«Il mio cuore è un lago/ e se mi sporgo troppo,/ se mi inabisso,/ non torno più a galla;/ ho un boccaglio che mi tiene alla vita,/ se guardo il fondale,/ che bellezza e che male». Versi di Beatrice Zerbini (nella foto di Roberta Sansavini), scelti per segnalare “Quarantadue”, volume pubblicato da Samuele Editore-Pordenonelegge, nella collana “Gialla Oro”, a cura di Alessandro Canzian, Roberto Cescon, Augusto Pivanti, Gian Mario Villalta. “Quarantadue”, nella terna finalista del Premio “Brancati 2024 – sezione Poesia”, testimonia che l’amore è la più alta testimonianza possibile, che l’amore è sempre un’occasione per elevarsi, che l’amore è la lente della verità, la possibilità che abbiamo per riconoscerci. La Zerbini, «sciolta nel mondo», inanellando immagini, sul palmo di un linguaggio rivelatore, rinasce quotidianamente, – sebbene il dolore, che accoglie «con confidenza familiare», sebbene il «lutto per l’universo tutto», sebbene il «sovraesposto cuore», sebbene la primavera, «stagione che si è perduta» -, per il fatto che, «sotto il miracolo dei cieli», la felicità può accadere.
Partiamo dal titolo: qual è stata la scintilla che ha portato il tuo Quarantadue meglio: in che modo – ribadiamolo – la (tua) vita diventa linguaggio?
Dopo un grave lutto che ha sconvolto la mia esistenza, ho iniziato a vedere questo numero ovunque. Negli orari, negli scontrini, nei posti assegnati, sulle targhe, nei civici, nei codici. Ho iniziato ad ascoltarlo, persino. Una volta, nel pieno del dolore, in un negozio, in tutt’altro affaccendata, mi sono lasciata raggiungere e accarezzare da una canzone mai incontrata prima di quel momento, che diceva
“I morti, non sono morti
Ma vivono nei miei pensieri
E da quando sono caduto sotto quell’incantesimo
ci vivo anch’io”.
Era “42”, dei Coldplay.
Ho coinvolto le persone a me vicine, condiviso con loro la stranezza, così costante nell’abitare il mio quotidiano, le ho addirittura contagiate. Ho sempre avuto un po’ di pudore però a raccontarlo in giro. Perché implicitamente ho iniziato a dare liceità a un pensiero magico, folle; la mia attenzione selettiva ha smesso di essere una giustificazione plausibile, finché non si è trasformata, dentro di me, in un dialogo con qualcosa che ho perduto. Questo libro parla di un lutto, di un dolore; è un colloquio silenzioso che mi lascia sola davvero, proprio per la sua natura “dialogica”, eppure mi dona un senso e mi accompagna, smentendo ogni reale solitudine. Il mio non è un monologo con i morti, non è un amare solitario. È un parlare a chi pare non rispondere, non con chi non esiste, ma con chi esiste e si nega alla forma riconoscibile. Quarantadue è il modo che ha la vita, oltre e dopo la vita, di dirmi “ti amo”. È un amarmi altrove che io corrispondo. Questo ultimo libro, a differenza degli altri, è sfacciatamente doloroso. Mi sono concessa tutto lo struggimento dell’assenza inestinguibile e incolmabile, senza scampo, perché la salvezza è già insita nel significato sfuggevole del titolo e nel mio esistere che lo decodifica. Quarantadue giustifica e a un tempo annienta il dolore di una sopravvissuta.
Ad oggi, dove sei stata condotta dalla poesia, qual è stato l’insegnamento?
È una domanda complessa, che mi piace molto e alla quale forse non so rispondere; credo potrei cambiare idea, ma al momento la mia risposta, quella non “pratica” – per la quale potrei dirti che la scrittura poetica mi ha portata a conoscere tante persone e tante versioni di me – è questa: penso che piuttosto la poesia mi abbia lasciata ferma. La poesia mi ha saldata a uno disvelarsi della realtà e a una realtà fissa, nonostante questo svelamento. La poesia è stata l’unica costante della mia vita, la strada immobile sulla quale ho vissuto di tutto e attraversato infinite altre strade. La poesia mi ha ancorata. Non so se mi abbia insegnato qualcosa, forse mi ha dato uno strumento più acuto e preciso per cogliere gli insegnamenti della vita, della fatica, della quotidianità. Poesia ed esistere sono indissolubilmente connessi, eppure la poesia è qualcosa d’altro. È un trapano, una lente, una fata, uno specchio, un dono, compagna e crudele despota. Mi ha insegnato ad attenderla, a desiderarla, a rimanere nel niente, pronta a raccogliere, allo stesso tempo a dedicarmi alla vita, a svolgerla e a declinarla sotto l’egida del suo sguardo.
