Solchi. La parabola si compie nel risveglio

solchi-di-maria-allo-su-lestroversoIl poeta sa o dovrebbe saperlo: ogni verso scritto è un addio secco che si incammina verso i lettori. Non possiede proprietà, la Poesia, si cede ad altri, casuali, sguardi. Dunque dire di Poesia giuntaci tra le mani può essere un primo principio di sbaglio. Personalmente non saprò mai la propulsione di Maria Allo allo scrivere questi versi raccolti nella silloge Solchi (ed. L’Arcolaio, prefazione di Anna Maria Curci). Né glielo domanderò per una personale morbosa curiosità, un suo accontentarmi per capire. La mia lettura non sarà mai la ricerca dell’intenzione dell’autrice. Capisco me attraverso lei: mi basta. Come per la poesia tutta prodotta nei secoli. Posso provare a raccontare dove un altro essere umano ha provato a condurmi e pensare “trabocca nel suo dire per poter sparire”.

Io, leggendo, sono stata, credo, in un mistero non simile a quello nel quale ha agito, patito, urlato Maria Allo. Così funziona la Poesia autentica. Altri possono pensarla, e lo fanno, in maniera e in maniere altre. Non impongo dittature di pensiero, nello stesso modo in cui non le tollero.

Spesso accade che perfino il poeta sia incapace di “spiegare”, per fortuna: ciò significa un oblìo d’amore dovuto ai versi. Un respiro che va precedendone un altro. E un altro.

Solchi è il titolo di questa raccolta. Devo confessare – benché neppure dal lettore si dovrebbero pretendere spiegazioni –  che prima di essere spinta a camminare su vasti campi con fioritura di germogli sui solchi, sono stata tra i solchi di un seno materno. Io nascita, io nutrita, io allontanamento “fa di noi mancanza”.

La silloge è stata subito solitudine del cammino nella vita, e spavento.

Maria Allo è ogni elemento della Natura. Ha mani come stagioni, sguardi ventosi e venosi, cuore temporalesco.

Maria Allo è vulcanica gentile senza maledizioni sparse, a volte, altre no. “Questo dire è fiato che non pesa/come terra impregnata di ginestre.”

È la stessa autrice a parlare di “la solitudine della poesia si fonde con la linfa/di alberi sfiorati dalla sofferenza del mondo.”

Si soffre leggendo, lo confido piano piano, e non tenetene conto: voi non siete me. Ma come potevo sentirmi ritrovandomi di fronte a tanto addolorato:

“non ‘c’è compimento”

“non c’è rimedio”

“non c’è riparo”

“non c’è risposta”.

Quando ho perduto il seno di mia madre, ritrovandomi adulta mio malgrado? E la terra col suo odore di rinascita, in quale preciso momento di adultità ha iniziato a essere instabile? E fu lava.

Maria Allo la si legge, la si approva, la si vorrebbe scacciare lontano da ogni nostro mostro perenne. La si accoglie baciandole la fronte affaticata. La si lascia sola, come lei ha costretto noi con un “pugnale di giorni dissidenti.”

La Poesia non può che essere testimonianza dei tempi, un onesto prenderne atto.

Che cosa potrebbe mai esprimere un poeta, in questo caso una poeta, adesso oggi, in una tragedia di digiuno etico, di fallimento dei progetti da “Le città invisibili”. Adesso oggi dove nessuno sa proteggere le anime?

Che cosa poteva dire Maria Allo, ingannandoci. Di felicità?

Impossibile.

Un monito?

L’autrice ci prova in un guizzo di coraggio di momenti, poi si ritrae, dentro un vulcano, ventoso, abisso profondo di mare. O è pianto di chi per salvarsi invoca la Memoria?

“anche cadendo.”

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