La Statua di Gudea di Lagash (XXII sec. a.C.)
La Statua di Gudea di Lagash (XXII sec. a.C.)

Potrebbe sembrare irrilevante o, addirittura, inutile, ma mi piacerebbe cercare di indagare e capire i modi in cui gli artisti, e l’arte in generale, abbiano affrontato la rappresentazione di uno dei quattro elementi naturali più importanti per l’uomo: l’acqua. Prima di addentrarci in questa descrizione, dovremmo distinguere due modi di rappresentazione: quella allegorica e quella realistica. La prima trovò sin dall’Antichità l’uso di forme più disparate, personificazioni umane, animali, o, ancora, dei semplici segni, tutto ciò frutto dell’elaborazione della filosofia classica, Empedocle e Platone in particolare. La seconda, che sarà qui trattata, è completamente slegata da concetti filosofici e quindi fortemente connessa con il mondo fisico e naturale.

La Statua di Gudea di Lagash (XXII sec. a.C.) rappresenta il sovrano della Mesopotamia meridionale stante e reggente un vaso da cui sgorga, appunto, dell’acqua. Questa è riprodotta con il tema delle linee ondulate che tutti noi, da bambini, abbiamo sperimentato. La stessa resa iconografica proviene dal vicino Egitto, precisamente da Deir el-Bahari, a pochi chilometri da Luxor. La signora della montagna (XVIII dinastia) ci presenta infatti il faraone Thutmose III mentre offre incenso e acqua lustrale ad Amon-Ra, seduto in trono: qui i fiotti sono resi però con un’unica linea ondulata che si divide poi in due. Con un salto temporale e geografico arriviamo all’arte greca del periodo severo, con l’Hydria con Apollo sorvolante il mare sul tripode delfico (circa 480 a.C.; inv. num. 16568). Il vaso, a figure rosse, ci mostra uno scorcio di mare in cui sguazzano pesci, un polipo e due delfini festanti. Oltre alla presenza degli animali marini, la presenza del mare è perfezionata dal suo profilo: una serie di onde, anch’esse familiari ai bambini, che, comunque, non si ripetono uniformemente ma presentano una naturale increspatura.

Sempre in ambito greco, o meglio, magno-greco è la famosa Tomba del Tuffatore di Paestum (480-470 a.C.). Al di là del significato della scena – indicherebbe il passaggio dalla vita alla morte – quello che, in questa sede, ci preoccupa è la restituzione grafica. A prima vista più che uno specchio d’acqua sembrerebbe una collina, dato lo spessore dello spazio ma, fortunatamente per il tuffatore, si tratta proprio di acqua: il pittore ha voluto infatti riprodurre la profondità dello spazio liquido, una prospettiva primitiva, inserendo anche nel profilo superiore le immancabili ondulazioni.

Le ormai note “ondine” si ripetono anche in culture lontane; Ma Yuan, pittore cinese attivo dal 1190 al 1125, ha dedicato ai movimenti di questo liquido una serie di studi con inchiostro su seta. Se solo potessimo disporli in fila, ci stupiremmo nell’osservare che le linee che corrono da un capo all’altro del foglio, sembrano mostrarci l’evoluzione della rappresentazione dell’acqua. In realtà quello che ci viene mostrata è la maestria di Ma nell’analisi, quasi scientifica, del moto dei liquidi: le increspature sono leggere, quasi impercettibili, poi, scorrendo in un altra tela, queste si fanno più spiccate fino ad arrivare ad onde più vigorose, coronate dalla spuma.

Ritorniamo in Italia. Nel 1511 Raffaello dipingeva il Trionfo di Galatea a Villa Farnesina, Roma.

Dal mare sono ormai sparite le ondine “arcaiche”, i movimenti delle acque non sono più segni grafici ma scie e macchie di colori che ricordano quelli del mare mosso proprio dai bagnanti.

Quando il 13 settembre 1816 si venne a conoscenza della tragedia della Méduse, l’opinione pubblica francese inorridì; l’incompetenza di un comandante portò ad un naufragio, a morti e ad atti di cannibalismo. Il pittore Géricault, colpito dall’evento, dipinse la famosa La zattera della Medusa. Oltre ad approfonditi studi sul corpo umano e sulla sua decomposizione, l’artista si recò molte volte sulle coste francesi per osservare tempeste e maremoti. L’acqua, in secondo piano, fa da cornice alla scena centrale: la tempesta è alle spalle dei malcapitati, i colori scuri evidenziano la violenza dei movimenti; il segno “singolo”, grafico, come può esser quello della matita è ormai da tempo scomparso, qui ogni setola del pennello, scorrendo carica di pigmento sulla tela, contribuisce a creare l’atmosfera intensa di una tempesta. Anche quando l’acqua è relegata a semplice paesaggio è interessante notarne la “forma”. Nel dipinto del pittore finlandese Hugo Simberg, L’angelo ferito (1903), lo scorcio d’acqua, di quello che sembra essere uno specchio lacustre, trasmette le stesse sensazioni dei personaggi. Le tonalità dell’azzurro che coprono l’area sono appena percettibili, le pennelate sono a tratti diluite e a tratti “secche”; ogni segno grafico è scomparso tranne che per una linea, a tratti interrotta, che separa il laghetto dal paesaggio montuoso. In conclusione, l’acqua, nell’arte, assume le forme della natura così come assume, spesso, le forme dell’artista e del suo tempo.

Tomba del Tuffatore di Paestum (480-470 a.C.)
Tomba del Tuffatore di Paestum (480-470 a.C.)

 

Raffaello, Trionfo di Galatea (1511)
Raffaello, Trionfo di Galatea (1511)
Hugo Simberg, L’angelo ferito (1903)
Hugo Simberg, L’angelo ferito (1903)
Ma Yuan, Ondine (1190 - 1125)
Ma Yuan, Ondine (1190 – 1125)
Théodore Géricault La zattera della Medusa (1818-19)
Théodore Géricault La zattera della Medusa (1818-19)

  

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