messaggio di speranza e di fiducia. Non solo. La bellezza, quando sappiamo riconoscerla e accoglierla, ci commuove perché procura la pace interiore e un senso di pienezza gioiosa che aiuta a vivere, a resistere alle brutture. L’arte e la letteratura, la poesia nella fattispecie indicano dove, quando, come ritrovare lo splendore sepolto da volgarità, indifferenza, egoismo. In questa direzione si muove l’opera poetica di Renato Pennisi, la cui limpidissima e intensa scrittura dell’anima procede nel solco della storia e delle storie d’una città e d’un quartiere, luoghi d’esistenza assurti a metafora del malessere del mondo, della civiltà avvilita da elementi dissonanti, dal disordine e dal soffocante e sfrontato assedio del vuoto.

La Sicilia salverà il mondo (Interlinea 2025, collana Lyra a cura di Giovanni Tesio), è dunque dedica e omaggio a chi sa resistere e rinascere, e insieme auspicio che da quest’isola storicamente avvezza alla resilienza (dai propri e dagli altrui procurati mali) possa fiorire un nuovo umanesimo. Sobri e incisivi versi raccontano tra lucore e opacità di gente vittoriosa sul male/ giunto dalla creazione/e sul male germinato dentro te stesso, e che chiunque potrà qui venire/ a bere dissetandosi di questa luce, versi tratti dalla prima sezione la cui cifra devozionale, affettiva per l’isola metafora del mondo si dirama in osservazioni, considerazioni e giudizio sul presente. Scrive dell’incuria, il poeta, dello stato di abbandono in cui versano i luoghi marginali, le periferie di cui osserva e coglie i segni certi  dello sfacelo. Fedele cronista dallo sguardo acuto puntato sulla Storia e sull’oggi, distante dalla concezione astratta con cui si intende il fare poesia, Pennisi   adotta la cifra del realismo per dire del disorientamento con una parola essa stessa fonte di luce: Voglio restare chiaro, proposito cui tiene fede con un dettato sorvegliatissimo che è accorata testimonianza di realtà. Strade e viali dissestati con le erbacce/i pini cresciuti a dismisura, e gli scheletri delle palazzine incompiute/ le icone vuote di Picanello, il quartiere in cui è cresciuto e vive, luogo e spazio di esistenza che è figlio d’una città in bilico tra antico splendore e decadenza,  Alma gioiosa Catania pulsante di contrasti e di contraddizioni, di volta in volta o allo stesso tempo ingrottata mesta mite furiosa , pulcherrima invicta risorta, anima esultante anima dissonante/ chiassosa minacciosa tagliente , accogliente sapiente/smagliante diamante ulcerosa urbe derelicta, magniloquente sequenza di versi a cascata nel De profundis catanese che chiude l’ultima delle cinque sezioni del libro.

Vulnerata ma non irrecuperabile bellezza, non cieca fiducia ma ragionevole via d’uscita dalla visione avvilente: aprire l’occhio/ in un deserto pauroso/ e l’unica rotta/è sapere che se ne verrà fuori, è vivida speranza e insieme consapevolezza che solo dalla cura degli spazi esistenziali, delle cose e delle relazioni umane può inverarsi la salvezza. Dell’amore (Sei in tutte le mie ore/che a te sia una buona giornata/mia luce), dell’affettività familiare, dell’amicizia (cui sono dedicati versi di gratitudine e affetto in presenza e in memoria, come nel caso del poeta Salvo Basso, amico indimenticabile con cui Pennisi intrattiene un dialogo nella sezione Spiriti), valori eterni senza i quali la vita sarebbe mero spazio di passaggio, se vero è che Dal sapore delle cose passate/si giudica il buon vissuto.

E tra le cose importanti ci sono i gesti di devozione quali il rituale dell’ultima vestizione dei corpi, compito svolto con rispetto dalle donne di famiglia perlopiù dicendo parole lievi/e a bassa voce. Un’azione che potremmo definire apprendimento della morte, destinazione che Pennisi affronta a partire da sé con una struggente poesia che attinge al ricordo infantile, l’apparizione del primo arcobaleno/che ho visto/avevo sette anni/ (…) / e ora in attesa/ (…) /amo la mia morte/è il primo giorno di scuola/timorosi inevitabilmente avanti/senza sapere dove. Versi tratti dalla sezione centrale L’equilibrio dal fraseggio scopertamente intimo, personale ove prevale l’introspezione, la meditazione e il desiderio di quiete tutt’uno alle vive presenze di Mamma e papà posati/ tra altri nomi /nella fioca luce non perpetua/al centro degli avvenimenti/nascosti dentro me; sospensione dal tempo è dunque concedersi un pomeriggio sonnacchioso, stare Abbracciato al cuscino/ a occhi chiusi/ componente dell’arredo/ fino all’avvio/ del motore della luce; è riconciliarsi col mondo e con sé stessi oltre le inquietudini e le contraddizioni come chi il più l’ha fatto/l’ha dato/ma in pace non ci sa stare. Ricerca di equilibrio, sincero consuntivo di un vecchiaccio iroso e spazientito/che scopre di volersi un poco bene.

Renato Pennisi, poeta, narratore, critico letterario, autore di testi teatrali, è nato a Catania nel 1957. Dopo l’esordio con la raccolta Letture senza spartito, inserita nell’antologia 7 Poeti del Premio Montale (Scheiwiller, 1987), ha successivamente pubblicato i libri di poesia La correzione del saggio (nota di Arnaldo Colasanti; Tringale, 1990), Mai più e ancora (premessa di Silvana La Spina; Edizioni l’Obliquo, 2003), La notte (presentazione di Giovanni Tesio; Interlinea, 2011) e L’impazienza (Interlinea, 2019). È anche autore dei libri di poesia in dialetto siciliano Allancallaria (premessa di Corrado Peligra; Prova d’Autore, 2001), La cumeta (premessa di Franco Loi; Edizioni l’Obliquo, 2009), e Pruvulazzu (nota di Giovanni Tesio; Interlinea, 2016); e dei romanzi Libro dell’amore profondo (Prova d’Autore, 1999), La prigione di ghiaccio (Prova d’Autore, 2002), Romanzo (Prova d’Autore, 2006) e Nel mio futuro non ti porto (Interlinea, 2022). Per il teatro ha scritto Oratorio di resurrezione (Edizioni Novecento, 2015) e Alcibiade (Edizioni Novecento, 2019). Con Gualtiero De Santi ha curato il saggio-antologia Dalle carte dell’isola. Il libro della poesia neo-volgare siciliana oggi (Carabba 2021). Nel 2023 ha dato alle stampe il poemetto Luce (Carabba, collana Diramazioni diretta da Giovanni Tesio).

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