#1Libroin5WPoesia.: Mario Fresa, “Simulate sembianze”, la Valle del Tempo.

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Chi?
Proprio all’inizio, trovi certi curiosissimi topini del tempo, crudeli e inacchiappabili; poi, subito dopo, delfici, e strani, gamberelli del destino, sempre lesti nel nascondersi ben bene e, si capisce, felicemente indietreggianti; e, quindi, amanti ansiosi, selvaggi, guerreschi, surreali (divisi tra il bacio e il fuggi fuggi, tra l’evasione e l’effusione); e poi angioli tenori; e figuri sacripanti; e poeti enormi, calamitosi, impacchioniti per il troppo vivere e il troppo amare; e poi versi esplosivi e rimbombanti «che fanno preoccupare gli autobus» (Cendrars); e, poi, una inquietante schiera (certo indigesta, diciamolo pure; e pacchiana, bandistica, mascagnana) di defunti sopraggiunti da chissà dove e già terribilmente consunti (ma sempre là; e noi qui, ma sempre più vicini a loro…).

Cosa?
È un omaggio all’impossibile impresa di tradurre una lingua di per sé impossibile e, viva Arimane, implausibile; soprattutto non parafrasabile, né addomesticabile: la poesia.

Quando?
Il quaderno ha la sua origine nel 1994. A quell’anno risalgono le traduzioni di due testi di Apollinaire: La Souris e L’Écrevisse. Le altre versioni sono state composte nel 1995 (Maeterlinck e Queneau; quest’ ultimo ripreso e ritradotto nei primi anni Duemila), nel 2003 (Frénaud), nel 2006 (Apollinaire), nel 2012 (Éluard), nel 2013 e 2014 (Char, Cendrars, Duprey) e nel 2020 (Artaud).

Dove?
Oltre e nel profondo, naturalmente. E mai qui (in mezzo ai molti; ai troppi). La scrittura d’arte è bizzosa e antidemocratica. Va contro, alla rovescia e all’indietro (sì, come il gamberello di Apollinaire), a dispetto della misera lingua d’oggi o delle bassure dei pettegolezzi e dei dibattiti politici, economicistici, giornalisitici, calcistici, condominiali…

Perché?
Tradurre è un gioco verticale, capace di porre il lettore di poesia in una sorta di agonale confronto con una lingua altra, chiusa, irriducibile. Ma come si traduce un mistero, un paradosso, uno sproposito? Semplice: non si può. E allora, paradosso per paradosso, ho voluto, per questo lavoro, adottare il criterio di un’alta parodia (nel senso musicale del termine) dei testi interpretati. Ho, poi, applicato ai versi certe brevi o scherzose puntature e candenzine; e ho inoltre inserito – ma ciò soltanto per gli orecchi più fini… – echi e citazioni e simulate sembianze leopardiane, beethoveniane, zanzottiane, sanguinetiane, rossiniane…
E infine: questo amabile gioco di travestirsi, ossia di trasformarsi in un altro poeta (ogni lettore dovrebbe, potrebbe farlo!) nasce, in me, da un desiderio costante di dileguare la propria lingua – e forse me stesso? – in una continua e salutare ipercalisse, o in un mare profondissimo, e trasfigurante, e nascosto (non è quello che vuol fare un poeta, d’altronde, sempre? Al di là, dico, del tradurre? E cioè mutare, nello spazio di un breve testo, la propria vita e la propria identità? Nascondere sé stesso e giocare ad essere un altro, e un altro, e un altro ancora? Dimenticarsi di sé, del proprio nome?).

Scelto per voi

“Ognuno di noi dovrebbe imparare a tradurre un poeta, col proposito (difficile e coraggioso) di apprendere a parlare, anche per poche ore, con una nuova voce; dunque provando a rinascere ogni volta” Lo sottolinea Mario Fresa nel presentare la sua raccolta “Simulate sembianze. Traduzioni di poesia”, la Valle del tempo. Fresa si conferma poeta e  traduttore raffinato, facendo rivivere i versi di Guillaume Apollinaire, Maurice Metterlink, Paul Eluard, Antonin Artaud e Raumond Queneau, di Renè Char e Blaise Cendrars o Jean Pierre Duprey attraverso una resa che cerca di rendere appieno i giochi linguistici e il tono che contraddistingue poeti certamente complessi per la loro ricerca di un linguaggio che va al di là di regole stabilite. “Meglio, mi sono detto – scrive l’autore – giocare a fare il sosia impuro, un po’ fedele e un po affrancato. E preso atto perciò dell’impossibilitò di riprodurre con filologica pignoleria i testi originali ho scelto, in certi luoghi, la strada eretica e del libero contrappunto. In non pochi casi allora il gioco lieve di queste traduzioni ha voluto avvicinarsi a un’alta parodia dei testi interpretati. E ho applicato ai versi certe minime inversioni sintattiche, sfumate dilatazioni o contrazioni metriche, brevi o scherzose puntature”. La sfida, ci ricorda Fresa, è quella di “cercare un’alchimia, una stregata soluzione che possa trasformare una parola in un’altra parola, rigenerando la sua forza, la sua carica di energia e di vita”. Lo dimostra un testo come “Fumo” tratto da Andrè Frenaud “Sempre la vita si raccoglie/ come s’addensa il fumo sopra i tetti/come il sole s’allontana dalla valle/come un ronzino velocissimo la vita/va”. Così in “Topino” Fresa riesce a mantenere la forza giocosa del componimento, affidata alla rima “O belle, mie belle, terribili, belle giornate/Topini del tempo che la mia vita divorate/Trent’anni, miodio, tren’anni li compirò tra un mese/Che tempo perduto/Che ore malissimo spese”. Ne “L’ora fatale” dimostra una grande attenzione alla scelta lessicale “quando il corpo sarà sfiancato dagli sforzi midollari/che slombano i morti/col cervello poverello bucherellato come ‘na groviera, specialità della casa dei morti…” Nella Romanza tratta da Tric Trac del cielo di Artaud ritroviamo la forza della musica che attraversa la città “Dalle finestre la Musica esce fuori/e tu sciogliti midollo della nostre ossa/La città intera si rovescia/in uno spasmo delizioso…E l’attesa si ripete/nello spazio di ciascuna sporgenza/che la manovella dal cuore stonato/imprime alla musica tersa”.

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