“Esco,/ vado a portare/ fuori il dolore.”, con i tuoi versi per chiedere: la poesia è (forse) un destino?
La poesia è un caso, vorrei fosse destino, si impegnasse a non abbandonarmi, vorrei esserle destinata. Invece ogni poesia che scrivo trema come se fosse l’ultima, mi rende precaria, dipendente, mi stupisce. Vorrei non stupirmi mai dell’ispirazione, vorrei il patto di una predestinazione.
Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro, e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quanto “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha visto nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).
Ti lascio innanzitutto questa poesia.
Una persona, che un giorno mi ha chiesto che cosa avessi nel cuore,
mi ha dato modo di interrogarmi. Nel mio cuore ho riconosciuto, laggiù in fondo, tante persone che ho perso, la mia infanzia, il mio male di vivere e un passerotto con un’ala spezzata, che non ho avuto la forza di prendere in mano, per paura e che ho assicurato alla morte. Ho visto anche la forza che mi ha portata fino a qui.
Ho avuto bisogno di scavare e di far riemergere quel non detto. Ecco da che cosa è nato il libro.
Mi chiedi
che cosa ho nel cuore, chi
e io mi metto a cercare
e come posso
trovare
infinite parole,
fare inventari ora
con le serrande abbassate
il tramonto grigio, il futuro a chiamarci?
Il mio cuore è un lago
e se mi sporgo troppo
e se mi inabisso,
non torno più a galla; ho un boccaglio
che mi tiene alla vita,
se guardo il fondale,
che bellezza e che male:
è tutto così trasparente,
ci sono le facce dei morti, alcune
con le bocche spalancate, altre
con gli occhi sgranati, quasi
nessuna sorride,
se non glielo chiedo
con la mente;
ci sono in fondo detriti,
cerotti a medicare cose
che non possono guarire, pensa
un sasso o un manubrio,
con una garza attorno
chissà quando l’ho persa
in quale vita
con chi nuotavo;
c’è un uccellino,
che non ho salvato, malnato
accanto a me, caduto;
c’è quello che non è stato,
se non in me e che in me
vive ancora;
se mi richiedi chi
mi vergogno a dirtelo e ti spiego
che sono tutta
dilatata, come rinata
sciolta nel mondo;
c’è il fresco dell’acqua
che mi bagna tutta e non mi annega,
dice
che ce l’ho fatta;
c’è
la dolcezza della testa reclinata
che mi ascolta
anche se resto muta,
perché alla fine non rispondo,
ci alziamo, andiamo
e potrei dirti solo
che nel cuore adesso
ho i tuoi occhi, che forse
ho deluso, tradito con il mio
non saper dire:
sono così belli e liquidi
di misericordie, di barche, di bagnanti persino
che si tuffano piano,
d’amore persino che forse
hanno già visto tutto.
B. Z.
—
Il compleanno dei morti
si festeggia da soli
in un segreto
che non fa scalpore.
I pasticcini sono moniti e puntelli
di cose fatte
e indietro
e spente;
i salatini, polpastrelli
esausti
che mollano la presa;
i cappellini degli invitati ignari
sono abusi
di fantasie.
E sui bicchieri bianchi
sparsi
alla tavola dei restanti
c’è scritto:
perché
perché
perché,
da non confonderci.
Al compleanno dei morti, i regali
implodono sulle vetrine da fuori
sono colori che ti piacevano
e ossessioni tue
e prese in giro che se tu fossi…
Ma non sei.
Al posto
degli applausi, stare zitti;
al posto delle orecchie
da tirare, gli occhi
che sono cento o forse
uno solo, immenso;
dei cappotti sul letto,
un vago freddo;
delle risate in sala
una fitta;
al posto degli auguri,
una poesia non letta.
B. Z.
—
Ti scrivo da un aeroporto,
dal margine
della sala d’attesa, fra poco
sarò così vicina
a te che ti sperdi
fra le nuvole, che spargi
ciò che era il movimento
in ciò che non si muove.
