Le “Poesie nell’erba” di Sabrina Giarratana “tradotte” in “Luce” dalla Possentini.

Ridenti concerti di pennuti, sentieri smeraldi, «ragnatele di luce come case», alberi brillanti, stelle come desideri che si accendono nell’intimo, gli interrogativi delle foglie, la “cura” del vento, l’arditezza di “una mora tra le spine”, il canto dei grilli, la “fortuna di essere grati”, l’odore ridestante della pioggia, della menta selvatica, l’oro dei campi, la ricchezza generosa del creato, “in mezzo all’erba non si è mai poveri”, spazi di cielo coraggioso, la magia dell’attesa, della luna, “luminosa e sospesa”, come della pietra, “che aspetta sulla riva/ forse oggi arriverà un bambino/ e forse la terrà un poco in mano/ e lei si sentirà di nuovo viva”. Parliamo di “Poesie nell’erba”, nuovo splendido libro (vincitore del Premio Pierluigi Cappello 2021 nella sezione letteratura per l’infanzia, nell’ambito della XXII edizione di Pordenonelegge) di Sabrina Giarratana (nella foto di Gianluca Schiassi), edito da AnimaMundi, illustrato dalla sensibilità artistica di Sonia Maria Luce Possentini. Un libro sapiente che incanta e affresca “il gioco bello di esistere”.

Perché “Poesie nell’erba”? Come, quando e dove nasce?

“Poesie nell’erba” nasce come raccolta di poesie tra l’estate del 2016 e quella del 2017, nella pace e nel silenzio di casa mia, in ascolto delle voci del mio giardino e della natura che ho intorno. Nasce ancora prima, però, come desiderio: era il 2015, con Sonia Maria Luce Possentini avevamo appena ritirato il Premio Rodari per il nostro libro “Poesie di luce” e ci trovavamo a Omegna, paese natio di Gianni Rodari, sedute al tavolino di un bar. Lì, per la prima volta, ho desiderato fare con lei un nuovo libro dedicato al nostro comune amore per la natura, dove il colore predominante sarebbe stato il verde. I libri nascono sempre prima da un desiderio, che poi diventa un sogno, una visione ricorrente, che ci interroga e non ci lascia stare finché non gli diamo ascolto. Così, nell’estate del 2016, ho iniziato a scrivere le prime poesie di questa raccolta. Venivo da un lungo periodo di silenzio nella scrittura, avevo perso da due anni il più grande dei miei due fratelli, Daniele, un punto di riferimento fondamentale nella mia vita, e ho sentito che tornare alle origini del mio amore per la natura attraverso la poesia mi avrebbe aiutato non solo a ritrovare il senso del mio scrivere ma anche a rivivere gli anni più belli della mia infanzia con i miei fratelli Daniele e Roberto, anni che per me vanno dai sette ai nove e mezzo, in cui per seguire il sogno di mio papà -vivere in campagna- ci trasferimmo da Bologna a Livergnano, a venti chilometri da Bologna, in una casa che aveva alle spalle una montagna e di fronte una vallata. Pensando alla mia infanzia è tutto concentrato lì, in quei due anni e mezzo, immersa nella natura con i miei fratelli e lontani dagli sguardi dei nostri genitori. Ciò che è avvenuto in quei due anni e mezzo, molto più selvatici e liberi rispetto agli anni della nostra infanzia cittadina, ha rappresentato per me una miniera inesauribile di visioni, esperienze, voci, meraviglie, corrispondenze, paure, lezioni di coraggio e sopravvivenza, miracoli, ferite, giochi, consolazioni, guarigioni, vite, morti e rinascite e piccole storie di una moltitudine infinita di creature che ancora continuano a parlarmi e a cui continuo ad attingere per salvarmi la vita. “Poesie nell’erba”, infine, nasce come libro illustrato ad aprile del 2021: nasce grazie all’attenzione, alla sensibilità e alla curiosità di Giuseppe Conoci di AnimaMundi Edizioni, che decide di farne il primo albo illustrato della sua Casa Editrice, che da anni pubblica libri di poesia e saggi per adulti. Nasce per aprire una nuova collana dedicata agli albi illustrati e a lettori di ogni età, bambini e adulti che amano gli albi illustrati: “bello mondo”, il cui nome è un omaggio a una meravigliosa poesia di Mariangela Gualtieri. Nasce grazie al bellissimo e ancora una volta per me sorprendente lavoro di Sonia Maria Luce Possentini, che si è immersa in ascolto dei miei testi e ha fatto il suo viaggio in parallelo per raccontare attraverso la poesia delle sue immagini le sue “Poesie nell’erba”. Nasce grazie alla cura e alla passione di Valentina Sansò, che ne ha seguito il progetto grafico, e anche grazie all’ottimo lavoro dello stampatore, La Grafica di Molteno, scelto e seguito personalmente da Sonia. Perché un libro è sempre il risultato di un lavoro di squadra e quando nasce bene vuol dire che il lavoro è stato attento, preciso e accurato. E il merito è di tutti, bisogna essere grati e ricordarlo.

