Cinque poesie di Davide Zizza

Frederick Childe Hassam
Frederick Childe Hassam

C’è una calma meditativa che fa da ponte alla voluttà spirituale vicina al misticismo, in queste poesie di Davide Zizza. Poesia come runa che si accosta all’origine attraverso i lemmi ebraici, esaltando la magnificenza dell’esistere. La grandiosità della musica, che pure è venuta dopo un “caotico silenzio: di morte”, esalta l’animo e rende “chiara” la solitudine. Per Zizza possiamo riprendere la definizione di Pound tanto cara a Cristina Campo: “Poesia è l’arte di caricare ogni parola del suo massimo significato”. La larga presenza del verde, ristoratrice, nell’ultimo testo “irlandese” si apre come un’alba luminosissima e pacificante ai sensi del lettore. In questi versi, l’elemento dionisiaco, turbativo, pur incrociato, è tenuto a freno essenzialmente da una fiducia vitale del poeta, un ottimismo istintivo che dà linfa alla forma e al lessico armonici. Si tratta di poesie dove l’uso della ragione aiuta ad accostarsi alla bellezza, “riflessione senza specchi”. Poesia e vita, vita e poesia, vanno a braccetto e vicendevolmente si prendono cura l’una dell’altra. Se ci affidiamo al canto di Zizza, possiamo riscoprire tutti i sensi, rinvigoriti dal “respiro delle acque”, attraverso le campane che scandiscono il passo dei nostri giorni, “dove la quiete allarga le nuvole”.

(Luigi Carotenuto)

La musica del Bereshit

Prima fu silenzio. Il tempo non scandiva nessun ragtime umano.
Non c’era la nota che dava l’attacco per il concerto.

C’era solo un principio senza violino. Senza pianoforte.
Senza shofar. Era solo un caotico silenzio: di morte.

Poi un soffio. Un lungo soffio portò l’amore.
Una lunga nota profumata portò l’ordine e la chiara geometria.

Il canto degli alberi e dei campi allietò il cuore.
Cominciò ad esistere dal nulla lo spartito. Il decagramma.

Tutto fu. Nella musica della Creazione.

***

Winter Sunday

A path through the look of the window,
the pale sun and the winter outside,
the fair solitude inside me;
and I – listening to Rachmaninov,
my fingers between the pages of my books –
leave myself to the reflection of the day
and I think that poetry
is the word itself on the brink of its meaning.

Word is what has created about life.
Life is the result of what we have said through poetry.

(auto-traduzione)

***

Domenica d’inverno

Un tratto dallo sguardo della finestra,
fuori l’inverno e il sole pallido,
dentro me una chiara solitudine;
ed io – ascoltando Rachmaninov e
sfogliando le pagine dei miei libri –
mi lascio andare alla riflessione del giorno
e penso che la poesia
è la parola stessa sulla rottura del suo significato.

La parola è quanto ha creato della vita.
La vita è il risultato di quanto detto attraverso la poesia.

***

Altro Pardès

Giardino’ – penso: è già salpata la metafora

verso un angolo, un punto dove meglio si vede

l’ambiente di dentro, e fuori l’evergreen.

Cresce una breve frescura, una formentera

di piante e parole evocate

al solo odore selvatico dei fiori.

Internamente il recinto tiene insieme

i suoi colori, orfica tentazione

la tranquillità dell’aria.

Vagheggiare non è la tristezza dell’arida estate –

è una riflessione senza specchi. Isola.

Sul foglio percorre l’arco sillabico.

Giardino-pensiero disseminato,

tramite orme di prati neri

il verde giunge alla sua allusione.

***

Vespro

Il battere delle campane –
dicono che fra poco e’ ora di tornare
a casa: quanti, ascoltando il rintocco,
si fanno prendere da un pensiero che abbia
lo stesso suono, la stessa pittura –
piccola chiesa di quartiere dove intorno
ritorna vita di urla e di palloni da calcio:
come questa campana ogni battere e’
un pulsare che si lega al suono dei giorni.

***

“Gaeilge” (Irish)

Faceva eco

un soffio celtico

che portava il ricordo,

un canto sibillino

di punte aguzze e di

odorosi prati.

 

Argento e cielo fuso

formarono la pioggia

del ritorno – la senti?

Mangia, l’odore di terra

è un pasto

per le tue nari.

 

Una macchia verde –

estesa simili a distanze d’occhio –

riporta le orme

della storia. Qui è altezza:

è ritrovarsi.

 

Il suo respiro è freddo,

il suo silenzio è

la voce della montagna.

Il suo alfabeto

è l’epigrafico indovinello.

 

La runa – magia

dei giorni, mitologia

del tempo sospeso

fra l’alfabeto e la quercia.

 

Il respiro delle acque

scioglie la neve,

non c’è più dolore –

dove la quiete allarga le nuvole

la parola svela la sua pace.

 

 

Potrebbero interessarti