Sto arrivando, sto
per mettere la testa negli azzurri.
ti mando questo
pensiero come a dirti
spero dove sei tu ora che
tu stia bene e che il tuo cuore
continui a battere veloce, che tu
abbia tempo
per riposare e che mi pensi
ogni tanto e sappia
con chi parlo quando è a te
che non posso parlare.
B. Z.
*Beatrice Zerbini (Bologna, 17 gennaio 1983) si dedica già dal 1987 allo studio del ritmo e della parola, grazie al celebre coro diretto da Mariele Ventre, di cui ha fatto parte. A otto anni, complice un’infanzia travagliata, inizia a scrivere i primi versi. Nel 2006, apre la pagina online di racconti tragicomici e di poesie “In comode rate”, che darà il nome, nel 2019, alla sua prima silloge, In comode rate. Poesie d’amore (ed. Interno Poesia), giunta in soli tre anni alla tredicesima ristampa. Con la sua voce «unica, ironica e profonda» (così l’ha descritta Alba Donati, paragonandola per facilità di canto a V. Lamarque e W. Szymborska), è riuscita a trovare un nuovo e coinvolgente linguaggio per la poesia d’amore. Nel 2020, inizia a dedicarsi a un progetto a sostegno delle famiglie dei malati e delle malate di Alzheimer, diventato poi anche uno spettacolo portato in diverse piazze emiliano-romagnole. Nel 2021 pubblica Mezze Stagioni (ed. AnimaMundi), una breve raccolta di suggestioni poetiche. A novembre 2022, pubblica D’Amore (con prefazione di Alberto Bertoni), la sua seconda opera poetica – ad oggi alla quinta ristampa – in cui trovano sempre più spazio i temi introspettivi dell’amore, del lutto e della cura tramite la psicoterapia. A fine febbraio 2023 pubblica Padre nostro, il suo primo albo illustrato (con illustrazioni del premio Andersen Sonia Maria Luce Possentini, per Carthusia Edizioni, nella collana Grandi Storie al quadrato), in ristampa dopo solo 20 giorni dalla prima edizione. Nello stesso anno, con la stessa illustratrice e per la stessa casa editrice, pubblica “Non avere paura”, a maggio 2024, sempre insieme a Sonia Maria Luce Possentini, firma l’albo “C’era un’estate” (ed. AnimaMundi). A settembre 2024 esce la raccolta poetica “Quarantadue”, per la Collana Gialla Oro di Pordenonelegge, edita da Samuele Editore).
Ha partecipato e partecipa a numerosi festival e rassegne in Italia (tra cui: Salone Internazionale del Libro di Torino, Festivaletteratura di Mantova, Pordenonelegge, Poesia Festival, Alzheimerfest, Festival di Poesia Civile e Contemporanea del Mediterraneo, Più libri più liberi, Condimenti Festival, FLIP Festival, Festa del libro Zafferana Etnea, Festa del Libro e della Lettura di Enna…); è stata ospite, con i suoi testi e con recensioni ai suoi libri, di riviste, testate nazionali, quotidiani cartacei e online (tra cui: Poesia di Crocetti, Rai Poesia, La Stampa, Editoriale Domani, Alias – Il Manifesto, Io Donna, 7 Corriere della sera, Atelier Poesia, Centro Culturale Tina Modotti, Poesia del Nostro tempo, La Repubblica, Bibbia d’asfalto, L’asterorosso, Inverso – Giornale di poesia, l’Estroverso, Morel – voci dall’isola, per citarne alcuni), di trasmissioni radiofoniche e televisive (Rai Uno, RaiPlay, Rai 3, il Sabbatico su Rai News 24, Fahrenheit su Rai Radio 3, Rai Radio 1). Scoperta da Alba Donati, che ha firmato la prefazione della sua prima raccolta, In comode rate. Nel 2020 In comode rate è stato tra i primi dieci libri di poesia più venduti dell’anno dalla catena di Librerie Coop. Nel 2023, grazie all’incontro con Caterina Caselli, firma per la Sugar Music due testi poetici, fatti musicare da Riccardo Sinigallia. Uno di questi è stato reso pubblico per la prima volta presso la Casa Internazionale delle donne, in occasione della presentazione romana della Fondazione Una Nessuna Centomila, con la quale, a sostegno di una cultura fondata sul rispetto delle fragilità e delle affettività, ha avviato il progetto “Poesia. Una Nessuna Centomila”, un laboratorio poetico che sta vedendo coinvolte diverse scuole del territorio nazionale.
(la versione ridotta di questa recensione-intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 12.01.2025, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).