Qual è o quale dovrebbe essere la lingua ideale della poesia?

Non so se esista una lingua ideale della poesia. Credo che ciascun poeta aspiri a una sua lingua ideale, e che proprio la ricerca di una propria lingua ideale muova la scrittura. Ma la lingua è una materia viva, come è vivo chi scrive, e quindi la lingua ideale a cui ogni poeta aspira forse lo è solo per il tempo di un’opera, forse muta molte volte nel corso di una vita. Il lavoro sulla propria lingua non finisce mai finché si scrive. Questo tendere a un ideale accende di piacere inventivo e slancio e stupore la scrittura poetica e si nutre anche di ripetuti tentativi e fallimenti. Ciascun poeta credo senta la responsabilità della propria creazione e aspiri alla sua lingua ideale per cercare di dire non la verità sul mondo, ma la verità del proprio sguardo sul mondo, che è unico e assolutamente originale. Forse la lingua ideale della poesia è quella che dicendo in maniera sintetica le complessità dell’esistenza non dà certezze e risposte ma accende domande, una lingua capace di creare ponti tra persone lontanissime nello spazio e nei secoli, una lingua che offre soccorso a chi scrive e a chi legge, una lingua che resiste alle mutazioni della lingua, una lingua che esprime l’unicità del poeta ma che è anche voce in cui risuonano le voci di tutta l’umanità e di tutte le creature visibili e invisibili e animate e apparentemente inanimate che popolano l’esistenza. Un lingua che è lo specchio del tempo in cui viene scritta, ma che ha il respiro dell’eternità e una musica dentro che possa dirsi universale.

La forma quanto incide sull’essenzialità della parola poetica?

La forma serve alla parola poetica, ne disciplina e contiene l’uso e la scelta, e allo stesso tempo ne moltiplica le possibilità espressive. La forma allena la coscienza del valore di ogni singola parola, sempre richiamando il poeta all’attenzione verso un uso preciso, esatto della lingua, che tenga conto sia del senso che del suono della poesia. Tutto questo incide fortemente sull’essenzialità della parola poetica, che è il risultato di un lungo lavoro a togliere ciò che non serve, ciò che non è necessario. Scrivere poesia è un lavoro artigiano di scavo lentissimo e paziente dentro la materia della parola poetica e del sogno che la muove simile a quello che fa lo scultore con la pietra. Un lavoro di scelta minuziosa e accostamento delle parole simile a quello che fa il mosaicista con le tessere del mosaico, per dare alla luce ciò che la sua visione lo guida a creare.

Assodato che non basta “andare a capo” per scrivere una poesia, immaginando di doverlo spiegare ai più giovani, quali sono (dal tuo punto di vista) gli “elementi” indispensabili per riconoscerla?

