Giuseppe Nibali e il suo “Eucariota”. Poesie come “cose che entrano e si muovono dentro”.

tre domande, tre poesie

«Nel mondo che si muove ed è vivo». Nel mondo che «non incide più i nomi dei suoi morti/ sui marmi». Andando alla radice, per «riportare alla vita ciò che è nascosto». Perquisendo nel dubbio, «tutti di stare vivendo il nostro male». Guardando “l’altrove” con gli occhi accesi sul presente (anche dal “passato”). Catturando il reale, nel tramaglio di immagini nude. Acute. Udendo un tempo «esistito e incalcolabile». Un tempo «miserabile». Spingendo «il profumo del niente dentro al petto». “Muove” così, il catanese Giuseppe Nibali, autore di “Eucariota”, nuovo “pungente” libro in versi pubblicato nella collana “La Gialla”, a cura di Alessandro Canzian, Roberto Cescon, Augusto Pivanti e Gian Mario Villalta, progetto culturale di “Pordenonelegge” in collaborazione con “Samuele Editore”. La nostra breve intervista, intorno all’esperienza (tangibile) del “tempo”.

Qual è stata la scintilla – forse meglio la “stella” – che ha portato il tuo “Eucariota”, meglio: in che modo la (tua) vita diventa linguaggio?

Eucariota nasce come superfetazione di Scurau, il libro che ho pubblicato con Arcipelago Itaca nel 2021 e che in un certo modo ha cambiato il mio modo di scrivere. Scurau era figlio di un lavoro di anni, di studi, di letture. Pubblicarlo è stato togliermi un peso ma anche inaugurare una fase molto prolifica della mia produzione letteraria. A Scurau hanno fatto seguito Animale ed Eucariota, più il romanzo a cui sto lavorando adesso. Questo testo è invece venuto fuori con maggiore naturalezza, e ad alcuni la cosa piace. Ha ricevuto, paradossalmente, una critica migliore rispetto a quella di Scurau. Ci ho lavorato per due anni, anni in cui sono stato in giro per l’Italia a presentare, ho avuto meno tempo per leggere e per scrivere. Credo dunque che tutto sia venuto in modo più spontaneo, più vero, in un certo senso. Se Scurau raccontava la disgregazione di una società e la sua rinascita in chiave rurale e degenerata (nell’accezione migliore) questo testo forse torna alla lirica, solo che qui chiunque (e qualunque cosa) può dire “io”. Ne viene fuori una serie di punti di vista differenti sulle cose del mondo. Parlano qui gli alberi, gli animali, i figli, gli uomini, le donne. Raccontando però sempre ciò che deve a mio avviso essere raccontato, e quindi il dolore di vivere, la sofferenza, ma anche la rabbia, la violenza, l’amore folle per questa cosa che è essere viventi.

La poesia è un destino?

È una domanda strana. Non per come è posta ma per come reagisce in me. Avrei risposto: No, che non lo credo assolutamente. Eppure penso che quando un bambino cresce in casa di un pittore sviluppi poi un rapporto con i colori, con gli olii, con i pennelli che ad altri, arrivati dopo, sfugge. Allo stesso modo mi pare di essere cresciuto come un privilegiato, con mio padre che mi avvicinava la sedia alla scrivania e intanto leggeva Virgilio, in latino. Mentre io bambino scrivevo e pasticciavo fogli su fogli, con l’inchiostro che era la mia tempera e la penna che era il pennello. Mia madre mi faceva dipingere, mio padre mi riempiva la testa di storie, di racconti di grandi battaglie, di Orlando e di Ulisse, dei tartari, di Agamennone che sacrifica Ifigenia. La sera mettevamo in scena la canzone di Orlando, in corridoio, sul cavallo a dondolo, con una Durlindana di legno, ricavata dal battiscopa. Questo mi ha formato, sicuramente. Per me era gioco, quello, ma non lo era, o meglio: non era solo un gioco. Quindi mi piacerebbe dire che non lo è, che nulla c’entra col destino, eppure capisco bene che senza quell’infanzia difficile per me sarebbe stato diventare uno scrittore. Sicuramente avrei cercato una modalità espressiva, addirittura artistica, ma chissà quale.

Per concludere, ti invito, per salutare i nostri lettori, a riportare tre poesie dal tuo libro; e di queste scegline una per condurci a ritroso nel tempo, a prima della stesura completa o della prima stesura, per raccontarci quando “accaduto” così da permetterci di condividere (e meglio comprendere) il percorso che l’ha vista nascere (nel contesto del libro che l’accoglie).

