#1Libroin5W.: Gabriella Vergari, “Magie d’Amore 2.0”, Giuliano Ladolfi Editore

#1Libroin5W

Chi?

Magie d’Amore 2.0, Giuliano Ladolfi Editore, 2020, è il mio nuovo libro di racconti con cui, dopo la fortunata esperienze di Volteggi. Orizzonti di immagini e parole, Youcanprint, 2018, ho inteso proseguire il dialogo artistico con il pittore piemontese Franco Blandino, di modo che la mia penna e il suo pennello continuassero a combinare forme, colori e parole, abbinandole insieme.
In altri termini si tratta di diciotto proposte, in cui pittura e scrittura provano a fondersi in una sorta di sinestesia globale, dato che parecchi racconti sono stati “commentati” dalle belle immagini di Franco ma altri mi sono stati invece ispirati dai suoi dipinti. La premessa alla base del nostro lavoro (e che a mio parere ne rappresenta uno degli aspetti più intriganti e stimolanti) è che ciascuno si deve comunque sentire autonomo e libero, tant’è che ogni testo e ogni immagine resta conchiuso in sé, se preso a solo.
Ma certo, se legato insieme, offre una suggestione molto più aperta ad una pluralità di prospettive e sollecitazioni.
Come anche scrive nella sua intensa prefazione di Gabriella Mongardi: “Graficamente, l’alternanza di testo e immagini imprime al libro lo stesso ritmo del nostro cuore, generato dai due movimenti opposti di sistole e diastole: alla sistole dell’immagine, la contrazione della visione simultanea che concentra tutto il messaggio in un unico colpo d’occhio, segue la diastole della narrazione, la distensione del discorso verbale che si snoda linearmente sulla pagina: e al lettore è richiesta una doppia competenza visiva, è sollecitato ad alternare una duplice modalità di lettura, allenandosi in tal modo alla complessità del mondo 2.0”

Cosa?

Mi piacerebbe che a dirlo fossero soprattutto i lettori. Come ho avuto occasione di ribadire più volte, non è mai facile, per chi scrive, render conto di un’ispirazione. Le storie bussano per così dire alla porta e, come si usa dire, accadono a chi le sappia cogliere. A maggior ragione quando, come in questa raccolta, lo “sguardo sul mondo” nasce dall’interazione di due modalità e sensibilità artistiche differenti.
Immagino tuttavia che già dal titolo, Magie d’amore 2.0, non sia difficile intuire il mio desiderio di fondere insieme contemporaneità e perennità (più che anteriorità), per provare anche a riflettere su questo tempo così complesso e convulso, pluri- e multi-culturale, liquido insieme ma pure saldamente legato alla materialità, che spesso si prospetta come nuovo e inedito, ma in genere rivela molti aspetti già ben noti e sperimentati nel passato. Grazie alla mia consolidata esperienza e passione per il mondo antico, nutro infatti la convinzione che, nel profondo, l’uomo resti sempre lo stesso, benché il rischio di dimenticare l’umano si profili oggi più incombente e minaccioso di prima.
Ho perciò scelto scorci di vita, illuminazioni, epifanie, in un presente sempre pronto a muoversi verso il passato o il futuro, abitato da personaggi, per lo più femminili, alle prese con la quotidianità o il proprio non facile vissuto, in ruoli apparentemente anti-eroici ma in ogni caso vissuti con grande dignità e coraggio.
Per me resta poi fondamentale anche il rapporto con le scelte stilistiche e quelle lessicali, che a loro volta costituiscono la cifra più autentica di una scrittura letteraria oltre che una piena scommessa con la lingua.

Quando?

A celebrare il matrimonio tra me e Blandino è stata la rivista Margutte-non rivita on-line, con la quale collaboro da tempo, con pezzi che necessitano di essere illustrati da immagini. Così le due infaticabili redattrici, Silvia Pio e la già citata Gabriella Mongardi, mi hanno messo in contatto con Franco Blandino, senza peraltro immaginare che ci saremmo tanto “piaciuti”.

Dove?

