Mauro Germani, “Prima del sempre”, versi come “tentativi di risposta, sotto la luce della fede”.

tre domande, tre poesie

 

Rileggere le proprie opere edite e inedite è operazione non infrequente, nel corso degli anni, che induce talvolta alla loro riscrittura, o a una selezione per un’autoantologia. Una rivisitazione non come semplice bilancio di decenni di lavoro, ma per impulso interiore a marcare costantemente ciò che siamo e scriviamo col nostro segno identitario, coerente con la nostra idea di mondo e di scrittura [. . .] Prima del sempre è l’ultimo gruppo di poesie raccolte nel libro. Si tratta di quattordici componimenti inediti elaborati tra il 2020 e il 2022, pervasi da un sentimento religioso cristiano. Poesie religiose nell’accezione moderna, in cui a prevalere non è l’elemento devozionale né la loro programmatica destinazione a un pubblico esteso (come le laude di Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi), ma come tentativi di risposta, sotto la luce della fede, agli interrogativi che viviamo ogni giorno, alle terrificanti tragedie, alle desolanti ingiustizie, alla solitudine per il vuoto destabilizzante e spaventevole intorno a noi, nella fredda assenza degli affetti venuti meno, o ritrattisi. È l’identità cristiana, dunque, a disvelarsi inequivocabilmente in questa silloge.

(dalla Postfazione di Giovanni Nuscis)

  

Qual è stata la scintilla che ha portato il tuo “Prima del sempre”, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Prima del sempre è un’auto-antologia (puntoacapo editrice di Cristina Daglio) che comprende testi pubblicati in cinque volumi dal 1995 al 2022, più alcune poesie inedite che costituiscono l’ultima sezione. L’intento è stato quello di rivedere la mia opera poetica, in questo caso quasi trentennale, ma in realtà iniziata nel 1988 con la plaquette L’attesa dell’ombra, qui non presente. Ho operato una scelta selezionando i brani per me più significativi, per cercare di cogliere ciò che nell’arco di molto tempo è stata la mia scrittura dalle prime prove fino a oggi. Aggiungo inoltre che questa operazione rappresenta per me anche un congedo dalla poesia. Non penso, infatti, di scriverne ancora. Dopo tanti anni credo che sia giunto per me il momento del silenzio in ambito strettamente poetico, mentre lascio le porte aperte alla narrativa e alla saggistica. Ritornando al mio libro e alla tua domanda, rispondo con un’affermazione presente nella nota che ho scritto in appendice al volume: «Ho cominciato a scrivere versi da ragazzo, chiedendo alle parole tutto ciò che io stesso non capivo. Da questo impedimento o da questa mancanza è nata la mia poesia. Essa doveva condurmi là dove io non riuscivo ad arrivare». E ancora: «Ecco la molla della mia poesia: scrivere ciò che è segreto, che non è immediatamente visibile ma che è in noi e oltre noi». Io credo infatti che si scriva sempre da un mistero: il mistero è fondamentale, fa parte del nostro essere, è la nostra domanda. Mi piace citare una frase di Paul Valery, che per me è assai veritiera: «Noi siamo sempre interrotti, non siamo mai compiuti. Ci sono solo compiutezze parziali». La poesia è figlia della nostra incompletezza e proprio per questo ha in sé un desiderio di attesa, di conoscenza, di verità ulteriore: essa tende all’assoluto, anche se ciò che raggiunge è sempre un assoluto relativo. La vita insegue il linguaggio incessantemente, lo chiama, lo invoca in una tensione continua, lo spinge fino ai propri confini estremi, in uno scarto di cui io sono sempre stato consapevole: è questa la fragilità e la bellezza della poesia, la quale – voglio precisare – non ha per me potere salvifico. Se vogliamo parlare davvero di salvezza, dobbiamo praticare altre vie. Bisogna avere l’umiltà di ammetterlo. Non a caso i temi ricorrenti nella mia opera sono l’esilio, come condizione umana e lontananza dalla vera patria, e l’ombra come simbolo polivalente e di buio, paura, morte, ma anche di protezione e rifugio.  L’attesa li unisce: si tratta dell’attesa di un compimento, quello finale, che per me è anche un nuovo principio, come attestano i miei ultimi testi, nei quali il mio sguardo ritorna all’infanzia, al tempo originario, per ritrovare una religiosità fondante, in una tensione che è desiderio di ascolto e di ricerca. Noi siamo qui, prima del sempre: è qui che viviamo, qui che scriviamo e qui che attendiamo.

La poesia è un destino? 

