«La verità è che la Verità se n’è andata a spasso —/ ha lasciato il suo trespolo perché le colombe e i corvi/ lo devastassero e se l’è filata verso le colline, verso la quiete/ oltre i fiumi e gli alberi». Versi indicativi di Rita Dove (Premio Pulitzer, unica poetessa statunitense onorata sia con la Medaglia Nazionale per le Arti Umanistiche, sia con la Medaglia Nazionale delle Arti) scelti da “Playlist per l’apocalisse”, prima traduzione in italiano monografica di un suo libro di poesia, per “Interno Poesia”, collana “Interno Books”, a cura di Ana Ilievska* (nella foto di PicturePeople), che abbiamo intervistato.
Con “Playlist per l’apocalisse” di Rita Dove, inizio col chiederti: perché (oggi), dalla voce della curatrice, leggere questo libro? Cosa può la poesia “contro” la dilagante incapacità di ascolto e cognizione?
La poesia non può assolutamente niente contro la dilagante incapacità di ascolto e cognizione. Forzare qualcuno a leggere o ad imparare qualcosa dalla poesia è come cercare di spegnere il fuoco con la benzina: si ottiene l’effetto opposto. Quindi anche questa traduzione, anche questo libro di poesia è meramente un’apparizione che verrà vista (o letta) solo da quelli che già credono agli spiriti. L’ho tradotto per un senso di debito nei confronti di un carissimo amico ormai ottantenne che, molto tempo fa, frequentava Rita Dove mentre, penso negli anni Settanta, studiavano alla mia alma mater, l’Università di Tübingen nel sud della Germania. È stato lui a farmi conoscere la poesia di Dove e, ammetto, per molto tempo non riuscivo a leggerla o a capirla; non mi parlavano i suoi versi. In verità, non era ancora arrivato il momento per leggerla. Rita Dove non è una poetessa che si legge quando si ha vent’anni ma più tardi, quando si ha una maturità politica, una coscienza storica nonché una distanza lirica che vengono solo con gli anni. Da giovani c’è il rischio di non capirla, di metterla all’interno di tradizioni liriche a orientamenti politici a cui Rita Dove sfugge con ogni pagina. Se qualcuno nell’Italia, quindi, dovesse scegliere di leggere questo libretto, lo dovrebbe fare con massima cautela perché qui si incontra tutta la storia degli Stati Uniti, tutta la sofferenza di vari popoli oppressi (soffriamo tutti allo stesso modo anche se per motivi diversi?) ma anche il dolore proprio della poetessa stessa e, non dimentichiamo, pure la sua trattenuta liricità (si vedano “Sciarpa” o “A-wing’”) e tecnicità maestrale (“Dal bordo campo” “Specchio,” “La risposta di Sarra”). È un magnum opus di una poetessa che non ha mai voluto essere letta come poetessa black e che viene da un paese (gli USA) che tutti sembrano conoscere bene eppure pochi ci hanno passato veramente abbastanza tempo e in posti tra loro diversi per capirne la profonda bellezza e mostruosità. Leggendo questo libro, sarà facile giudicare, persino ridere, specialmente visti i recenti sviluppi politici nel paese. Traducendolo invece, volevo invitare il pubblico italiano a capire, a praticare una lettura che riconosce i propri limiti ermeneutici ed esperienziali.
Quali parole ti “trovano” se ti chiedo di tratteggiare Rita Dove secondo l’idea che, in un lungo tempo di “ascolto”, ti hanno “restituito” i suoi versi, meglio il suo “fare”?
Di ciò che ho capito, Dove ha sofferto abbastanza per questioni di salute per molto tempo durante il quale non ha scritto nulla. La mia interpretazione è sempre quella nobile: da poeta, è necessario saper tacere e quando. A volte si tace perché, come Dove, si è forzati. Ma non c’è peggio che cadere nella trappola del writer’s block, pensando che lo si deve superare ad ogni costo, come se fosse una malattia, ora anche utilizzando ChatGPT per farsi venire delle idee. C’è molta scrittura e pochissimi lettori là fuori, lo sappiamo tutti. E per scrivere veramente cose, diciamola così, di qualità, il viaggio tra l’idea e la mano che scrive deve durare molto, altrimenti si ha a che vedere con poesia instant, come quelle zuppe pronte che si mangiano la sera quando non si ha voglia di cucinare.
“da dove siamo partiti/ quando abbiamo smesso di partire”, la poesia è (anche) la lingua dell’invalicabile?
Cara Grazia, ho dovuto controllare il significato di questa parola “invalicabile” nel dizionario! Insurmountable, insuperable, unbridgeable, that cannot be crossed. Lo “Schizo per Terezín” è una delle più belle e maestose poesie di questa raccolta e ci rivela Dove in tutta la sua grandezza poetica. Guarda come va avanti-indietro nel tempo, come riesce a rappresentare ciò che avrebbe potuto essere lo stato di animo delle persone destinate ai campi di concentramento, con tutte le loro speranze, ricordi, paure che non smettono di riflettere l’infinita capacità dell’essere umano di vedere poesia, bellezza anche dove c’è solo distruzione. La poesia è la lingua dell’invalicabile perché è l’unico linguaggio capace di varcare ciò che nella scienza, nel discorso razionale, sembra paradossale, opposto. Grazie a Dio che ci sia, altrimenti saremmo in balìa alla ragion pura, a quel modo di pensare e vedere il mondo che non tollera né contraddizioni né eccezioni.
“Anche la paura si è stancata di custodire la rabbia/ e l’ha mandata a giocare in un deserto// così lontano che nessuno se ne accorgerà…”, la poesia può colmare la pensosa solitudine del poeta?