Ogni narrazione, se autentica, può davvero presentarsi come un unicum perché da un unicum nasce, ovvero dalla specifica volontà creativa ed espressiva di chi la realizzi, inevitabilmente legata al suo vissuto. I personaggi hanno bussato alla mia porta e li ho accolti. Alcuni, come sopra dicevo, sono nati grazie alle immagini di Franco, altri sono invece la trasposizione letteraria di conoscenti, o si sono via via configurati come la summa di caratteristiche differenti, colte nel tempo in individui diversi, noti che fossero o anche solo scorti una volta. Ci sono poi luoghi che appartengono al vissuto di tutti e rappresentano ambienti comuni, per dare un po’ anche l’idea di un’universalità di fondo delle situazioni narrate. Si troveranno perciò paesaggi cittadini osservati da una finestra, (oppure è una finestra che apre un mondo all’interno di una casa), case, negozi, angoli di strada, il microcosmo di un condominio o di un borgo abbandonato. Ma c’è pure la mia Sicilia, un’isola talmente ricca e variegata da rappresentare spesso uno scenario ideale. Un’autentica profferta di luci, atmosfere, odori e sapori che non smette mai di sorprendermi, tanto che ho pure provato a decantarla e descrivere in un altro mio testo, Capriccio Siciliano, Carthago, 2018.

Perché?

E perché no?
Naturalmente scherzo.
In realtà non credo esistano formule per illustrare le ragioni di un’ispirazione. Accade.
Mi si cominciano a comporre dentro le parole. Se mi convincono e funzionano, procedo.
Mi piace in genere fissare una condizione esistenziale, un momento, oppure solo un gesto tra gli altri e renderlo emblematico. In altre parole, non amo i plot troppo costruiti.
Preferisco il frammento, l’inquadratura di un fotogramma piuttosto che il film completo, lo spot teatrale che si accende all’improvviso su una scena e poco dopo si spegne, abbandonando il resto allo scavo interiore di chi abbia colto quell’attimo. Non è certo un caso se, tra i lasciti più intensi della letteratura antica, annoveriamo gli straordinari componimenti dei lirici greci.
Nel caso di Magie d’amore 2.0 si è anche aggiunto, come prima sottolineato, l’amore per la sperimentazione e il desiderio di realizzare un duplice flusso di sensazioni ed emozioni in un progetto, per così dire, d’arte globale, capace di soddisfare le istanze dell’attuale homo videns.
Ma credo sia giunto il tempo lasciare l’ultima parola ai lettori che, del gioco letterario, costituiscono un tassello fondamentale e vitale.

 

 

estratti dal libro 

La maglietta è sempre quella.
L’orario pure.
Se mi affaccio, durante la pausa, dalla finestra del mio ufficio, ti trovo già lì, immobile come stai, seduto di spalle, mentre aspetti, se aspetti. O non piuttosto contempli. Oppure rifletti. Mi piacerebbe sapere su che.
Sei forse un filosofo? Un sognatore? Un innamorato respinto? Un disoccupato? Un lavoratore licenziato?
Resti così per un’oretta. Poi ti alzi e te ne vai.
Dove, mi chiedo e perché ti scatta questa personalissima, impellente ora x?
Da quando sei apparso, non riesco a non pensarci.
E fantastico.
Ogni tanto mi piace. Immaginare le altre vite mi dilata la mia. Dicono che avrei dovuto fare l’attrice. O dedicarmi alla scrittura e raccontare storie, ma non credo di averne né il talento, né la pazienza. Perciò mi accontento di questa forma surrogata di approssimazione al possibile.

(da Rosso Variabile)

