Riflessioni sulla poetica dell’amore di Matteo Maria Orlando

Giampaolo Talani, Partenza per la spiaggia
Giampaolo Talani, Partenza per la spiaggia

 

Perché coraggiosa? Questo libro è una composita lode alla donna amata e generalmente, la poesia, fin dal principio, si nasconde nel tema amoroso o lo genera, spesso sfociando nell’abuso del luogo poetico e nel conseguente svilimento della parola e, dall’altro lato, del sentimento. Una volta Umberto Fiori, parlando della poesia amorosa, mi disse: «Proporrei anche una riflessione sul soggetto lirico. Mi chiederei che cosa al lettore possa oggi interessare di Laura, del buon Francesco, delle mani eburnee, di tutto il suo vissuto. Bisogna essere spietati, per essere lirici. Spietati verso se stessi, e verso le proprie tenere esperienze». Del resto, è una prova che tutti i poeti agli esordi devono superare, quando rischiano di fraintendere la cantabilità astratta del verso interpretandola come l’unica forma di linguaggio capace di dire l’indicibile. Solo che l’amore spesso diventa tema e la poesia un vocabolario a cui attingere senza prendersi le responsabilità del labor limae.

Ma non è questo il caso. Il poeta corre questo rischio, cerca un distacco tramite il lessico alto, le citazioni colte, il frequente volo a immaginari e culture diverse, che spalancano campi semantici carichi di possibilità. Orlando è un neo-stilnovista che, come leggiamo in alcuni episodi, ha trovato in Ungaretti un qualche allineamento dello scafo, almeno dal punto di vista della versificazione. Per il resto, cerca una parola assoluta, senza categorie spazio-temporali, in un tentativo tutto trecentesco di eternamento dell’amore, tramite – e questo è il punto – lo sprofondamento nella tradizione storico-letteraria: essa legittima la “tenera esperienza” di Orlando, ne è madrina. Come l’ariostesco, altro Orlando che, per ritrovare la ragione, tenta l’esperienza del volo sulla luna.

Mi-fa-male-una-donna-in-tutto-il-corpo-copertina[1]La questione dunque sta tutta nella ricerca dell’idioma giusto e personale. La donna-angelo esiste oggi? Esiste nella Roma caotica metropolitana, una parola che sia “specchio” della donna amata? Senza dubbio, se ella non è solo l’“oggetto” di un semplice tema. Orlando non vola sulla luna: cammina dentro la retorica del mondo, cerca un terreno dove fondare una poetica dell’amore che sembra oggi inconcepibile. Spesso si arrende, riposando nel caldo nido di una suggestione letteraria comunque rielaborata, ma il più delle volte la scrittura sofferta si fa “disteso martirio”. In questa poesia fatta di vocativi e d’inni, è sacrificata la carnalità in favore del “sogno” e dell’”anima”. In questa profonda e chiara scelta programmatica si nasconde il dramma dettato, in Orlando, dalla presenza-assenza della donna e della parola; dalla distanza, non solo fisica, dell’oggetto della poesia.

 

Cinque poesie da “Mi fa male una donna in tutto il corpo”
di Matteo Maria Orlando (La Vita Felice)

 

 

Da te partire

Di te sembra parlarmi
il crepuscolo che non vuol morire
in Terra d’Otranto.
Il grigio campanile
soffia ancora l’antica nenia,
canto disperato di chi nacque senza tempo.
Qui rivedo l’Ellade, che in Roma ci rese diversi,
e apertasi la breccia nelle bianche mura,
affiora
e mi bagna il capo -consacrandomi il
sangue degli ottocento.
Da te come da qui
partire
in fondo, cos’è
se non morire?
 
 

Meccaniche divine

Mi dimora
il marmo dei tuoi
altari.
Mi divora,
la fame che ho
di te.

  

Porta il tuo nome

Il disteso martirio
della vibrante attesa.
Or che i pensieri
abbino ai tuoi occhi,
tutto
porta il tuo nome.

 

Sono il lupo

Sono il lupo.
Vago
per la selva dell’idioma
cercando la parola
sola, che ti sia
specchio.

 

Il tuo volto, quello della storia

C’eri
nel passo che Astolfo mosse a Ravenna,
nell’offesa francese di Sciarra ad Anagni.
C’eri
e io ti ho vista
tra le ombre lunghe del Caravaggio
nell’ultima spada che un teologo levò
nei cieli di Kappel.
La storia ha gli occhi,
come i tuoi,
atroci.
 

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