Eccome! E non solo del poeta ma anche del lettore e forse anzitutto del lettore. La poesia ha le sue origini nel canto orale, nella musica; quindi è già da sempre uno scrivere per, esiste solo nella relazione tra due menti—quella del poeta e quella del lettore—che, ognuna nella propria solitudine, si trovano all’improvviso d’accordo, sorprese di questa unione. Se uno scrive solo per sé stesso, allora non scrive poesia ma un diario terapeutico.
Pensando alla tua attività di traduttrice domando: la poesia è realmente traducibile? E se lo, è più corretto parlare di traduzione o di reinvenzione, di riscrittura?
Di riscrittura, assolutamente. Ho fallito in molti posti traducendo questa silloge (permettimi di non rivelare dove però) e il gentilissimo Riccardo Frolloni mi è stato d’aiuto quando non trovavo più non solo la corrispondenza nell’italiano ma anche quando semplicemente non riuscivo a capire nemmeno certe cose in inglese. Tradurre è anche interpretare e, molto spesso, cantare, trovare un ritmo, una coloratura che non può trasportare (dal latino tra-ducere) il testo come se fosse un treno da un binario all’altro; l’analogia più appropriata è la seguente: mentre il treno ad alta velocità del testo originale corre corre sul suo binario, il traduttore costruisce—con i materiali che ha a disposizione e che non possono mai essere gli stessi del poeta—un altro treno molto simile che corre alla stessa velocità ma su un binario parallelo; alla stazione centrale, il lettore può scegliere su quale salire. Da studentessa ho dovuto frequentare un corso sulla traduzione che ho detestato con tutto il mio essere. Tutte quelle teorie, speculazioni e regole rendevano la traduzione un mestiere ripugnante e burocratico. Invece tradurre, per me, che a diciassette anni avevo pubblicato una mia prima (orrenda) silloge poetica, è sempre un riscrivere; quando traduco mi sento Glenn Gould che interpreta i Goldberg Variations: ovunque si sente il mio mormorio.
E, ancora, la poesia (dal tuo punto di vista) è più ispirazione o più costruzione? Qual è stato, ad oggi, un “insegnamento” ricevuto in dono dalla poesia o, se preferisci, “semplicemente” da un verso?
Sono difficilissime le tue domande, Grazia, per una semplice mortale come me. Sparo: la poesia per me è un bisogno. Ed io sono stata una cattivissima poetessa, infatti, perché non riuscivo a trasformare questo bisogno (chiamalo ispirazione) in una costruzione (chiamala technē). Mi ha ingannato il Rimbaud con il suo Bateau ivre che celebrava il genio sfrenato e sregolato del poeta e che, avevo scoperto molto più tardi, invece era un poeta che aveva studiato intensamente e conosceva a memoria tutta la poesia greca, latina e francese. Tutto comincia con un bisogno, un’ispirazione, ma se non finisce nella costruzione, allora cos’è? Una simpatica confessione.
Sceglieresti, e per salutare i nostri lettori, una poesia della Dove che ha cambiato (più di altre, e ammesso sia accaduto) il tuo essere nel mondo (e, magari, spiegandoci il perché di questa scelta/preferenza)?
Diciamo che “Specchio” e “Dal bordo campo” mi hanno fatto sudare di lavoro; “Vacanza” e “Mambo borderline” mi hanno fatto sorridere; “Sciarpa” mi ha intenerita; “Ultime parole,” “Isola,” “Zuppa,” “Galateo per l’insonnia” e molte altre mi hanno ricordato che l’umiltà è ancora una virtù. Non c’è un’unica poesia che posso scegliere. Invece dico che tutta questa raccolta mi ha spaventata fino all’umiltà e mi ha fatto sentire piccola, a volte sciocca, ma senza umiliarmi; Rita Dove è una potenza ed io non sono all’altezza di essere la sua traduttrice; sono stata fortunata o forse ostinata, chissà qual è esattamente la differenza tra i due.
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*Ana Ilievska è Docente e Ricercatrice presso l’Università di Bonn (Germania) in un progetto tra l’Università di Cambridge e Bonn sull’Intelligenza Artificiale nel contesto delle scienze umanistiche. La sua ricerca si concentra su narrazioni letterarie sulla tecnologia da una prospettiva mediterranea. Ha insegnato alla Stanford University e ha conseguito il dottorato in Letterature Comparate presso l’Università di Chicago, avendo studiato a Tübingen, Yale, Brown e a Lisbona. Tra 2018-2020 è stata ricercatrice visiting Fulbright presso DISUM all’Università di Catania. Dal 2020 è membro del consiglio e redattore assistente della Società Pirandelliana d’America per la quale sta co-curando un numero su Pirandello e l’intelligenza artificiale. Le sue pubblicazioni includono libri co-curati, saggi accademici e divulgativi su Luigi Pirandello, Eça de Queirós, Fernando Pessoa, Frankenstein e l’intelligenza artificiale, il modernismo dell’Europa meridionale, l’umanesimo mediterraneo, la poesia e gli studi sul suono. Recentemente sono state pubblicate le seguenti traduzioni sue: con Pietro Russo, Contemporary Sicilian Poetry: A Multilingual Anthology (Italica, 2023); Webfare: A Manifesto for Digital Well-Being di Maurizio Ferraris (transcript, 2024); e in collaborazione con Riccardo Frolloni, Playlist per l’apocalisse di Rita Dove (Interno Poesia, 2024).
(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA dell’1.12.2024, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).