Le lacrimavano ancora gli occhi.
Ma era soddisfatta.
E in effetti i risultati parlavano chiaro: stavano proprio lì davanti, e tra poco nessuno, nel paese, avrebbe potuto ignorarli.
Certo, non era stato facile lavorare alle quattro di notte, quando il meridiano del polmone è al picco massimo e il corpo, quantomeno il suo, più rilassato.
Però era anche il frangente che le assicurava maggiori garanzie, perché riduceva davvero al minimo le probabilità che qualche vicino si svegliasse e la sorprendesse all’opera.
Era ad esempio uno dei rari momenti in cui le finestre e il balcone della signorina Gisella sembravano finalmente sordi, e soprattutto ciechi, ai richiami del mondo che così tanto la seducevano durante lo svolgimento della giornata.
E anche quello in cui il solertissimo chihuahua della vedova Zuccagni cedeva finalmente alle lusinghe di Morfeo, lasciandosi cullare dalle sue amorevoli braccia, senza addentarle come i polpacci del resto del vicinato, quando gli capitavano a tiro.
Un cane tanto piccolo quanto insopportabile, che abbaiava ad ogni piè sospinto come un satanasso e veniva viziato più dell’ultimo rampollo di chissà quale casata.
Quanto a Giuseppe, il custode dello stabile all’angolo, non avrebbe rappresentato un rischio nemmeno alle nove di sera. Alle quattro, si poteva tuttavia testimoniare che il suo meridiano polmonare funzionava a meraviglia, dato che lo si sarebbe sentito russare, dalla finestra aperta, anche a distanza di un isolato.
Sebbene interrotto da qualche risucchio fuori intervallo e scanzonato, quel ronfìo le aveva addirittura cadenzato il lavoro, ora strappandole qualche risatina divertita, ora tenendole buona, e in fondo non sgradita, compagnia nell’oscurità della strada.
Aveva scelto una notte, per dirla aulica, illune e operato come una Carbonara, al fiochissimo alone della lampada ad acetilene, ottima per il buio pesto delle miniere, ma non altrettanto per il fulgore artistico di una creazione.
Per fortuna il tutorial seguito su Facebook era riuscito a farle ovviare agli inconvenienti più grossolani e se, più che di un fine cesello rinascimentale, la silhouette che aveva realizzato sembrava frutto di un estro primordiale, non era in fondo un gran male.
Il nero su campo bianco e il bianco su campo nero facevano comunque il loro bell’effettaccio, sconfinando nell’optical con un urto drammatico, da colpo allo stomaco.
Ringraziò mentalmente Marco, il suo amico madonnaro per le dritte che, tra una trasferta e l’altra, le aveva elargito. Incredibile quanti festival e concorsi venissero dedicati a quest’arte impermanente, cui stavano perfino cominciando a riservare dei musei. Ora bisognava aspettare che il paese si svegliasse e si trovasse a fare i conti con quell’arcano.

(da All’ombra delle parole).

Malgrado si chiami Giacomo come il Recanatese, lui non sa comporre versi né ci sa fare più di tanto con le parole. Però quello che vede lo lascia comunque senza fiato.
Il sole sta calando lentamente in mare con i suoi ultimi segni di fuoco, tingendo tutt’intorno di ocra e porpora l’orizzonte in lontananza.
Non gli sovvien l’eterno né le morte stagioni, ma si sente vivo e immerso nel presente come non mai. Si lascia perciò avvolgere dalla sensazione di pace e benessere che man mano gli penetra dentro e l’assorbe completamente, finché dura e l’acqua non finisce per inghiottire il sole con tutte le sue tinte sfolgoranti.
Dall’altra parte del mondo sta sorgendo l’alba.
Qui invece si sta facendo buio.
È giunta l’ora di tornare.
Giacomo riprende la macchina e si avvia verso casa.
Federica lo starà aspettando e, strano a dirsi, la prospettiva non gli appare malvagia, tant’è che tutt’a un tratto si sorprende a canticchiare un allegro motivetto che non ricordava da secoli.

(da On the road).

Gabriella Vergari – Dottore di Ricerca in Filologia Greco-Latina, è autrice, insieme con G. Salanitro, A. Pavano e A. Tedeschi di una letteratura latina, Imago maiorum. Scrive testi narrativi e per il teatro, ricevendo segnalazioni e riconoscimenti, quali, ad esempio, il primo premio “Una fiaba per l’Europa”, della C.I.E. di Caltagirone 1990, e il primo premio per il racconto Don Luigi, III edizione (1992) del premio “Giovannino Guareschi”, indetto dal Club dei Ventitré, Roncole Verdi. Dalla sua collaborazione con riviste, periodici culturali e/o turistici, sono anche nati molteplici interventi e articoli, come ad esempio quello su Mineo, nella monografia realizzata per Kalòs, agosto 1996, o quelli inseriti in Vivere, il magazine che dal 1992 al 1995 è stato mensilmente distribuito col quotidiano La Sicilia. Dal 1987, insegna latino e greco nei licei classici, partecipando a sperimentazioni didattiche e collaborando con l’editoria scolastica. Nel 2006 ha ricevuto la “Menzione d’onore” con medaglia d’oro dall’AICC di Messina.

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