*
Bisogna assecondare la visione non devi
dimenticare il colore della porta le venature
del legno, i giochi che lì facevate.
Bisogna riportare alla vita ciò che è nascosto
e farlo tenendo a mente quella porta
da lì nessuno è più passato eppure
quando torni o sei di passaggio fai sempre
gli stessi trenta passi in corridoio
fissi il tappeto e senti dentro l’intarsio
nella parte di minuscola stoffa e corda
tornare ad assalirti la radice del tuo male
una voce che soffoca e chiede perdono

*
Allagano la fossa e nella pozza scivolano insieme
prima la vecchia e poi la puerpera, altri le accerchiano
si svolge in questo modo e dopo: i sospiri e gli affondi
alle loro spalle pronunciando parole
il nome dicono del serpente e universo villaggio casa
nella lingua conosciuta.
del serpente portano le pelli dopo nella danza
quando vecchia e nuova donna si trovano
presso il fuoco e dimenticano la terra smossa
la pozza di pece che nel ritmo si dimena.

*
Un ratto è entrato dentro il cruscotto della macchina
è passato da sotto aggrappandosi ai cavi e si è fatto strada
stringendo le cartilagini e premendo nella strettoia fino alla luce
poi c’è morto. Il puzzo è rimasto per mesi fino a quando
mio padre non si è deciso ad aprire il cofano e pulire
era un odore insopportabile e aspro quello della carne
decomposta e per settimane e poi mesi ha accompagnato
i miei viaggi fino all’ospedale e poi a scuola. Nessuno
mi ha dato una spiegazione ma io chiedevo continuamente
se anche putrefatta avrei fatto quell’odore che era dolce e aspro
e pensavo che tenendolo sul sedile e sfregando per scendere
e salire dopo le trasfusioni la pelle sulla pelle facesse scintille
e odore come di cosa che muore.

Direi che scelgo di approfondire la terza di queste poesie. Appartengono tutte e tre alla prima sezione del testo che ne è eponima. In questo testo, come faccio spesso nella mia scrittura, mischio insieme più carte. Si parla di una bambina, o meglio ancora di un’adolescente, gravemente malata, che ogni mattina entra nella macchina del padre, nel cui motore è morto un ratto che era rimasto incastrato. Eccoli lì, gli elementi di cui parlavo, quelli mischiati insieme. Nella mia esperienza la scena del ratto è accaduta veramente, è successo quando ero al primo anno di superiori, un ratto deve essersi insinuato fino all’impianto di areazione, dove è morto. La puzza si è diffusa, insopportabile, nella Escort bianca di mio padre invadendo completamente le nostre narici. Alla fine ne eravamo assuefatti e niente avevano potuto gli interventi del meccanico di mio padre, un uomo grande, grosso, buono, che parlava solo in siciliano e mi chiamava ‘Mericanellu (piccolo americano) per il colore dei miei capelli.

L’altra storia è di una bambina, Stefania, mia compagna di classe, che scriveva poesie. Dopo i primi tre mesi di scuola ci furono le vacanze di Natale, io tornai senza padre, lei con la leucemia. Ma nei primi giorni di Ginnasio, quando io arrivavo a scuola con le narici sporche di morte, vedevo i suoi capelli rossi e ricci e m’innamoravano. Comporre questo testo a tanti anni di distanza significa tornarci, in quel vissuto. Morirci di nuovo come ha fatto lei la mattina in cui la luce si è spenta. Scrivere questo testo mi ha fatto male, una serie di piccoli rumori interni: ossa, pietre, cose che si muovono. Se devo indicare cosa è accaduto, cosa ha mosso questo testo, non mi viene risposta migliore. Ossa, pietre, schegge. Cose che entrano e si muovono dentro.

*

Giuseppe Nibali è nato a Catania nel 1991. Si è laureato in Lettere Moderne e in Italianistica a Bologna. Giornalista Pubblicista, è direttore responsabile di Poesia del nostro tempo e curatore del progetto Ultima. Collabora con Le Parole e le cose, Minima & Moralia, Il Foglio e con il magazine Treccani. Ha pubblicato le raccolte di poesia Scurau (Arcipelago Itaca, 2021) ed Eucariota (Pordenonelegge /Samuele Editore, 2023). Animale (Italo Svevo Edizioni, 2022) è il suo primo romanzo. Dal 2023 è direttore editoriale della collana di poesia “Apnea”, edita da Mar dei Sargassi edizioni.

(la versione ridotta di questa intervista a cura di Grazia Calanna, è apparsa sul quotidiano LA SICILIA del 24.03.2024, pagina Cultura, rubrica “Ridenti e Fuggitivi”).

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