‘Le parole della poesia’

Roberta Dapunt è stata ospite del laboratorio Le parole della poesia promosso dal Centro di Poesia Contemporanea di Catania in collaborazione con il Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania e la Fondazione Ceur. L’intervento della Dapunt, incentrato sul lemma-chiave Appartenenza, ha  chiuso il primo ciclo laboratoriale di incontri.

Appartenenza è la parola che lei ha scelto per raffigurare orientativamente la sua scrittura poetica. In quali termini si declina questo lemma/concetto nel caso specifico de Le beatitudini della malattia (Einaudi, 2013)?

La parola “appartenenza” per me è cardine di ogni verso scritto, così anche nelle beatitudini della malattia. Osservare, considerare con cura ciò che abbiamo di fronte. Guardare e ascoltare attentamente le cose e le persone, per curiosità ma anche con intenzione critica, al fine di conoscere meglio. È nella consapevolezza della vita che la poesia cerca una lingua, nella concretezza dell’essere e dell’esistere. Sono dell’opinione che nella scrittura il primo comandamento è testimoniare il luogo d’origine, quello interiore e quello fisico. Partire da questo per andare oltre.

Entrando nel cuore de Le beatitudini ci si imbatte nel verso: «È sempre il mio stare con te, il tuo rimanermi accanto». È questa la «fortezza» della fede con cui si conclude il percorso esperienziale e poetico del libro?

Nella poesia il verso della cicala faccio questa domanda alla Uma, nome universale che sintetizza la mia esperienza con la malattia di Alzheimer: “Sai cosa è sempre Uma?” Non ha risposta lei, che della malattia tiene in mano e sulla bocca il proprio silenzio.  E dunque la mia risposta in solitudine a me stessa: “È sempre il mio stare con te, il tuo rimanermi accanto.” Sono questi per me, versi della realtà cruda di una malattia e senza fortezza alcuna, non quella della fede, che non mi appartiene.

 Il colloquio «d’amorosi sensi» con Uma, la materna e silenziosa interlocutrice dell’io lirico nel libro, si svolge nell’alveo linguistico dell’italiano; circostanza interessante considerata la sua produzione sul versante del ‘materno’ ladino. Si tratta di uno scollamento tra la forma (poetica) e la materia (legata quindi al vivo e al vissuto) o le ragioni sono da cercare altrove?

Sono versi maturati dall’esperienza di accudimento a due persone care, che non sono i miei genitori biologici, bensì di mio marito. Questi versi sono il tentativo di un racconto, ognuno di essi proviene da uno scavo nel “non essere” del malato e anche mio, cresciuto dentro a un tempo ormai dilatato. Ciò che ho raggiunto è poco, solamente una conversazione tra me e la condizione perfetta di un silenzio fisico che negli anni mi è diventato complice.

Per quanto riguarda la lingua, ho fatto una scelta molti anni fa, dovuta alla realtà trilingue dei miei luoghi. Ciononostante considero la poesia un’astrazione del pensiero e dell’immagine e non il risultato di sentimentalismi linguistici.

Già dalla beatitudine del titolo il suo ultimo libro richiama esplicitamente un immaginario biblico e religioso che ne è in una certa misura la cifra distintiva. Secondo lei può esserci ancora spazio per la Parola scritturistica in un contesto poetico secolarizzato come quello attuale?

Prendo atto di questo, ma con mia distanza. Detto questo, sì. La poesia può ancorare in sé anche la parola scritturistica, non deve averne paura, non perderà per questo la sua capacità contemporanea. Da sempre esiste una bellezza che non possiamo né vedere, né toccare. Possiamo invece percepirla, intuire la sua esistenza. Ora, ciò che non possiamo toccare o non riusciamo a vedere, non lo possiamo neanche scoprire definitivamente. La poesia è dunque una forma che può contenere il tentativo di esprimere questa bellezza.

Quali sono stati gli incontri umani e poetici all’origine della sua vocazione alla poesia?

Molti gli incontri umani, quelli che senza sapere mi hanno fatto sentire la poesia e scrivere di essi. E poi la lettura, da questa continua a rimanermi buona compagna la poesia russa.

Quali ‘beatitudini’ immagina per l’immediato futuro che oggi sembra assillarci?

Non ho beatitudini nei miei pensieri. Vedo guerre, leggo e vedo atroci notizie di stragi volute per fede all’assurdo e di altre stragi subite per una drammatica scelta. I naufragi di questi giorni, troppi morti, troppa sofferenza e solitudine per dare fiato a questa parola, né oggi, né domani.

 

 

 

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