“Scrittura, cura e trame di comunità”, rubrica a cura di Silvana Leali (presentazione e “Cunti di incontri Sicilia”).

Scrittura, cura e trame di comunità

Presentazione

Questa rubrica nasce dall’incontro di due desideri. Il desiderio di Grazia Calanna, giornalista attenta a cogliere i segnali del “reale” e il desiderio dell’analista di interrogare la scrittura, in particolare la scrittura femminile come risorsa di comunità. Tratteremo di cura, di poetica della cura e di frontiere. Confine e frontiera non sono sinonimi. Il confine anticamente non era un territorio geografico-giuridico ma un luogo sacro. La frontiera è una soglia, un passaggio, un flusso di corpi che hanno perso carte di identità e memorie. La cura è l’insieme di trame di comunità. La psicanalisi di S. Freud e J. Lacan è una psicanalisi di legami sociali, di cura della parola e partecipa a tessere trame di comunità. È migrante e mancante. È mancante perché non è promessa di facili suggestioni, ma una clinica dell’ascolto. È migrante perché come ha scritto Lacan “lo psicanalista deve sapere dove il suo tempo lo trascina”. In questa direzione oggi presento “Cunti di incontri Sicilia”, un’esperienza vissuta sul territorio.

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“Cunti” di incontri in Sicilia

“Darai da mangiare e offrirai il saluto
a chi conosci e a chi non conosci”
da un versetto del Corano

Da poco tempo vivo in un paese etneo “tagliato” in due zone dalla S.S. Orientale Sicula. Nella prima zona vi sono case squadrate costruite in seguito all’eruzione vulcanica del 1928. La piazza, la chiesa, il municipio e il quartiere risentono della logica dell’architettura razionalista degli anni ’30. Per la storia locale la Casa del Popolo (di cui rimane l’iscrizione) è stata edificata in onore di Benito Mussolini. Il duce, nel viaggio di colonizzazione, non si è fermato nella piazza ma ha dimenticato dietro di sé numerosi eredi. La seconda zona edilizia conserva un’antica pescheria ed è costituita da caseggiati degli anni ’60. Strade e marciapiedi dissestati, rifiuti urbani ed erbe incolte conducono al mare. Il mare azzurro intenso accoglie le fredde acque del fiume Alcantara. In estate i depuratori non funzionano e il bagno marino è vietato in diverse ore del giorno. I sindaci dei comuni limitrofi sono politicamente impegnati a trasformare la costa in centri turistici e commerciali scambiandosi accuse reciproche. Governare, direbbe S. Freud, è uno dei mestieri impossibili. La bellezza del luogo trascende lo sguardo e conduce il visitatore a pensare non ai “petrosi paradisi” di G. Bufalino, ma a un paradiso terrestre luogo di tolleranza alla stoltezza umana. L’immagine del presente si orienta verso altre mappe geografiche e archeologiche: scene di una terra ricoperta di foreste, monti, gole e pietre laviche. Furono le popolazioni arabe (non gli eserciti conquistatori) ad introdurre la coltivazione degli agrumi e sistemi di irrigazione (idrologia) quando la loro permanenza conviveva serenamente con altre culture, popolazioni e religioni, secondo i primi patti di ospitalità sanciti dai greci con gli stranieri.

L’incontro

In questo periodo di pandemia ho conosciuto una giornalaia, una vicina di casa, un fruttivendolo e un usciere comunale ipovedente. L’incontro più inaspettato è accaduto in strada, in una fila di persone in attesa dell’apertura di un ambulatorio medico. Nella vita è importante fare buoni incontri, incontri con un Altro sufficientemente degno. “Degno” è il termine coniato da un’amica, recentemente scomparsa a 87 anni: Romilde Balestra. Romilde era una psicanalista che lavorava con giovani disastrati cognitivamente e sapeva tessere una rete terapeutica “a più voci”. L’incontro con Fatima e la figlia Hassania è degno di essere testimoniato e fa pensare al concetto dell’accadere psichico di Freud. Questo incontro ha portato una serie di cambiamenti all’isolamento in quel periodo.

La visita: ziāra

Fatima arriva con la sua bambina a casa mia, salendo velocemente le scale e benedicendo con la parola di ringraziamento: “alhamdullilah”. Ha l’espressione di aver vinto una battaglia: quella della vita. Non legge e non scrive, parla un dialetto berbero e porta come dono dei dolci magrebini. La bambina è la sua voce, la mutarjima, la traduttrice dei suoi enunciati. La scena ricorda le protagoniste del film “Lezioni di piano” della regista J. Campion (1993). Nel film la relazione tra Ada, la madre mutacica, e la figlia Flora è devastante e chiusa alla realtà esterna, mentre quella di Fatima e sua figlia è una relazione aperta al mondo. Ada la madre, rifiuta la parola, è si lascia sprofondare nell’oceano legata al pianoforte. La situazione di Fatima è diversa. Fatima desidera parlare la lingua italiana ed è riemersa dal mare salvata dalla guardia costiera. Fatima è arrivata con il barcone dalla Libia. Una bomba ha distrutto la sua casa e il suo paese. “Solo ora”, dirà Fatima, “dopo tre anni di permanenza in un campo di accoglienza, inizia una vita normale”. Una vita normale per Fatima è una famiglia riunita, è una casa vicino ad una chiesa. La chiesa è di origine arabo-normanna e conserva il prezioso quadro della Madonna della Lettera. La leggenda (non il mito del superuomo) narra che il quadro di Maria abbia salvato dal naufragio una famiglia del messinese.