Il primo elemento è il verso. Non basta andare a capo per scrivere una poesia, ma il verso che va a capo prima della fine della riga lasciando uno spazio bianco già mi dice che non si tratta di una scrittura in prosa e mi dice anche che quel bianco parla. Parla del silenzio da cui ha origine la scrittura. Parla dell’importanza di quel silenzio e dice che in quel silenzio chi scrive ha scelto di scolpire delle parole. Poteva esserci una riga piena di parole e invece no: chi scrive ha pensato che una riga piena di parole avesse molto meno da dire di una riga con pochissime parole scelte e accostate tra loro con molta cura. Il secondo elemento è la musicalità. Una musicalità che non si riscontra nella prosa e che arriva immediatamente a chi ascolta, arriva prima del senso delle parole della poesia e deve risuonare dentro, incidere, lasciare profondamente un segno. Questa musicalità è frutto del lavoro lungo, accuratissimo, instancabile, ambizioso, umile, certosino di chi scrive e della sua conoscenza della metrica, cioè di quel sistema di regole che riguardano la composizione e la struttura del verso e capace di dare forma e ritmo al componimento poetico, e che può essere accentuata dall’uso di rime, assonanze e consonanze. Il terzo elemento è l’intensità della parola, dove il significante (verso, rima, strofa, suoni, ritmo) crea attenzione quanto il significato, anzi quanto i significati, perché in poesia le parole scelte non hanno un unico significato, sono polisemiche: dicono una cosa e contemporaneamente aprono una finestra su un altro significato, su un’altra visione. Questa intensità è sempre frutto del lavoro lungo, accuratissimo, instancabile, ambizioso, umile, certosino di chi scrive, delle sue scelte lessicali capaci di potenziare il testo poetico e dell’utilizzo di figure retoriche capaci di creare relazioni tra le cose del mondo. Il quarto elemento è la capacità di accendere l’immaginazione, che crea empatia in chi ascolta, costruendo scenari di paesaggi esteriori e interiori, dove il fuori si intreccia con il dentro, dove l’universale si intreccia con il personale, con l’intimo e il profondo. Questi, secondo il mio punto di vista, sono gli elementi per riconoscere una poesia. Non bastano però a farcela piacere. Esiste un quinto elemento, la bellezza, e la bellezza è impossibile da definire: ci sono poesie riconosciute universalmente come capolavori di cui possiamo riconoscere il valore ma che non ci toccano in profondità, altre invece meno conosciute che sentiamo risuonare profondamente in noi, poesie che ci scuotono, ci incidono come una ferita, e allo stesso tempo ci curano. Ognuno riconosce come bello ciò che sente risuonare dentro di sé. Certo, leggere e ascoltare tanta poesia aiuta a riconoscerne la bellezza quando la si incontra.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo “Poesie nell’erba”; di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere.

Ti ringrazio per le tue preziose domande e per l’attenzione dedicata alle mie “Poesie nell’erba”. Scelgo di salutare i lettori con queste tre poesie:

Bisogna avere gli occhi dei passeri
per mettere a fuoco certi esseri
bisogna muoversi a piccoli passi
farsi silenziosissimi e dimessi
cercare di capire da lontano
l’attimo, per avvicinarsi piano
poi restare semplicemente fermi
così vicini da scoprirsi inermi
vibrare insieme, accogliere il suono
ringraziare e custodire il dono.

C’è una roccia che conosci solo tu
muori per finta se ti butti giù
ti butti e muori, e dopo ti rialzi
di corsa torni in cima a piedi scalzi
lo sai che fa paura a prima vista
che da lontano sembra uno strapiombo
ma il posto ha un salvavita ben nascosto
dove resti invisibile dal mondo
è questo il tuo segreto se ti butti
muori per finta e ci cascano tutti.

Stare come una mora tra le spine
aspettare il tempo di maturare
il sole migliore della stagione
custodire bene il proprio sapore
lasciar passare oltre i disattenti
i frettolosi, i troppo disinvolti
i paurosi, dai facili spaventi
che si avventurano tra i rovi alti
e restare inaccessibile a molti
scegliere da chi essere colti.

Tra queste tre, la seconda è dedicata a mio fratello Daniele e a un gioco che facevamo da bambini. Ce lo fece scoprire lui buttandosi da una roccia e facendoci credere di essere morto. Durò poco, ma fu disperazione vera. Quando ricomparve urlando che era solo uno scherzo lo odiai tantissimo. Poi mi insegnò che la roccia aveva un gradino enorme sotto, un salvavita, che da lontano non si vedeva. E quello divenne uno dei nostri giochi preferiti. Quando ho scritto questa poesia ho rivissuto tutto come se stesse accadendo di nuovo, ancora e ancora, e anche quel senso di salvezza, di poter sopravvivere a qualunque morte. Devo averla riscritta quattro o cinque volte, mai contenta, prima di arrivare a questa ultima stesura. Grazie anche per questa condivisione.

Illustrazione Sonia Maria Luce Possentini
Illustrazione Sonia Maria Luce Possentini

 

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 05.09.2021, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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