La poesia è una possibilità dell’esistenza. C’è sicuramente in essa qualcosa di radicale, di oscuro, che nasce – come già ho affermato – da una domanda ch’è dentro di noi e che è strettamente legata alla nostra esistenza. La poesia come gioco o pura invenzione fine a sé stessa non suscita il mio interesse, in quanto la ritengo un esercizio sterile. Io chiedo alla poesia e alla scrittura in genere una provocazione dell’esistenza, qualcosa che non sia innocuo, che scalfisca la mia anima: può essere un bagliore, un’illuminazione, oppure uno spavento, un precipizio che s’apre nella parola. Perché ogni parola scritta – come ha affermato Edmond Jabès – nasconde un’altra parola del tutto inafferrabile, ma incessantemente differita e più essenziale: ed è proprio verso questa parola che si manifesta la tensione del poeta. Egli è chiamato dall’ombra che c’è tra e dentro le parole. Io penso che chi scrive sia spinto da un’urgenza insopprimibile, da un mistero che in parte è ingovernabile. Non solo: chi scrive davvero è sempre in cospetto al destino.

Mauro Germani, Prima del sempre. Antologia poetica 1995-2022, con postfazione di Giovanni Nuscis, Puntoacapo, Pasturana 2024.

 

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempoa prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

dalla sezione Terra estrema

La bellezza che non sai dire
e le vene, tutta l’infanzia, gli anni
gli anni a capofitto
in questo
gettato divenire,
questo abisso che hai amato
in silenzio, tu
altro da te, altro nell’altro,
solo, a frantumi,
nello specchio rovesciato
del mondo.

*

dalla sezione Voce interrotta

Mi scelse la fabbrica
delle tende, la luce
bianca di febbraio,
la neve dentro
la notte.

E alla finestra
qualcuno era
una vedetta
del nulla,
uno sguardo
ai cortili vuoti,
una domanda
fra i campi e le case.

Chissà cosa
Sognava, dov’era
mentre l’alba non
arrivava
e non bastavano
i muri a trattenere
i lamenti e nemmeno
gli anni
a uno a uno.

Chissà cosa vidi
nel salto, nel lampo
feroce, quale
attrito, quale pianto
mi accecò
nella carne
e mi chiamò senza
nome,
mi prese per sempre
appena arrivato.

*

dalla sezione Prima del sempre

Prima del sempre

Ora siamo prima
del sempre, nelle
lunghe attese
alle porte, ai nomi
che salgono incerti
sui visi.

Ora abbiamo
il conto degli anni
e le sere, le luci
appena sospese
a tutti i
davanzali, le trame,
le voci dentro
di noi.

Ora aspettiamo
nel tempo che
incede
l’ultimo sguardo
e la parola più vera,
quella promessa mai
cancellata
il segreto
del nostro segreto.

*

Purtroppo dei miei testi ho solo la versione definitiva, perché ho cancellato quelle precedenti. Spero però di fare cosa gradita riportando uno dei miei primi brani in prosa poetica. Il mio percorso è iniziato con questo tipo di scrittura, che ho alternato alla produzione in versi e che a partire dal 2016 ho poi definitivamente abbandonato. Ricordo che, se si eccettuano alcuni autori come Giampiero Neri, Mario Benedetti e in parte Roberto Carifi, tale scrittura risultava allora (1988) poco praticata. Io ero pertanto consapevole di collocarmi in uno spazio letterario liminare rispetto alle produzioni del tempo. A me però sembrava adatta per i miei intenti, perché mi consentiva una maggiore libertà espressiva: ciò che cercavo era una forza metaforica e immaginativa ai limiti dell’indicibile, la rappresentazione di uno scenario sospeso e vibrante, tra realtà sfuggente e silenzio, tra attesa e impossibilità, non senza il ricorso a diverse suggestioni filosofiche. Dopo ho optato per una poesia più diretta e urgente nella sua dimensione esistenziale.

*

Chi c’è nel verbo capace di morire, nella condanna appena pronunciata, nella voce che ricerca la propria storia? Il tuo volto è la tua supplica, il mio ritardo. Io brucio nel tuo silenzio. Io sono la tua cenere.

Mauro Germani è nato a Milano nel 1954. Nel 1988 ha fondato la rivista “margo”, che ha diretto fino al 1992. Ha pubblicato poesia e narrativa e si è occupato di numerosi autori classici e contemporanei. Suoi saggi, poesie, recensioni e racconti sono apparsi su diverse riviste cartacee e online. In ambito critico ha curato il volume L’attesa e l’ignoto. L’opera multiforme di Dino Buzzati (L’arcolaio, 2012). Nel 2013 ha pubblicato Giorgio Gaber. Il teatro del pensiero (Zona) e nel 2014 Margini della parola. Note di lettura su autori classici e contemporanei (La Vita Felice). Gran parte della sua produzione poetica è ora compresa nella raccolta antologica Prima del sempre (puntoacapo, 2024). In ambito narrativo ha pubblicato Storie di un’altra storia (Calibano, 2022), Tra tempo e tempo (Readaction, 2022) e Reticenze (Fallone editore, 2024). Gestisce il blog “in-certi confini”. 

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