Riflessioni

L’ospitalità è un incontro complesso. Nelle culture mediterranee è presente nelle tre principali religioni. Il rito, la festa, la danza sono state e sono pratiche sociali e alleanze di pace. Le guerre, i radicalismi religiosi, i terrorismi ideologici-politici, gli interessi economici e la pulsione di morte hanno seminato stragi, violenza e paura, rendendo difficile l’accoglienza “all’Altro” straniero. 

Che cos’è un dono? Un dono è buono o è un debito? Le scienze hanno sondato il tema dello scambio cercando risposte e soluzioni. La psicoanalisi di S. Freud e di J. Lacan hanno interrogato l’enigma del dono (do-no: dono reale, simbolico e immaginario) dal lato della domanda e non della risposta. Io resto sulla soglia del desiderio a testimoniare come una cantastorie uno scambio di lingue, di suoni, di alfabeti. Un incontro che mi porterà con Fatima ad abitare ciascuna la lingua dell’altra, con le sue regole e la reciproca lalangue nelle acque dell’inconscio reale.

(Silvana Rosita Leali)

 

Bibliografia:
Agatina Motta, A ddi tempi, Ed. Centro Storico 2017.
Orazio D’Anna, ‘N nomu di lu Patri, Ed. “Le formiche”, Proprietà Riservata.
J. Lacan, Il Seminario. Libro XX Ancora, Ed. Einaudi 1972.
S. Freud, Due principi dell’accadere psichico, Ed. Boringhieri 1911.

in copertina, Gustav Klimt, particolare da “Le tre età della donna” (1905), Galleria Nazionale d’Arte Moderna, Roma. 

 

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In riposta

Luoghi e percezioni

Silvana Leali, curatrice di questa rubrica, è una mia collega psicoterapeuta, ma soprattutto una cara amica con la quale mi è accaduto di condividere pensieri ed esperienze nel corso di tanti anni. Entrambi proveniamo dalla Padania; il mio Nord si protende poi verso la Germania e verso la cultura mittel- e nord europea. Confesso dunque da subito la mia estraneità e la mia ignoranza: non conosco la Sicilia. Come spesso accade, si viene proiettati lontano ancor prima di aver esplorato tutti gli angoli di casa. Ed io sto imparando a conoscere la Sicilia attraverso gli occhi e i racconti di Silvana.

In questo momento sto dunque scrivendo per “LEstroVerso”. Ma io sono un introverso! L’ho accuratamente verificato per il tramite di un test[i], ma soprattutto attraverso lunghi anni di analisi personale. Per definizione, si potrebbe dire in breve che l’estroverso è colui che porta sé stesso nel mondo, mentre l’introverso porta il mondo in sé stesso[ii]. Esistono tuttavia casi illustri di persone che si sono trovate a svolgere brillantemente compiti che erano in netto contrasto con la loro appartenenza tipologica[iii]. Qui io sono invitato ad esprimere (in tedesco ausdrūcken, letteralmente: “spingere fuori”) idee per mezzo di parole.

Parlerò allora dei luoghi, anche di quelli che non si conoscono (nel mio caso, ad esempio la Sicilia!). Non molto addietro si consultavano atlanti e carte geografiche; queste ultime erano possibilmente le più aggiornate. Io ne conservo tuttora una discreta collezione, che in gran parte si riferisce a luoghi che ho visitato nel corso dei miei viaggi. Impiegati in tal modo, gli atlanti e le cartine sono utili a favorire il ricordo di eventi accaduti nei luoghi, oppure di quella certa strada: com’era fatta quando l’avevamo percorsa, magari con quell’asfalto slabbrato, ma poi si vedevano paesaggi bellissimi.

Talora quei materiali divenivano utili per immaginare viaggi in luoghi non ancor visti. Allora, lasciandoci prendere da una sorta di ispirazione geografica, immaginavamo come sarebbero potuti essere quei luoghi che stavamo desiderando, cosa ci sarebbe potuto accadere là, come sarebbero potute essere le nostre interazioni con gli abitanti del posto. Ci si chiedeva in quale lingua ci saremmo potuti intendere con gli abitanti di quei luoghi e cosa sarebbe conseguito a quelle esperienze relazionali.

