Osvaldo Licini, Amalassunta su fondo nero, 1950 FIORELLA
Osvaldo Licini, Amalassunta su fondo nero

 

Al delta del canale
tra l’industria e il mare,
si allungano grattacieli
i cimiteri di Priolo.
Vieni con me a mangiare fave
possiamo ancora tingerci
d’acqua e male familiare.
Sono tornati i putrefatti di 25 Aprile
e tu non ti sei accorto.
La vita è andata oltre la deriva.

*

Ho baciato la ferita
che riporti sulla mano
schiusa a forma di corona,
nessun’altra bruciatura
silenziosa come quella.

Anche questo imperativo
sai nascondere ai tuoi occhi,
siamo prede dei principii
e non diciamo la paura.

*

Per quali viali sconosciuti della notte
te ne vai ventenne
e torni a casa dalla festa
dove t’aspetta la madre,
Maria ai piedi dell’altare,
il moto intorno
degli amici e d’Alleluia a Dio.
Noi buchi incerti di lacrime sul posto,
lo avremmo dovuto ripetere in coro
sia che viviamo, sia che moriamo,
Alleluia d’essere seme di niente.

*

Il manicomio è la stanza
da letto in cui fumi
a finestre aperte d’inverno,
ti scolori la faccia di vita
dei capelli radi ricordi
nel novecentosessanta e rotti
erano rossi,
e rimastichi tabacco sputo cenere
discutendo con la luna sottovoce
la fortuna d’essere, se siamo,
àuguri figli del cielo.

*

Minchia
se non ho il terremoto in testa
che non serve Colapesce
a cui aggrapparmi
né a mia madre
a braccia scosse
mentre corro nuda per le scale
e pure vestita
non troverei un senso
finché dura il terremoto dentro.

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