Più recentemente abbiamo imparato a usare Google Earth. Esso contiene immagini, talora anche tridimensionali, di luoghi, monumenti e palazzi e ci consente di percorrere le strade e le piazze, di osservare i negozi ed un poco anche le persone che stavano camminando per strada al momento delle riprese. Tutto ciò può essere di grande aiuto se io devo raggiungere un dato indirizzo in una città che non conosco. Se vado in auto posso programmare il navigatore, ma – se prima ho guardato Google Earth – so già che dovrò svoltare a sinistra là dove c’è uno stabile dai balconi dipinti di blu.

Non mi assocerò al coro dei necessari detrattori della contemporaneità informatica lamentando che Google Earth uccide la fantasia. Non è detto. Quali sono i limiti della nostra fantasia? Sono essi così tanto ristretti da soggiacere all’avvento di un nuovo strumento di lettura del territorio? Direi piuttosto che ciò che viene a cambiare sono i limiti dell’immaginario. Se noi possiamo accedere alla possibilità di osservare i luoghi da lontano come se fossimo là, allora la nostra immaginazione rinuncia a costruirsi quell’idea forse un poco stereotipata di come sarebbe nel tal posto: in Irlanda piove sempre, in Lapponia fa freddo anche in estate, in Germania ci sono tante fabbriche e tanto fumo, la Grecia ha solo case bianche e blu, e così via generalizzando.

Nelle nostre menti si apre allora un nuovo luogo del desiderio: quello di vedere davvero ciò che stiamo osservando virtualmente. Detto in altre parole, il desiderio di individualizzare l’esperienza, poiché ci rendiamo presto conto di come la percezione traslata di immagini universalmente condivise non ci possa bastare. Desideriamo di voler provare i profumi, i sentori, i cibi della terra. Se ad esempio rivedo la città di Porto in Google Earth, il mio ricordo corre ad una lunghissima passeggiata lungo l’estuario del Douro e poi per un tratto di costa atlantica fin oltre i confini di Matosinhos: percepisco nuovamente i profumi del vento oceanico intriso di umidità prima della tempesta d’acqua, che giunse puntualmente abbondante il giorno seguente. Quali saranno allora i profumi delle tempeste marine in Sicilia d’inverno? Qui insorge il desiderio di esperienza, di conoscenza.

Per quanto mi concerne, io sono particolarmente assetato di contatti, di dialoghi in qualsiasi lingua io sia in grado di parlare oppure anche soltanto di improvvisare tra parole suoni e segni, di conoscenza calata nell’esperienza dell’incontro con quell’altro essere umano che magari appare diverso da me, ma che proprio per questo mi diviene ancor più interessante. Si tratta di esperienze che percepisco come vitali e vitalistiche, che trascorrono non senza imprimere segni profondi. Esse portano con sé l’incarnazione del contatto, del senso, delle cose da dirsi e di quelle di cui tacere, infine dell’emozione dell’essere insieme.

Io sono profondamente convinto del valore dell’unicità e dell’irripetibilità dell’esperienza umana, che si impregna anche della nostra relazione con i luoghi che ci capita di frequentare ed ai quali attribuiamo un significato. Quella stessa attribuzione di significato si rende fondatrice di un processo di rispecchiamento inconscio, il quale sempre trova la propria collocazione nel mosaico del nostro percorso individuativo. L’esperienza dello spazio e del viaggio ci rende esseri umani consapevoli e ci accompagna nella ricerca di quella profondità interiore che ci rende unicamente noi stessi, e tuttavia capaci di profondo e pregnante dialogo.

Mauro Bozzola

Linguista, Psicologo Psicoterapeuta Analista Junghiano, Socio CIPA e IAAP. Ha scritto: I luoghi e la psiche. Vivarium, Milano 2017

 

 

[i] Il Myers/Briggs Test è in grado di “misurare”, tra le altre cose, il grado di introversione/estroversione di un soggetto.

[ii] Per un approfondimento di questa tematica in un’ottica storica e psicologica consiglierei la lettura di Carl Gustav Jung: Tipi psicologici. In: Opere, Vol. 6, pagg. 9/412; Bollati Boringhieri, Torino 2014.

[iii] Un caso emblematico è stato quello di Carl Alfred Meier, psichiatra allievo e collaboratore di Carl Gustav Jung. Nella sua spiccata introversione, egli si trovava a suo agio nel ruolo di studioso e di autore di numerosi e profondi saggi teorici e clinici. Gli eventi della vita lo costrinsero però a svolgere anche ruoli rappresentativi, che sono più consoni agli estroversi: fu presidente del Carl Gustav Jung Institut di Zurigo e della Associazione Internazionale di Psicologia Analitica. Fu anche docente universitario, un altro ruolo che richiede un certo grado di estroversione; anche a me è recentemente accaduto di sperimentare quella esperienza didattica, che ho vissuto con un po’ di fatica, ma anche con profonda soddisfazione. 

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